Allarme forniture: l'alternativa agro-energetica
Il conflitto tra Russia e Ucraina sta comportando costi elevatissimi dal punto di vista umano, economico e sociale. Oltre alle conseguenze dirette della guerra, occorre considerare quelle collegate alla crescita dei prezzi dell’agrifood, causata dall’impennata di carburanti e fertilizzanti. L’economia circolare e le fonti rinnovabili sono centrali per contrastare insicurezza alimentare e caro-energia
Non abbiamo fatto in tempo a tirare un sospiro di sollievo per l’allentarsi della stretta pandemica, che già siamo oppressi da un conflitto armato che presenta risvolti imprevedibili. Dopo due anni in cui abbiamo spesso sentito paragonare gli effetti del Covid-19 a quelli di una guerra (morti, restrizioni delle libertà, distanziamento sociale, crisi economica, ecc.), oggi ci troviamo ad affrontare una “operazione militare speciale” che può degenerare in guerra globale. La crisi tra Russia e Ucraina, una questione teoricamente risolvibile con gli strumenti della diplomazia, sta infatti prendendo una pessima piega con la minaccia di un ricorso più o meno concreto all’uso di armi nucleari.
L’ipotesi atomica, tuttavia, non è collegata soltanto allo scenario bellico ma si sta presentando come una delle possibili opzioni energetiche alternative rispetto alle forniture russe di gas naturale e di petrolio. Di fronte al dramma della nazione ucraina e al rischio di un’escalation internazionale, focalizzare l’attenzione su questioni energetiche (mercati e costi) potrebbe sembrare cinico, ma – come componente della crisi in atto – è un fattore che va attentamente considerato.
Nel giro di poche settimane – per effetto di un repentino incremento dei prezzi dei carburanti – sembrano infatti essere finiti in secondo piano i progetti “green” di ripresa e resilienza. La crisi energetica di questi giorni, infatti, sembra stia rilanciando lo sfruttamento massiccio delle fonti fossili (tra cui il carbone, usato per alimentare le centrali termoelettriche) o spingendo verso soluzioni che, come il nucleare di IV generazione, sono basate su tecnologie non ancora mature. Invece, in questa intricata vicenda, il ruolo delle rinnovabili si conferma ancora più strategico, sia sul piano ambientale – visto che la crisi climatica non è stata risolta – sia per una maggiore autonomia energetica in un quadro geopolitico sempre più complesso. Oggi più che mai ci rendiamo conto di quanto lo sviluppo delle FER ci avrebbe messo al riparo dalle incertezze delle forniture estere. Infatti, a seguito di una sempre minore capacità estrattiva dei giacimenti del Mare del Nord, gli approvvigionamenti dell’UE con il gas di produzione russa sono sensibilmente aumentati. Se all’inizio del 2000 il gas importato dalla Russia serviva a soddisfare circa il 30% dell’intero fabbisogno europeo, oggi abbiamo toccato il 46%. In questo quadro le forniture provenienti dal Mare del Nord occupano il secondo posto (17%), mentre il resto ci arriva da Algeria, Libia, Azerbajian o (via nave) dal Qatar, tutti Paesi con cui non è facile definire accordi sul lungo periodo.
Per quanto riguarda l’Italia il consumo di gas naturale, fondamentale per la produzione elettrica nazionale, si è attestato nel 2021 sui 71 miliardi di metri cubi. Di questi quasi circa il 38% è stato fornito proprio dalla Russia, il 28,5% dall'Algeria, 9,8% dal Qatar, il 4,3% dalla Libia e solo il 2,4% proviene dal Mare del Nord.
Altro aspetto di grande importanza – connesso al blocco delle forniture e all'aumento delle quotazioni del gas naturale innescate dal conflitto tra Russia e Ucraina – è dato dall’aumento sensibile del costo dei fertilizzanti, sia a base d’azoto (urea, nitrato ammonico), sia a base di potassio e fosforo, essenziali al comparto agricolo per assicurare gli standard produttivi del food.
