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Dibattito

Biomasse, una campagna contro le fake

Il progresso in chiave sostenibile va supportato oltre che sul piano economico, su quello culturale. Per la realizzazione di opere di pubblico interesse occorre informare e coinvolgere tempestivamente le comunità dei territori interessati. In mancanza di adeguati processi di partecipazione si rischia il blocco di iniziative anche virtuose per timori basati su notizie infondate. In tale ottica Itabia, con FederUnacoma e la rivista Nuova Energia hanno avviato in occasione di EIMA Energy una campagna d'informazione intitolata "Quante balle sulle biomasse"

di Matteo Monni
gennaio - febbraio 2019 | Back

In Italia, come del resto in tutto il mondo, si sente sempre più forte e condiviso il desiderio di cambiamento. Questa necessità viene percepita a tutti i livelli e riguarda gli ambiti più disparati. La preoccupazione per come vanno le cose coinvolge un po’ tutti a partire dal comune cittadino fino ad arrivare al Papa, toccando temi che vanno dalle condotte individuali alle strategie politiche globali.

Sfortunatamente, oggi questa grande e comprensibile voglia di miglioramento viaggia di pari passo con una certa sfiducia nei confronti delle istituzioni (organi o enti istituiti per un determinato fine) deputate a trovare delle soluzioni realistiche a problemi molto complessi.

La diffidenza dilaga ed ecco che in blocco i politici appaiono casta, gli scienziati strumenti delle multinazionali, gli imprenditori meri affaristi, gli impiegati furbetti del cartellino, ecc.

Un effetto collaterale di questa dinamica ci viene dato dal fenomeno NIMBY (Not In My BackYard) che in Italia ha raggiunto dimensioni tali da giustificare la creazione di un Osservatorio.

Dalla ricerca di quest’anno emerge il crollo delle richieste di autorizzazioni o procedure di valutazione d’impatto ambientale per nuovi impianti, il che significa che assistiamo ad un calo di progetti; segnale non certo positivo per un Paese bisognoso di ammodernamento.

Sempre secondo i dati del rapporto “Nimby Forum”, nel 2017 sono state censite 317 contestazioni da parte delle comunità locali verso nuovi progetti per infrastrutture (energia, rifiuti, trasporti, ecc.). La maggior parte delle opposizioni si registrano sul settore energetico (57% dei casi) dove vengono indistintamente respinte, sia le piattaforme per la ricerca di idrocarburi (37 casi), sia le centrali a biomasse (35 casi). In sostanza il segnale è controverso visto che nel contrastare le fonti fossili andrebbero supportate le rinnovabili

Altro settore preso di mira è quello relativo al trattamento dei rifiuti (36%), con l’opposizione ai termovalorizzatori (26 casi), agli impianti di digestione anaerobica e compostaggio (in grado di produrre biogas o biometano e compost di qualità) in 18 casi, agli impianti di trattamento dei rifiuti urbani in (13 casi). Risultano quindi malviste in blocco le diverse opzioni tecnologiche per la gestione dei rifiuti incluse quelle più sostenibili e riconducibili ai principi dell’economia circolare. 

Per chi scrive questo pezzo, salta all’occhio un inspiegabile accanimento rivolto in particolare ai vari sistemi impiantistici per la valorizzazione della biomassa, nonostante le tecnologie siano affidabili, la politica ne riconosca l’utilità, la scienza ne assicuri l’efficienza e l’ambiente ne tragga benefici. 

Visto che l’immobilismo non porterà a nessun cambiamento, è evidente che occorre lavorare meglio sul piano della comunicazione. La complessità delle questioni da risolvere impone un livello di conoscenze molto profondo che non può certo limitarsi alle sole informazioni raccolte girando sul web dove le notizie infondate diventano virali.

Per fronteggiare questa situazione di stallo Itabia, con FederUnacoma e la rivista Nuova Energia hanno avviato in occasione di EIMA Energy una campagna d’informazione veritiera, intitolata “Quante balle sulle biomasse”.

Contenere il diffondersi delle “bufale” non è semplice visto che i canali dove le fake news corrono a briglie sciolte – a partire dai social network – tendono a vivere di spot, di slogan, di “ragionamenti” compressi in poche battute. Motivazioni più strutturate non sono prese in considerazione. Un approccio più organico e approfondito viene evitato per non perdere “tempo prezioso”. Abbiamo così scelto di sintetizzare le principali fake news in circolazione e, con una grafica accattivante e di semplice decodifica, le relative informazioni accreditate che le smontano.

Il presunto conflitto tra energy e food non esiste. Ad oggi in Italia sono dedicati alle colture energetiche 300 mila ettari, in molti casi in avvicendamento con colture alimentari (quindi in successione e non in alternativa), circa il 2,3% della Superficie Agricola Utilizzata (SAU). Il vero e unico problema è l’abbandono delle terre coltivate, visto che negli ultimi 40 anni – nel silenzio più assoluto – 5 milioni di ettari sono stati persi. In questo lasso di tempo, la SAU si è ridotta da 18 a 13 milioni di ettari, l’equivalente di 340 campi calcio al giorno.  

Il bosco non è un museo e va gestito in modo produttivo. La superficie forestale italiana è raddoppiata in 50 anni, passando da 5,5 a oltre 11 milioni di ettari. Il prelievo legnoso nazionale nell’ultimo decennio, di poco superiore a 8 milioni di m3 annui, è nell’ordine di un quarto dell’incremento annuo, rispetto al 65% della media europea. Un bosco dove non si va a tagliare le piante soffre d’incuria ed è facile preda di devastanti incendi.

Il paradosso del legno. Proprio per lo scarso utilizzo delle risorse boschive l’Italia vive una serie di paradossi che rappresentano un unicum nel panorama continentale. Siamo il 2° importatore europeo di legno (dopo la UK), il 1° importatore di legno dai Balcani e dal Sud Europa, il 1° importatore mondiale di legna da ardere e di pellet ad uso residenziale, il 4° importatore mondiale di cippato. Lo sviluppo delle bioenergie potrebbe garantire una domanda (in termini di volumi e di proiezione sul lungo periodo) solida e tale da rendere quanto mai  auspicabile il consolidamento delle filiere di approvvigionamento di materia prima made in Italy.

I residui agricoli sono una preziosa risorsa. Senza scomodare le colture dedicate, ogni anno sono disponibili circa 30 milioni di tonnellate di biomasse ligneo-cellulosiche, a cui si aggiungono 100 milioni di tonnellate di effluenti zootecnici. La valorizzazione di questo giacimento di energia verde permetterebbe di operare dei tagli drastici alle emissioni di CO2 fossile ogni anno. 
Le centrali a biomasse non sono inceneritori. Per una centrale a biomassa legnosa occorre un’apposita autorizzazione e tecnologie ben distinte da quelle degli impianti che trattano rifiuti.

Non è la bioenergia a rendere pesanti le bollette. Considerando il costo di incentivazione delle bioenergie a carico del GSE (anno 2017) e rapportando tale ammontare sul consumo finale nazionale, si ottiene un peso sul costo medio unitario dell’energia di circa 1,2-1,3 centesimi di euro al kWh.

Il biogas cresce senza esplodere. In Italia sono stati realizzati circa 1.500 impianti a biogas, ben integrati nel contesto agricolo-territoriale. La potenza complessiva è di circa 1 GW, la taglia di una unica moderma centrale nucleare. Al contrario delle scorie radioattive, i residui degli impianti a biogas (il cosiddetto digestato) non presentano problemi di smaltimento. Sono, anzi, un ottimo ammendante per restituire fertilità ai suoli agricoli.

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