Il biometano di origine agricola: tecnologia, sostenibilità e prospettive
Per ottenere il biometano è essenziale il processo di upgrading, vale a dire l’eliminazione dell’anidride carbonica dal biogas. Oggi disponiamo di diverse soluzioni tecnologiche efficienti che, supportate da norme e incentivi più chiari, possono agevolarne la diffusione
La necessità di ridurre le emissioni di gas serra accelera la transizione verso fonti energetiche rinnovabili. La decarbonizzazione dell'energia, con la conseguente ricerca di soluzioni sostenibili sono al centro delle strategie energetiche di molti paesi, Italia compresa. Seppur caratterizzata dall’offerta di molti prodotti di nicchia, l’attività agricola e agro-industriale in Italia è focalizzata su diverse filiere (lattiero casearia e zootecnica, oleicola, vitivinicola, patata, ecc.) che generano volumi considerevoli di sottoprodotti e residui organici. Prima dell’industrializzazione di questi settori, la gestione dei cosiddetti “scarti” avveniva localmente, secondo quella che si potrebbe definire un’economia circolare ante litteram. Oggi però la loro gestione nella maggior parte dei casi pesa per una quota non trascurabile del costo di produzione. Grazie all’avvento di nuove tecnologie, all’evoluzione di soluzioni un tempo non ottimizzate e all’aggiornamento delle politiche energetiche, questi sottoprodotti e residui agro-industriali sono ora visti come una risorsa, che può essere convertita in energia “pulita e sostenibile”.
Il biometano. Anche alla luce di un quadro normativo finalmente più chiaro, sta assumendo un progressivo interesse la filiera di produzione del biometano, derivante dalla depurazione del biogas prodotto a seguito della digestione anaerobica di biomasse di origine agricola. Si tratta di un processo promettente per diversi motivi: non solo offre un’alternativa sostenibile ai combustibili fossili, contribuendo così alla riduzione delle emissioni di gas serra, ma può anche rappresentare un’ulteriore fonte di reddito, integrando e diversificando le attività tradizionali. I possibili impieghi del biometano sono sovrapponibili a quelli del gas naturale. Il biometano infatti può essere utilizzato come combustibile per la cogenerazione (elettricità e calore), in impianti centralizzati e/o associati a grosse utenze termiche o domestiche, e come carburante per l’approvvigionamento delle stazioni di rifornimento collocate in prossimità dell'impianto di produzione (tenendo conto di un’opportuna rete di distribuzione del gas). Il biometano dunque è un vettore energeticamente flessibile, e quindi più efficiente, rispetto al biogas da cui viene ricavato. Tale efficienza risulta ancor più significativa se si tiene conto che oggi il biometano può essere utilizzato anche in impianti centralizzati, collocati esattamente dove la produzione di energia termica può essere adeguatamente valorizzata. Dunque vale la pena di entrare nel dettaglio delle peculiarità di questi sistemi, analizzandone gli aspetti tecnologici e operativi, le potenzialità, le criticità, ma anche il livello di sostenibilità economica e ambientale.
Aspetti tecnologici e operativi. Nella fase di digestione anaerobica, gli elementi base della biomassa (carboidrati, proteine e grassi) sono decomposti da microrganismi specifici, in assenza di ossigeno, e convertiti per il 60% circa in metano e 40 % in anidride carbonica. Un aspetto chiave per la stabilità del processo è il controllo della temperatura: la presenza di un cogeneratore nell’uso del biogas per l’alimentazione di un motore endotermico accoppiato ad un gruppo elettrogeno garantisce una quantità di calore più che sufficiente per il riscaldamento del digestore.
Purificazione e upgrading. Oltre al metano e anidride carbonica, il biogas “grezzo” contiene vapore acqueo e altre impurità, come ammoniaca gassosa e tracce di idrogeno solforato, che seppur presenti in limitata percentuale devono essere eliminate, tramite un processo definito di purificazione e “upgrading”, al termine del quale si ottiene un gas composto da metano al 95-98% (Figura 1).
