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Biomasse

Il Cippato da Short Rotation Forestry a bassa intensità di meccanizzazione

Per superfici ridotte, il ricorso ad una meccanizzazione meno spinta delle operazioni chiave del ciclo colturale, come ad esempio la raccolta e l’espianto con la triturazione delle ceppaie, può rappresentare una soluzione versatile e razionale. Le positive esperienze già acquisite in tale contesto nel centro e nord Europa sono quantomai incoraggianti

di Andrea Rosario Proto e Jacopo Bacenetti
ottobre - novembre 2022 | Back

La produzione di biomasse legnose si è recentemente diffusa in alcune regioni italiane soprattutto con riferimento al pioppo. Grazie ad alcune specifiche misure dei PSR di Lombardia e Veneto, negli scorsi anni la superficie destinata a questa coltivazione ha raggiunto, per poi stabilizzarsi, qualche migliaio di ettari. Nell’ambito delle colture legnose a rapido accrescimento (le cosiddette Short Rotation Forestry, SRF), rispetto ad altre specie come il salice, l’opzione pioppo è sostanzialmente collegata ad una maggior conoscenza delle tecniche di coltivazione da parte degli operatori agricoli. In verità, da un punto di vista produttivo e della semplicità di coltivazione, non ci sono ragioni per privilegiare il pioppo al salice. Prova ne sia che nel resto d’Europa, soprattutto nel centro-nord, è infatti proprio il salice la specie più coltivata.

In ogni caso, i punti chiave della tecnica colturale sono sempre i medesimi, ovvero la durata del ciclo colturale (il periodo tra la messa e dimora e l’espianto della coltura), il turno di ceduazione (l’intervallo tra due ceduazioni), la densità di impianto e la meccanizzazione delle lavorazioni di campo.

Meccanizzazione e sostenibilità economica della filiera, sono le criticità che più hanno limitato la diffusione di queste coltivazioni. Al momento, alcune fasi del ciclo colturale (ad es. la messa a dimora e la raccolta) richiedono operatrici dedicate, che non sono solitamente disponibili nel parco macchine delle aziende agricole degli areali in cui si sono diffuse le SRF. Se per tutte le altre cure colturali si possono adottare con profitto attrezzature comunemente impiegate anche per i seminativi, per la messa a dimora sono necessarie specifiche trapiantatrici, mentre per la ceduazione si devono impiegare falciatrinciacaricatrici comunque dotate di un’apposita testata di taglio o addirittura macchine di derivazione forestale. La possibilità di “semplificare” la meccanizzazione di queste specifiche lavorazioni, ricorrendo ad operatrici di taglia limitata, potrebbe favorire le SRF anche dove la superficie disponibile è modesta, e quindi tale da non giustificare il ricorso a mezzi di grandi dimensioni (siano essi di proprietà o del contoterzista). Diversamente da altri paesi del centro-nord Europa, dove l’adozione di una parziale meccanizzazione è più frequente, una simile soluzione è tuttora raramente adottata in Italia. Viceversa, una simile opzione è stata applicata con successo in Romania su coltivazioni di SRF di salice con cicli di taglio di 2 e 3 anni.

 

Tecnica colturale

I cloni di salice sono stati messi a dimora nel 2011, prevedendo una ceduazione sia biennale che triennale. Il ciclo colturale ha previsto sia lavorazioni inerenti l’annata della messa a dimora o del ripristino del terreno che attività svolte ciclicamente e ripetute nel corso di ogni rotazione. La messa a dimora prevede una routine simile a quella eseguita per la preparazione di un classico letto di semina, ovvero una lavorazione primaria del terreno, con aratura a 35 cm di profondità e un amminutamento dello strato lavorato tramite erpicatura. Lo scopo è di favorire un’ottimale adesione del terreno alle talee, in modo da ridurre le fallanze dovute alla disidratazione del materiale di impianto. Per mezzo di una trapiantatrice dotata di due apri-solco nella parte anteriore, le talee (della lunghezza di 18-20 cm e 20 mm di diametro) vengono collocate a dimora manualmente in posizione verticale, per essere immediatamente interrate con una coppia di ruote chiudi-solco. Alla fine dell’anno della messa a dimora è eseguito il taglio di formazione: i giovani germogli sono recisi con un decespugliatore, per stimolare l’emissione di nuovi polloni, più numerosi e vigorosi. La fertilizzazione prevede la distribuzione di urea, in ogni anno della rotazione, dopo la ceduazione e il diserbo. Considerando le caratteristiche climatiche dell’areale di coltivazione e l’attuale assenza di specifici patogeni e parassiti, la coltivazione non prevede né irrigazione né trattamenti di difesa fitosanitaria. La raccolta è parzialmente meccanizzata, eseguita da coppie di operatori: il primo taglia i rami con un decespugliatore, mentre il secondo ne orienta la caduta a terra su un unico lato, accumulando poi manualmente il materiale, per alimentare una cippatrice azionata dal trattore, che lancia il prodotto sminuzzato in un rimorchio, per il successivo trasporto al sito di stoccaggio aziendale. Una soluzione alternativa prevede invece di raggruppare i polloni tagliati in piccoli fasci, caricarli su un rimorchio per il trasporto al punto di accumulo, dove successivamente vengono cippati. Questa modalità alternativa ha il vantaggio di sminuzzare il materiale dopo una sua parziale essiccazione – quindi è meno soggetto a fermentazioni e attacchi fungini – ma d’altro canto richiede più manodopera, comportando un incremento dei costi di produzione.

