Tecnologie innovative per contrastare i cambiamenti climatici
Lo sviluppo di macchine e tecniche colturali innovative è l’arma più efficace per contrastare gli effetti del global warming. Dall’agricoltura di precisione e dalle biotecnologie una prima risposta alla siccità e all’innalzamento delle temperature. Il percorso è lungo ma la strada appare definita
Il clima è cambiato. Senza scomodare monsieur de La Palice dovrebbero bastare pochi numeri ufficiali per convincere i più pervicaci sostenitori del contrario. Secondo il Noaa, il National Climatic Data Centre statunitense, il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre sul pianeta con una temperatura sulla superficie terrestre e dei mari che è risultata superiore di oltre un grado (1,18) a quella media del ventesimo secolo e superiore di 0,15 gradi il precedente record del 2016. In Europa il quadro non cambia: il 2023 è secondo solo al 2020 come anno più caldo, con una temperatura di 2,15 gradi superiore alla media storica 1910 - 2000. E se si guarda l’Italia lo spartito è lo stesso. Forse declinato in peggio. In Italia il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato con una temperatura media superiore di 1,14 gradi rispetto alla media storica del periodo 1991-2020, secondo i dati Isac, l’Istituto di scienze dell’atmosfera del Cnr che rileva le temperature dal 1800. Un dato che s’inserisce in una classifica preoccupante: sette degli anni più roventi degli ultimi due secoli sono concentrati nell’ultimo decennio. Con una tendenza che pare non cambiare. I primi mesi 2024 hanno fatto registrare una temperatura di circa un grado e mezzo superiore a quella media storica. E, senza ridondare sul celebre militare francese diventato simbolo dell’ovvietà, anche sul fronte precipitazioni le cose sono cambiate poiché, al di là di un calo generalizzato delle precipitazioni, pare evidente che i ‘classici’ 600 mm di pioggia caduti in un anno non sono in nessun modo comparabili con i sempre più frequenti 600 mm scesi in due giorni. Gli effetti di questi ultimi fenomeni nel breve (alluvioni e danni) e nel medio-lungo (l’acqua se ne va e non viene incamerata) sono sensibilmente diversi. Decisamente più negativi.
Le risposte possibili. In questo scenario il sistema agricolo non può e non deve rimanere inerte. Le risposte possibili sono diverse e si muovono su alcuni grandi filoni. Che hanno il minimo comune denominatore nell’innovazione e nella ricerca. Si tratta da un lato di spingere sull’adattamento e sulla resistenza delle coltivazioni agli stress ambientali (idrici e termici) e alle nuove insidie fitopatologiche favorite dal cambiamento climatico. Dall’altro di limitare gli effetti delle pratiche clima-alteranti, prima fra tutte l’emissione dei gas serra. Dall’altro ancora di agire sul fronte delle tecnologie per utilizzare al meglio i fattori produttivi, acqua compresa. In quest’ultimo caso parliamo di agricoltura di precisione, robotica applicata, motoristica d’avanguardia, vertical farming solo per citare comparti in forte espansione.
La strada appare definita ma il percorso è ancora lungo. Detto che l’obiettivo fissato nel 2016 dalle Linee Guida del Ministero delle Politiche Agricole (ministro Maurizio Martina, ora alla Fao) di avere entro il 2021 il 10% della superficie agricola italiana coltivata con tecniche di agricoltura di precisione non è stato ancora raggiunto, più di qualcosa si è mosso. I dati dell’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano e del Laboratorio Rise dell’Università di Brescia sono freschissimi (marzo 2024) e certificano la crescita esponenziale delle tecnologie di agricoltura digitale. Nel 2017 il mercato dell’agricoltura 4.0 in Italia valeva solo 100 milioni, nel 2022 ha superato i 2 miliardi di euro (2,1 per la precisione) e nel 2023 ha toccato i 2,5 miliardi, con una crescita annuale vicina al 17%. Per converso, la superficie coltivata con soluzioni 4.0 rimane bassa: dal 6% del 2021 è salita all’8% del 2022 e ora è valutata intorno al 9%. Certo, il settore è in fermento visto che vede impegnate oltre 300 aziende agritech e che, secondo lo stesso Osservatorio, le misure di agricoltura di precisione e digitalizzazione del lavoro avrebbero già permesso una riduzione di consumi di combustibile di almeno il 10% e dei tempi di lavorazione superiore al 30%. Sempre secondo le stime dell’Osservatorio, le tecniche del precision farming avrebbero determinato un calo dei costi medi di produzione intorno al 15%; un aumento delle rese stimato tra il 7 e il 15% per i cereali e, infine, un incremento della produzione di latte negli allevamenti, valutata nell’ordine del 10-15%. Le imprese, da quelle grandi a quelli di nicchia, si stanno dunque adoprando con fervore.
