
Cambiamenti climatici, strategie di contrasto e mitigazione
La kermesse bolognese è stata teatro di un serrato confronto tra operatori, tecnici, stakeholder sul tema del riscaldamento globale. Le strategie da mettere in campo per preservare l’agricoltura da eventi estremi e impoverimento del suolo
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Desertificazione, alluvioni-lampo, gelate tardive. Se è vero che i cambiamenti climatici stanno condizionando le economie globali in tutti i settori di attività, è altrettanto vero che nessun comparto ne sta pagando le conseguenze come quello agricolo. Gli eventi estremi, infatti, non esauriscono i loro effetti nell’immediato, giacché sono in grado di influenzare l’andamento delle attività agricole anche nel lungo periodo. Pensiamo alla siccità. L’incremento delle temperature e la riduzione degli apporti piovosi non penalizzano soltanto le rese colturali di specifiche annate, ma si riflettono sulle caratteristiche pedologiche del terreno, causando una perdita di sostanza organica e, quindi, un significativo impoverimento del suolo. Se non si inverte la rotta – questo l’allarme lanciato a più riprese dalla comunità scientifica – le conseguenze di questi fenomeni si faranno sentire, sempre più amplificate, per un lungo lasso di tempo. Del resto, secondo recenti stime della FAO, già oggi più di un terzo della superficie coltivata mondiale è in condizioni di degrado moderato (8%) o elevato (25%), a causa della salinizzazione, alla perdita di sostanza organica, alla desertificazione. Ciò significa che l’economia agraria globale sta perdendo una parte assai significativa del proprio “capitale verde” proprio nel momento in cui l’incremento demografico mondiale impone al settore primario un importante sforzo produttivo per soddisfare la crescente domanda di cibo.
L’agricoltura conservativa arma contro il riscaldamento globale. La tematica, che interessa le economie agricole di tutto il mondo, è stata al centro della rassegna bolognese dove si sono confrontati stakeholder, decisori pubblici, tecnici e operatori del settore agricolo e agromeccanico. I relatori hanno partecipato ai numerosi eventi dedicati alla questione climatica, soffermandosi non soltanto sulle cause del global warming, rispetto alle quali la comunità scientifica ha da tempo confermato l’origine antropica, ma anche sulle possibili strategie di risposta e di adattamento al nuovo scenario. Peraltro, come ha sottolineato Luigi Sartori dell’Università di Padova, a differenza di altri contesti produttivi, nel corso di un faccia a faccia con Davide Gnesini, responsabile del servizio tecnico FederUnacoma. Gli effetti del global warming sui sistemi agricoli sono molteplici e preoccupanti, a partire dall'erosione e dal degrado del suolo dovuti all’alternanza di siccità e “bombe d’acqua”, che ha detto Sartori, trascinano via gli strati fertili. Il rilascio di CO2 dal terreno durante i processi di mineralizzazione della materia organica contribuisce ulteriormente all'aggravarsi della crisi climatica. Per contrastare tali effetti – ha spiegato il docente universitario – è possibile adottare le tecniche dell’agricoltura conservativa (a bassi input) integrate a quelle di precisione (ad alta tecnologia); queste sono in grado di preservare la struttura e la fertilità del suolo, avvalendosi di macchinari e tecnologie digitali che permettono di razionalizzare l'impiego di risorse come acqua e fertilizzanti. In tale ottica anche il ricorso a varietà colturali più resistenti, e quindi più adattabili alle nuove condizioni ambientali, rientra a pieno titolo nelle azioni di contrasto del riscaldamento globale.
I crediti di carbonio, opportunità da gestire. In tali strategie rientrano anche la razionalizzazione e l’ottimizzazione delle fonti di approvvigionamento energetico, nonché la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Queste ultime – è stato evidenziato nel corso del convegno intitolato “Crediti di carbonio, un’opportunità per tutti i settori” – sono essenziali e complementari alla riduzione delle emissioni di gas serra di origine fossile e biogenica. «Il monitoraggio delle variazioni degli stock di carbonio organico nel suolo e delle emissioni nette di gas serra, la revisione e la loro verifica – ha detto Michele Pisante dell’Università di Teramo – sono fondamentali per agevolare gli investimenti in pratiche sostenibili che mantengano o aumentino gli stock di carbonio organico nel suolo stesso». «Il carbon farming è l’insieme delle pratiche agricole che – ha spiegato Angelo Frascarelli dell’Università di Perugia – favoriscono l’assorbimento dei gas serra nel suolo e nella vegetazione». Oltre a costituire una nuova forma di sostegno al reddito per l’agricoltore, il carbon farming fornisce dei co-benefici: resistenza a fattori abiotici e biotici, preservazione del suolo, riduzione dei fenomeni erosivi, aumento della produttività delle colture e del suolo; generazione di un elevato turnover della biomassa sopra e sotto il suolo. Il carbon farming, quindi, non solo consente all’agricoltore di contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici ma aumenta anche la resilienza dei sistemi agricoli al cambiamento climatico. Le lavorazioni e la meccanizzazione possono incidere notevolmente sulla gestione del carbonio. «Affiancare l’agricoltura di precisione all’agricoltura conservativa è strategico – ha rimarcato l’agronomo padovano Lorenzo Benvenuti – soprattutto se si aspira a sfruttare il Carbon sink in chiave politica ed economica, come tracciabilità. Il ‘Carbon sink’ è anche occasione di sinecologia, di fertilità, di riduzione dei costi di coltivazione. Una via per il Carbon sink la troviamo nell’agricoltura conservativa che chiede minime lavorazioni, cover crop e un approccio elastico».