La purificazione prevede deidratazione, desolforazione, rimozione di ammoniaca gassosa e polveri, ed è attuato tramite l’impiego combinato di chiller (per la deumidificazione), scrubber (per l’eliminazione dell’idrogeno solforato), filtri, anche a carboni attivi, ecc. L’upgrading è invece finalizzato all’eliminazione dell’anidride carbonica, e può essere realizzato tramite diversi metodi, come ad esempio la compressione, l’adsorbimento, l’assorbimento, la separazione tramite membrane selettive e la separazione criogenica. Tra le diverse opzioni, quella della separazione mediante membrana selettiva non richiede l’impiego di additivi chimici, poiché il biogas, preventivamente compresso, attraversa semplicemente una membrana di origine polimerica, che trattiene l’anidride carbonica e le altre impurità tramite permeabilità selettiva, con un ottimo rendimento di processo (Figura 2). Tra le numerose opzioni in commercio, il BioCH4nge di AB è disponibile in taglie standardizzate da 150 a 2.500 Nm³/h, complete di sistemi di pre-trattamento che possono essere utilizzate anche con impianti biogas già operativi. Il biogas estratto dalla cupola gasometrica o dal gasometro è prima filtrato e deumidificato poi viene compresso e raffreddato e, infine, viene inviato alla successiva fase di trattamento. Per rimuovere le impurità il biogas viene fatto passare attraverso un letto a carboni attivi che, grazie alla possibilità di invertire i flussi, alla presenza di bypass e al sezionamento del singolo filtro, garantisce la massima flessibilità. Successivamente il gas, oramai deumidificato e purificato è pronto per l’upgrading che è basato sull’impiego di membrane selettive. Il biometano viene prodotto a una pressione in un range variabile da 7 a 15 bar per minimizzare i consumi, ma anche agevolare dove necessario l’immissione in reti di distribuzione.
Approvvigionamento della biomassa. Uno degli aspetti operativi da valutare con attenzione, già in fase di progettazione e dimensionamento degli impianti, è l’approvvigionamento della biomassa. Come per gli impianti di biogas anche quelli di biometano devono operare in continuo, ed è quindi necessario garantire un adeguato approvvigionamento delle matrici organiche, eventualmente da soddisfare con opportune dinamiche di stoccaggio. Per gli impianti alimentati con sottoprodotti agro-industriali (ad es. residui di lavorazione di colture industriali, sottoprodotti della vinificazione) occorre considerare la stagionalità delle diverse biomasse da processare
Possibili criticità. In primis, l’investimento iniziale per la costruzione e l’avvio di un impianto di biometano è certamente importante al biogas. A fronte dell’assenza del cogeneratore bisogna comunque prevedere i sistemi di purificazione e upgrading, che portano il costo complessivo per unità di biomassa digerita ad un livello più alto di quello tipico del biogas. Un altro aspetto che oggettivamente in passato ha frenato la diffusione del biometano è stata l’incertezza normativa riguardo al meccanismo di incentivazione; questa criticità è stata ora in gran parte superata, e oggi c’è certezza legislativa in merito. Se dal punto di vista ambientale, e in particolare per l’emissione di gas climalteranti, la produzione e l’uso di biometano è maggiormente sostenibile rispetto al gas naturale, alcuni impatti a scala locale come l’uso del suolo, la gestione del digestato, la produzione di sostanze acidificanti ed eutrofizzanti possono rappresentare un problema. Nel dettaglio, relativamente all’impronta di carbonio, il biometano si presenta come sostanzialmente “neutrale” poiché durante il suo utilizzo viene reimmessa in atmosfera anidride carbonica che è stata precedentemente fissata nella biomassa con la fotosintesi. Quindi, anche considerando le emissioni legate alle operazioni di trasporto e stoccaggio delle biomasse e quelle legate alla costruzione e alla gestione dell’impianto, rispetto al gas naturale di origine fossile, le riduzioni dell’impronta di carbonio sono considerevoli e nei casi più favorevoli possono superare il 70%. Occorre considerare che la digestione di biomasse non sempre di origine locale comporta l’aumento del carico di azoto e fosforo nei pressi dell’impianto. La gestione del digestato prodotto deve quindi essere razionalizzata perché, se da un lato è vero che si tratta di un fertilizzante organico facilmente utilizzabile, dall’altro il suo trasporto su lunghe distanze è antieconomico.