Come se non bastasse, l’impennata dei costi coincide con l'avvio delle semine primaverili (mais, soia e sorgo) e dalla fase di concimazione dei cereali autunnali come il grano. Questi rincari sono un effetto collaterale delle sanzioni economiche inflitte alla Russia primo esportatore mondiale di fertilizzanti, mentre l'Ucraina, con i porti oggi bloccati, ha un ruolo importante per l'export dell'urea (ottavo al mondo).
Secondo stime della Coldiretti, la coltivazione del grano in Italia costerà quest’anno circa 400 euro in più all’ettaro, dal seme fino alla trebbiatura. Con il rincaro dei carburanti nell’ordine di circa il 50%, per ogni ettaro le operazioni agromeccaniche in campo costano circa il 15% in più di prima. In questo quadro si è notato che gli investimenti nelle nuove tecnologie 4.0 hanno permesso a molti agricoltori di contenere i danni ottimizzando l’impiego dei mezzi tecnici della produzione e permettendo così un maggiore efficientamento delle operazioni. Inoltre, notevoli vantaggi sono derivati dallo sviluppo delle agroenergie in particolare per le filiere della bioenergia e per il fotovoltaico sui tetti di stalle e capannoni. Alla luce di tali aspetti, Ettore Prandini (presidente di Coldiretti) ha espresso la necessità di “cogliere le opportunità che vengono dall’economia circolare e dotare l’Italia di una riserva energetica sostenibile con la filiera del biometano agricolo” con cui si potrà soddisfare una quota consistente del fabbisogno nazionale di gas. A tal proposito le stime del Consorzio Italiano Biogas (CIB) al 2030 quantificano il potenziale del biometano agricolo in circa 6,5 miliardi di metri cubi/anno, a cui va aggiunta una quota di biometano derivato dalla frazione organica dei rifiuti urbani (1,5 miliardi di mc), per un totale di 8 miliardi di metri cubi. Quindi potremmo arrivare a coprire il 10-15% della domanda attuale.
Un ulteriore vantaggio delle filiere produttive del biometano è la possibilità di impiegare il residuo del processo di digestione anaerobica delle biomasse agricole (digestato) come fertilizzante organico, al posto dei concimi chimici prodotti da fonti fossili. Proprio grazie al ricorso a forme di fertilizzazione organica, molte aziende agricole italiane stanno alleggerendo il peso degli incrementi dei costi d’acquisto per i fertilizzanti chimici.
Il biometano dunque ha un ruolo strategico di primaria importanza, ma nonostante la maturità tecnologica e culturale raggiunte, si registra ancore un forte ritardo rispetto all’auspicato sviluppo del settore e resta un ampio divario tra obiettivi annunciati e progetti effettivamente realizzati. In tale ottica occorre attivare tutti gli strumenti necessari a velocizzare progetti e investimenti, che finora sono rimasti bloccati dalla burocrazia, dal vuoto normativo e anche dalle opposizioni locali alla realizzazione degli impianti. Basti pensare che – ancora oggi – la tempistica per realizzare un impianto di biometano agricolo, senza contare eventuali intoppi a livello di permitting, è normalmente di un anno e mezzo, di cui sei mesi per le autorizzazioni e altri 12 per la costruzione vera e propria, più il tempo per la messa in esercizio.
In conclusione il settore agricolo, pur soffrendo fortemente gli effetti di questa sciagurata guerra, può figurasi anche come uno strumento utile per affrontare questa crisi ed evitarne altre. Fa quindi preoccupare il fatto che – secondo l'intelligence del ministero della difesa ucraino – le forze armate russe hanno preso di mira le macchine agricole. Proprio in queste settimane infatti è previsto l'avvio della campagna di semina dei cereali, che naturalmente necessita dell'impiego di trattori e seminatrici (non certo carri armati o missili) per garantire la sicurezza alimentare in Ucraina e in tanti altri Paesi tra cui l’Italia.