Riscaldamento globale: il compromesso della COP 28
I Paesi di tutto il mondo si sono incontrati a Dubai per contrastare i cambiamenti climatici. Indispensabile triplicare la produzione di energia da fonti rinnovabili e abbandonare gradualmente “in modo giusto, ordinato ed equo” tutti i combustibili fossili
Sotto l’egida delle Nazioni Unite si è conclusa lo scorso 13 dicembre a Dubai la ventottesima Conferenza delle Parti” (COP 28) sulle misure da mettere in campo a livello globale per fronteggiare i cambiamenti climatici. Dopo due settimane di intense trattative, che hanno coinvolto ben 198 delegazioni (tra cui quella dell’Unione Europea), l’accordo finale non ha pienamente soddisfatto le attese della gran parte degli oltre 85.000 partecipanti e degli innumerevoli osservatori esterni. Come già accaduto in passato, si è infatti registrata un’eccessiva vaghezza su strategie e tempistiche da adottare, che contrasta con la gravità delle perdite e dei danni (loss & damage) associati agli effetti negativi del global warming.
Due visioni contrapposte. L’asse portante dei negoziati di Dubai sul clima è stato il Global Stocktake (GST), meccanismo introdotto in occasione della COP 21 di Parigi (art. 14 dell’Accordo finale), come strumento di controllo sulle emissioni di gas serra. Il GST, infatti, prevede che ogni 5 anni le nazioni aderenti all’accordo facciano una revisione degli impegni presi per la riduzione delle emissioni di cui sono responsabili, individuando le modalità (strategiche e finanziarie) per rendere l’azione climatica più efficace e rapida. Da questo punto di vista la questione sul futuro del “fossile” ha dominato la scena determinando il dibattito più acceso tra due schieramenti contrapposti.
Uno costituito dalla High Coalition Ambition, un gruppo negoziale intergovernativo di 115 Paesi sostanzialmente capitanato da quelli europei, che si batte per il “phase-out” delle fossili (abbandono), come risultato minimo accettabile. L’altro formato dai 13 paesi Opec (Organizzazione dei Paesi Esportatori del Petrolio) che ha tutto l’interesse a contenere ogni forma di restrizione su petrolio, gas e carbone. Per inciso quella di Dubai è la seconda COP consecutiva che viene ospitata presso Paesi la cui economia è strettamente connessa ai mercati delle fonti fossili (lo scorso anno fu in Egitto a Sharm El Sheikh) e la prossima si terrà a Baku, in Azerbaijan che, come noto è uno dei grandi produttori di petrolio e gas.
Una soluzione di compromesso. La presidenza ha trovato un compromesso sulla locuzione “transitioning away”, che significa letteralmente “allontanarsi” dal fossile. Un espediente linguistico che dà adito a diverse interpretazioni e che, proprio per questo, ha messo d’accordo più o meno tutti, dalle monarchie del Golfo Persico ai piccoli stati insulari – come Samoa – più esposti ai rischi delle catastrofi ambientali. Volendo cogliere il lato positivo dell’accordo siglato, si può dire che questo segna “l’inizio della fine” dell’era dei combustibili fossili ponendo le basi per “una transizione rapida, giusta ed equa, sostenuta da profondi tagli alle emissioni e da finanziamenti su larga scala” per mantenere l’aumento della temperatura globale entro il limite di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali (1850). Ad oggi appare evidente che il 2023 sia stato l’anno più caldo mai registrato, con un incremento termico medio di 1,1 °C (1,6 nelle terre emerse 0,9 nei mari) gli scenari prevedono valori che entro metà secolo si attesteranno tra 2,1 e 2,8 °C (VI Rapporto di valutazione IPCC). Siamo quindi fuori dalla traiettoria auspicata, ma certamente gli sforzi fatti hanno abbassato sensibilmente il trend che avrebbe portato a valori prossimi ai 4°C. Per questo occorre insistere su obiettivi ambiziosi sostenuti da politiche serie di sviluppo sostenibile.
Emissioni, i “tagli” programmati per i prossimi anni. All’articolo 28 della sezione dedicata alla “Mitigazione” l’accordo riconosce che limitare il riscaldamento globale richiede riduzioni drastiche, rapide e durature delle emissioni globali di gas serra. Queste rispetto al livello del 2019, dovranno essere ridotte del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 rispetto al livello del 2019, sino a raggiungere lo zero netto entro il 2050. Ciò significa che occorre favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili di energia (FER) e azzerare l’uso delle fonti fossili. In particolare si punta a triplicare le FER ed a raddoppiare l’efficienza energetica a livello globale entro il 2030, virando con forza verso sistemi energetici a zero emissioni nette ben prima o intorno alla metà del secolo. L’accordo di Dubai stabilisce inoltre di eliminare rapidamente l’energia prodotta dal carbone e di abbandonare “in modo giusto, ordinato ed equo” tutti i combustibili fossili, a partire dalla cancellazione degli ingenti sussidi ad essi assegnati. FER, nucleare pulito e tecnologie di abbattimento e rimozione come la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio, sono i principali strumenti indicati dalla COP 28 per accelerare la riduzione delle emissioni di gas serra (CO2, metano, ecc.). Lo sviluppo e il potenziamento delle infrastrutture e la rapida diffusione di veicoli a basse o a zero emissioni, contribuirà invece a tagliare la quota parte di emissioni prodotte dal trasporto stradale.
Il principio della giustizia climatica. Ovviamente per affrontare quella che si prefigura come una complessa e radicale trasformazione dei sistemi produttivi e delle attività antropiche su scala mondiale occorrono ingenti risorse economiche di cui non tutti dispongono. In tale ottica il testo dell’accordo di Dubai fa esplicito riferimento al principio della “giustizia climatica”, riconoscendo che "il fabbisogno finanziario per l'adattamento nei Paesi in via di sviluppo è stimato a 215-387 miliardi di dollari all'anno fino al 2030". Gli investimenti necessari al raggiungimento del target delle zero emissioni nette entro il 2050 sono quantificati in circa 4.300 miliardi di dollari l'anno (fino al 2030) per progetti di energia pulita, aumentando a 5.000 miliardi di dollari all’anno per i successivi venti. Nel suo discorso di chiusura della COP 28 Simon Stiell, Segretario esecutivo delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici, ha dichiarato che da ora, per voltare pagina sull’era dei combustibili fossili, tutti i governi e le imprese devono trasformare senza indugio gli impegni in risultati concreti. In tale sfida globale non si deve trascurare il ruolo centrale del mondo dell’informazione per coinvolgere attivamente la società civile in un processo di grande cambiamento culturale.