Il contoterzismo fa bene all'ambiente
Il ricorso ad imprese agromeccaniche per i lavori agricoli è spesso una scelta obbligata. Se le percorrenze stradali del macchinario non sono eccessivamente lunghe, si tratta di un’opzione ampiamente sostenibile, perché è dimostrato che gli impatti ambientali sono inferiori rispetto a quelli delle lavorazioni in conto proprio
L'impatto ambientale, o più in generale la sostenibilità, di ogni prodotto e processo (quindi anche delle produzioni agricole) può essere ridotto soltanto dopo una sua accurata quantificazione. Anche se ormai è stato ragionevolmente accertato che le principali cause dell’impatto ambientale dell’attività agricola dipendono sostanzialmente dalla zootecnia, e in particolare dalla gestione dei reflui, va comunque rimarcato che l’impiego della macchine, e in particolare l’esecuzione delle operazioni più energivore come le lavorazioni del terreno, rappresentano una quota non sempre marginale delle emissioni inquinanti, può raggiungere il 10% del valore complessivo, segnatamente nelle produzioni di pieno campo (cereali da granella, proteoleaginose, ma anche alcune colture orticole o frutticole).
Le variabili da considerare sono molteplici, concernenti anche alle modalità di selezione e di gestione del parco macchine, inteso basicamente come lavorazioni eseguite su notevoli superfici da imprese agro-meccaniche, da un lato, e da coltivatori diretti che generalmente dominano superfici modeste, dall’altro.
Coltivatore diretto e contoterzista
Pur trattandosi di una generalizzazione che fatalmente non può comprendere la totalità dei casi, per ciò che concerne l’organizzazione del parco macchine aziendale e la meccanizzazione delle lavorazioni le principali distinzioni tra contoterzista e coltivatore diretto riguardano l’impiego di macchine con dimensioni o potenza diverse, il loro turnover, ma anche la numerosità e la varietà del parco macchine. Bisogna poi considerare che parte dei benefici ambientali derivano indubbiamente dalla riduzione dei consumi, e più in generale da una maggiore efficienza di utilizzo, il che comporta anche tangibili benefici economici.
Un caso emblematico: la lavorazione del terreno e la semina
Il massiccio ricorso al contoterzismo per la raccolta dei prodotti del campo (cereali, silomais, talune orticole, ecc.) è una pratica generalizzata da sempre, a causa dell’elevato costo delle macchine specifiche, che diversamente risulterebbero decisamente antieconomiche, se acquistate per dominare le piccole superfici tipiche del coltivatore diretto. Peraltro, l’affidamento ad imprese agromeccaniche dell’esecuzione di altre operazioni, come ad esempio le lavorazioni del terreno e la semina, è in crescita continua.
In effetti, se svolte dal contoterzista queste operazioni hanno un impatto inferiore rispetto all’esecuzione in conto proprio, e in particolare sugli aspetti per i quali l’attività agricola è solitamente accusata di essere poco sostenibile, ovvero il riscaldamento globale o cambiamento climatico (CC), la formazione di particolato (PM) e la riduzione delle risorse fossili (FD). I benefici sono evidenti, con riduzioni che variano tra il 15 e il 70% nel caso della lavorazione convenzionale, e del 10-45% se si attua la minima lavorazione. Più in dettaglio, le riduzioni inerenti il cambiamento climatico e le risorse fossili dipendono dalla diminuzione dei consumi di gasolio, mentre la riduzione dell’emissione di particolato (PM) è anche relativa all’impiego da parte del contoterzista di trattori più evoluti, conformi ad un standard emissivo molto più stringente rispetto ai modelli anche solo di qualche anno fa.
A fronte di numerosi aspetti che rendono il lavoro del contoterzista più sostenibile rispetto a quello del coltivatore diretto c’è però un’importante variabile, generalmente poco considerata, che potrebbe arrivare a ribaltare la situazione, ovvero la distanza intercorrente tra il punto di ricovero usuale del macchinario e gli appezzamenti lavorati. In generale, si intuisce che anche nel caso di aziende che non sono a corpo unico, tale distanza è notevolmente inferiore per il coltivatore diretto, dato che le aziende clienti del contoterzista sono solitamente dislocate, nel migliore dei casi, a raggio rispetto alla sua sede centrale, ma per distanze di qualche decina di chilometri. Pur tenendo conto della massima efficienza degli spostamenti delle macchine (non sempre infatti si torna in sede per il ricovero notturno), è fondamentale quindi tenere conto anche degli impatti dei trasferimenti, e quindi quale può essere una “distanza limite” percorsa dai mezzi del contoterzista che annulli i benefici sopra descritti.
In effetti, le modalità organizzative di un’impresa agromeccanica sono molteplici; solitamente, se la distanza dalla sede centrale non è trascurabile, il trasferimento avviene solo quando la superficie da lavorare permette di operare per diverse ore o, meglio, per l’intera giornata. Nel caso di distanze superiori, è logicamente più efficiente lasciare il macchinario in loco e prevedere il trasferimento giornaliero dei soli trattoristi.
Nell’ipotesi di trasferimento per un’intera giornata di lavorazione primaria del terreno, e sulla base di un computo a chilometro, è possibile calcolare il limite oltre il quale il macchinario del contoterzista impatta più di quello del coltivatore diretto, che esegue la medesima lavorazione con macchine aziendali e percorre mediamente non più di un chilometro. Considerando globalmente i più conosciuti indicatori ambientali, l’impatto inerente la fase di trasferimento pareggia il bilancio solo per distanze considerevoli, generalmente superiori a quelle percorse abitualmente dai mezzi dei contoterzisti. In particolare, per ciò che concerne il riscaldamento globale, il ricorso al contoterzista diventa meno sostenibile solo per distanze superiori a 28 km, mentre per la riduzione delle risorse fossili il limite è leggermente superiore.
Ovviamente, il risultato ottenuto è relativo ad una serie di dati di partenza riferiti ad una realtà tipica della Pianura Padana, e pertanto va interpretato come indicativo in tale contesto.
Più in generale, il dato può essere utilmente interpretato come ordine di grandezza, ovvero si conferma sostanzialmente che in tema di sostenibilità ambientale il raggio d’azione dell’impresa agromeccanica dovrebbe essere di poche decine di chilometri dalla sua sede centrale; diversamente, come peraltro talvolta accade, spostamenti (in autonomia) dei mezzi di centinaia di chilometri annullano tali benefici e fanno pendere l’ideale bilancia a favore dell’impiego di macchine in conto proprio.