Motori a basse emissioni. Partiamo dai ‘superinvestimenti’ relativi ai motori. È vero, come ricorda FederUnacoma, che il mercato delle macchine usate risulta in forte espansione da almeno un lustro, che l’accumulo di macchine obsolete è una realtà evidente e che ciò inficia gli sforzi di ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici. Ma è altrettanto vero che molti costruttori sono da tempo impegnati nello sviluppo di mezzi innovativi alimentati a biometano o a zero emissioni (ad es. elettrico). I quali, ricorda la stessa Federazione, andrebbero maggiormente incentivati visto la loro presenza ancora ridotta sul mercato. Sul fronte elettrico sono diversi i costruttori già in pista: Antonio Carraro, Argo Tractors con Landini, Bcs, Goldoni, Sdf con Vitibot solo per citare alcuni italiani, ai quali si aggiungono i big mondiali New Holland, Agco con Fendt, Kubota e in parte John Deere con il progetto Sesam, e i molti player indiani (Farmtrac, Solis, Tafe). Un elenco in continuo aggiornamento visto che proprio l’elettrico è dai più considerato come la vera soluzione per l’abbattimento delle emissioni dirette di CO2. Una realtà che è già percorribile nei segmenti delle piccole e medie potenze ma che nelle alte potenze si scontra con la capacità (invero, in questo momento la difficoltà considerati pesi e ingombri) delle batterie di erogare potenze comparabili a quelle ottenibili con il classico gasolio. A ciò si aggiungono costi ancora non del tutto competitivi. L’elettrico rimane comunque la prima opzione per il futuro e quella in uno stadio più avanzato. Anche perché l’idea dell’idrogeno pare ogni giorno allontanarsi di più e il metano (anche nella versione bio) che ha già fatto passi importanti sul fronte macchina – ad esempio con New Holland – deve ancora aggiustare il tiro nella gestione della rete e dell’approvvigionamento. Secondo l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, il settore agricolo contribuisce per circa il 9% alle emissioni nazionali di Ghg (greenhouse gas, gas a effetto serra) che in alte concentrazioni provocano il surriscaldamento dell'atmosfera e favoriscono il cambiamento climatico. Oltre a limitare le emissioni dirette, è dunque necessario razionalizzare le operazioni colturali. Con la precisione e l’aiuto delle nuove tecnologie, anche robotiche.
Robot amico. Il mercato è letteralmente esploso: nel 2020 si stimava valesse fra i 4 e i 5 miliardi di dollari, nel 2024 dovrebbe toccare i 10 miliardi di dollari con una previsione di un ulteriore raddoppio nell’arco del prossimo biennio. Robot agricoli e intelligenza artificiale sono ormai considerati alleati preziosi per il miglioramento dei processi produttivi e, conseguentemente, per la riduzione del loro impatto ambientale. Una volta risolti alcuni problemi di normativo, tuttora deficitario, diventeranno di uso comune in un arco di tempo stimato in pochi lustri. Invece, sono già operative le realtà di agricoltura verticale, sistemi di coltivazione su più livelli che permettono di produrre in maniera automatizzata e controllata, indipendentemente dalle condizioni climatiche. Il recupero quasi totale delle risorse idriche utilizzate e l’uso pressoché nullo di agrofarmaci porta a risparmi del 95% di acqua e fra l’85 e il 90% di suolo, producendo senza soluzione di continuità per l’intero arco dell’anno. Certo, l’investimento iniziale è rilevante, ma i casi di Planet Farms e la recente apertura nel Veronese da parte di Kilometro Zero dell’impianto più ampio del “vecchio continente” inducono a pensare che le vertical farms siano un’altra risposta azzeccata agli effetti del cambiamento climatico.