Al termine della ceduazione conclusiva, che viene solitamente programmata al 12° anno, la coltivazione viene espiantata, con la triturazione delle ceppaie rimanenti mediante una fresa forestale. Peraltro, la durata del ciclo colturale può variare; infatti, cicli eccessivamente lunghi possono perdere di convenienza a causa di una progressiva moria delle ceppaie, che comportano una contestuale diminuzione della resa. Sebbene sia il ciclo biennale che quello triennale si caratterizzino per una bassa richiesta energetica, quello con la rotazione più lunga necessita di meno fertilizzante e di un minor numero di talee, poiché l’impianto è meno fitto. In effetti, le rese sono simili, di circa 100 m3/ha l’anno, anche se la rotazione più breve produce un cippato di minore qualità, dovuto al minor diametro dei polloni recisi, e quindi a un contenuto in ceneri maggiore. All’opposto, l’allungamento del ciclo di rotazione renderebbe impossibile il ricorso a decespugliatori per la raccolta, a causa della maggior dimensione delle piante. A tale proposito, alcune esperienze condotte nei paesi del nord Europa hanno confermato che per le piantagioni triennali di salice in suoli particolarmente fertili e/o nel caso di ceduazioni quadriennali, la raccolta debba necessariamente essere effettuata con motoseghe, comportando in tal modo un significativo aggravio economico.

 

Intensità di meccanizzazione

A parte la preparazione del terreno per l’impianto e la rimozione delle ceppaie, tutte le restanti lavorazioni del ciclo colturale descritto richiedono trattori di modesta potenza (che ad esempio azionano cippatrici di taglia ridotta), e attrezzature ad uso manuale (ad es. i decespugliatori). Ciò comporta investimenti economici relativamente modesti e plausibili per un singolo produttore, che in tal modo non deve più necessariamente dipendere dal contoterzista ad esempio per la raccolta effettuata con la falciatrinciacaricatrice.

 

Bilancio energetico

Trattandosi di una coltivazione di biomassa da destinare alla produzione energetica tramite processi termochimici (combustione, gassificazione o pirolisi), un primo indicatore di sostenibilità della filiera è rappresentato senza dubbio dal bilancio energetico. Tramite il metodo della Cumulative Energy Demand (CED, definito anche “consumo di energia primaria”) è possibile calcolare l’energia diretta e indiretta necessaria per produrre un bene, ovvero il cippato in questo caso. Nel caso della SRF a turno biennale, il CED è di 114 MJ/m3 mentre per quello triennale tale valore è leggermente inferiore, di 110 MJ/m3. Considerando una massa volumica apparente media di 300 kg/m3, un’umidità alla raccolta del 45-50% e un potere calorifico inferiore di 18,5 MJ/kg, si ottiene un output energetico variabile tra 2400 e 2700 MJ/m3. Prendendo in considerazione la sola fase di campo della filiera, il bilancio energetico è quindi fortemente positivo, ovvero l’output è di ben 21-24 volte maggiore dell’input. Considerando le attuali criticità della congiuntura energetica, non è irragionevole ipotizzare che in un prossimo futuro possa tornare a crescere l’interesse verso alcune filiere agro-energetiche che negli ultimi anni hanno perso appeal a vantaggio di altre. Per quanto riguarda le SRF, la possibilità di ricorrere a soluzioni meno impegnative da un punto di vista della meccanizzazione e dei relativi investimenti potrebbe facilitare la diffusione di queste coltivazioni da biomassa anche in aree marginali, soprattutto dove non è possibile disporre di ampie superfici.

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