I biofertilizzanti per fermare il degrado dei suoli. L’incremento globale delle temperature e gli eventi estremi ad esso associati sono soltanto la punta dell’iceberg, la manifestazione più evidente, di un fenomeno che in realtà produce effetti a cascata. Meno appariscenti per certi versi, ma estremamente dannosi nel medio e lungo periodo. A destare preoccupazione, in particolare, è il già citato impoverimento del terreno, che in tutto il mondo sta sottraendo migliaia di ettari al ciclo produttivo. È proprio per questo che le attività finalizzate al ripristino della fertilità dei suoli assumono un ruolo di primo piano nelle azioni di contrasto al riscaldamento globale. In tale prospettiva, la decarbonizzazione rappresenta dunque il tassello di una strategia più ampia che, oltre all’abbandono delle fonti fossili e alla valorizzazione delle energie alternative, prevede un insieme di interventi finalizzati a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Il tema ha avuto ampio risalto ad EIMA International nell’ambito del Salone EIMA Energy, grazie alle numerose attività promosse da ITABIA, l’Italian Biomass Association. La presentazione di due progetti europei – RuralBioUp e DELISOIL – è stata l’occasione per aprire un confronto fra imprese, associazioni di settore, enti di ricerca e agronomi, sulla valorizzazione dei residui agroalimentari da destinare alla produzione di ammendanti innovativi per le produzioni agricole e per la chiusura del ciclo della fertilità. È essenziale superare le barriere che attualmente ostacolano lo sviluppo di biofertilizzanti – è stato spiegato dai partner italiani del Progetto Europeo DELISOIL (ENEA e Consorzio CINSA dell'Università di Parma) nel corso dell’incontro – così come promuovere una filiera che valorizzi gli scarti e che chiuda il ciclo riportando i nutrienti al suolo. Le iniziative, finanziate dalla Commissione Europea, sono finalizzate a sviluppare soluzioni per il trattamento e il riciclo dei flussi secondari dell’industria alimentare, allo scopo di introdurre prodotti fertilizzanti naturali, rinnovabili e di alta efficacia e qualità. Particolarmente interessanti, al riguardo, i risultati del progetto europeo MULCHING+, che ha come obiettivo la preparazione di bioteli innovativi per la pacciamatura del suolo. Si tratta di una tecnologia altamente innovativa e sostenibile, derivata da cellulosa e da chitosano arricchiti di azoto e fosforo, che permette di rilasciare i nutrienti nel suolo attraverso la completa biodegradazione dei teli. I primi test – è stato sottolineato nel corso degli eventi Itabia – hanno dimostrato che il processo di biodegradazione si conclude in meno di quattro mesi e incrementa del 60% la disponibilità di nitrati e di fosforo, riducendo così la necessità di somministrare fertilizzanti chimici.
L’agrivoltaico continua a crescere. Sul fronte delle energie rinnovabili, a Bologna ITABIA ha sottolineato anche la grande opportunità di crescita dell’agrivoltaico anche in Italia. Sul territorio italiano si contano circa 1,6 milioni di impianti fotovoltaici e la loro diffusione razionale in specifici agroecosistemi è destinata a diventare più capillare grazie agli incentivi previsti dal Pnrr, che ha messo a disposizione 1,1 miliardi. L’agrivoltaico offre dunque importanti prospettive di sviluppo ma – è stato evidenziato nel corso del workshop promosso sul tema “Meccanizzazione e sistemi agrivoltaici: problemi e opportunità” – è necessario che gli impianti (pannelli e strutture di sostegno) si integrino nel migliore dei modi con le colture, le macchine operatrici e il territorio. Per proporre dei modelli di sviluppo «dobbiamo capire tutti gli effetti dell’agrivoltaico sulle colture, sul microclima, sulla temperatura del suolo e comprendere pienamente la loro utilità», ha detto Nicola Colonna, dirigente di ricerca Enea, chiamato a illustrare le differenti tipologie di impianti in relazione alle colture tipiche dell’Italia. Secondo i relatori Alberto Assirelli, dirigente di ricerca Crea, e Danilo Monarca, docente di meccanica agraria all’Università della Tuscia, è indispensabile che negli impianti agrivoltaici, estesi anche per decine di ettari, si evitino interazioni dirette e si riducano al minimo quelle indirette per non compromettere la produzione, sia delle colture che dell’energia.