
Agricoltura italiana: si guarda alle nuove generazioni
Le aziende agricole under 40 sono soltanto il 7,5% del totale. Il loro numero è in crescita ma non compensa il progressivo invecchiamento degli agricoltori italiani che hanno un’età media di ben 63 anni. Il ricambio generazionale è fondamentale per modernizzare il settore primario
A partire dai primi anni 2000 l’innovazione tecnologica ha cambiato radicalmente il modo di coltivare, di fare agricoltura. Il processo, iniziato con le prime applicazioni telematiche e con lo sviluppo dei sistemi di comunicazione macchina, è diventato ancora più evidente ed incisivo nell’ultimo quinquennio con il boom dell’agricoltura di precisione, della digitalizzazione dei sistemi produttivi e, oggi, con l’impiego su scala sempre più vasta dei robot agricoli autonomi. Un vero “mutamento di paesaggio”, dunque, che pone con forza il tema del ricambio generazionale nel settore primario. Se è vero, da un lato, che la formazione svolge una funzione essenziale per “istruire” gli operatori al corretto utilizzo delle nuove tecnologie, è altrettanto vero, dall’altro, che sono soprattutto i giovani agricoltori a promuovere l’impiego quotidiano di macchine e dispostivi ad alta innovazione. La questione, che in una fase di transizione come l’attuale interessa le economie agricole di tutto il pianeta, acquista particolare urgenza in un Paese come l’Italia che, con un’età media di 48,4 anni, ha la popolazione più anziana dell’Unione europea (44,5 anni). Il fenomeno dell’invecchiamento demografico si riflette inevitabilmente sulla composizione della forza lavoro del primario. Oggi le aziende agricole under 40 sono appena il 7,5% del totale: vale a dire 97.500 su 1,3 milioni. Il loro numero è in crescita, a conferma di una ritrovata attrattività del lavoro nei campi, tuttavia è ancora insufficiente a ringiovanire un comparto che continua ad essere trainato dagli ultrasessantenni (63 anni l’età media degli agricoltori). Il tema, così rilevante per il futuro della nostra agricoltura, è stato al centro delle kermesse bolognese che ha fatto il punto della situazione, coinvolgendo tutti gli operatori e le categorie interessate. I numeri – è stato sottolineato nel corso del congegno intitolato “Il ricambio generazionale in agricoltura: il futuro nelle mani dei giovani” svoltosi nella seconda giornata di EIMA – ci distanziano molto dal resto d’Europa. Se nel nostro Paese si conta un’impresa su cinque condotta da un giovane sotto i quarant’anni, in Europa la media è di poco inferiore a una su tre, e questo conferma la necessità di favorire un ricambio generazionale anche nell’ottica di una modernizzazione del settore. «Possiamo avere anche la macchina agricola più innovativa del mondo, ma dietro di essa ci deve essere qualcuno che la guida: questo qualcuno è un giovane», ha detto Paola Adami, direttrice di Itasf, Rete degli istituti agrari senza frontiere. Sul totale di oltre 1,3 milioni di imprese agricole attive in Italia solo 100 mila sono gestite da giovani, propensi ad innovare e attenti al tema della sostenibilità. Il convegno – al quale ha partecipato, tra gli altri, il presidente dell’associazione Giovani imprenditori agricoli Enrico Calentini – ha permesso anche di fare un bilancio sull’applicazione della legge 36 del 2024 per l’imprenditoria giovanile in agricoltura, grazie alla presenza, in collegamento da Roma, di Marco Carloni, presidente della commissione Agricoltura della Camera. Secondo Carloni il settore ha oggi due priorità: la necessità di continuare a promuovere l’innovazione tecnologica nel settore primario e di agevolare il ricambio generazionale. Dalla Cia, Confederazione italiana degli agricoltori, attraverso le parole del suo presidente Cristiano Fini, è arrivato però un rilievo critico: non sono ancora stati varati i decreti attuativi della legge 36 che prevede tra gli altri contributi diretti e incentivi fiscali per la formazione. Questi decreti – è stato spiegato – sono necessari per mettere a regime risorse pari a 200 milioni di euro, distribuiti su più anni. Ma soprattutto sono necessari per favorire, proprio attraverso la diffusione di un know how altamente specializzato, l’utilizzo quotidiano di tecnologie più avanzate, sicure, sostenibili ed a più elevato rendimento.