Precisione per il risparmio. Effetti che trovano nell’agricoltura di precisione la risposta principale. Con microirrigazione e fertirrigazione a fare da esempio applicativo immediato e già utilizzato in molte imprese agricole. Tecnica e tecnologia sono ormai consolidate: conoscendo in anticipo i dati del suolo e le esigenze delle colture, e combinando questi dati con quelli relativi all’andamento stagionale è possibile dosare con precisione gli interventi irrigui, gli apporti di fertilizzanti e ormai spesso anche gli interventi di difesa. Con evidenti riduzioni dei consumi di mezzi tecnici, dell’impatto ambientale e, nondimeno, dei costi colturali. Le case history sono molteplici. Ne sono un esempio i sistemi di fertilizzazione e irrigazione completamente automatizzati, alimentati da impianti a energia solare, autosufficienti anche in aree non raggiunte dalla rete elettrica. Ma lo sono anche le piattaforme che integrano i sistemi di irrigazione intelligenti per la gestione degli interventi irrigui con i sistemi di telecontrollo delle catture di insetti. Peraltro, tali piattaforme forniscono una previsione circa lo sviluppo delle popolazioni degli insetti stessi, indirizzando così l’agricoltore verso tempi e modalità di intervento ottimali. Ma quale può essere l’impatto di queste tecnologie? Ovviamente diverso in funzione di molteplici variabili (tipologia di sistema, coltivazione, capacità d’intervento). Di certo rilevante. Un recente studio dell’Università di Bologna realizzato monitorando l’umidità del suolo attraverso sensori in un impianto di kiwi giallo del Ravennate ha permesso di elaborare un’efficace strategia irrigua che ha portato fra giugno e ottobre 2023 al risparmio del 41% del consumo di acqua.
Altra soluzione è quella della subirrigazione con sistemi Ultra Low Drip Irrigation (distribuzione a bassa portata degli erogatori), in grado di distribuire anche solo 0,6-0,7 l/h. Ciò comporta pluviometrie dell’impianto comprese tra 0,4 e 0,8 mm/h e tempi prolungati di funzionamento, fino anche a 10 ore al giorno. Il rilascio lento di acqua corrisponde al consumo idrico istantaneo della pianta nel corso della giornata: le perdite d’acqua per percolazione profonda praticamente si annullano, si riduce la lisciviazione dei nutrienti e si evitano fenomeni di ruscellamento. Con questo sistema, secondo i dati raccolti nell’ambito del progetto Water4agrifood, oltre a una maggiore efficacia dell’irrigazione, è possibile ottenere risparmi idrici nell’ordine del 30%.
Sul fronte delle tecniche per il risparmio di fertilizzanti finalizzato a di ridurne l’impatto ambientale, la Fao inserisce la Deep urea placement: posizionando l’urea in minori quantità, ma a maggiore profondità nel suolo, è possibile aumentarne l’efficacia e contenerne la dispersione nell’ambiente, diminuendo indirettamente anche le emissioni di gas serra connesse alla sua produzione. Diverse prove sull’utilizzo di formulati fogliari inseriti in strategie di agricoltura di precisione hanno evidenziato una riduzione dell'impronta di carbonio superiore al 90%.
Il supporto della genetica. La chiusura è per la genetica, che può aiutare in maniera significativa a contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Dopo anni di stand-by l’Unione europea ha presentato una nuova proposta di regolamento relativa al miglioramento delle piante, aprendo alle Tea, le tecniche di evoluzione assistita. L’obiettivo è quello di arrivare a colture più adatte a resistere a siccità e patogeni. Ci vorrà un po’ di tempo. Intanto in molte aree del mondo sono già arrivati i primi risultati. Ad esempio, il programma Drought tolerant maize for Africa, coordinato dal Centro internazionale per il miglioramento del mais e del grano (Cyynt) e dall’Istituto internazionale per l’agricoltura tropicale (Ciat) ha permesso di sviluppare e distribuire più di cento varietà di mais particolarmente resistenti alla siccità. Varietà che potrebbero rivelarsi fondamentali per preservare la sicurezza alimentare nella regione sub-sahariana. Più vicino a noi si può citare il virtuoso caso dei vitigni resistenti (Piwi); varietà sviluppate nel corso dell’ultimo decennio in grado di contrastare gli attacchi delle malattie fungine, peronospora e oidio in primis. In sostanza, se il clima cambia anche gli strumenti e le opzioni a disposizione dell’agricoltore devono cambiare. I prodromi ci sono tutti.