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Bioenergia

Bioenergie: il ruolo decisivo della comunicazione

Si parla sempre più spesso di consumatori consapevoli, che con le loro scelte e aspettative possono contribuire in modo consistente ad un progetto globale di sviluppo sostenibile. Per far questo occorre veicolare in modo adeguato le tante conoscenze acquisite, che ancora oggi faticano a raggiungere buona parte della società civile per la complessità del linguaggio corrente del mondo scientifico, tecnico e giuridico. Il nuovo Decreto per lo sviluppo del biometano potrebbe essere, in questo senso, un primo banco di prova

di Matteo Monni
Marzo - Aprile 2014 | Back

In occasione dell’ultima edizione del premio ambientalista “Il monito del giardino”, è stata presentata un’interessante relazione da Angela Morelli, un ingegnere che è docente presso la St. Martin’s University di Londra, e che da anni studia e insegna una disciplina nota come “information design”. Questa è una branca delle scienze della comunicazione che in italiano si potrebbe chiamare progettazione dell’informazione o, meglio ancora, della comprensione.

Un aspetto, forse il principale, a cui la Morelli ha rivolto molto del proprio impegno è quello di rendere accessibili, dunque maggiormente utili, alcuni dei tanti risultati prodotti dalla ricerca scientifica. Dietro le formule e dentro i numeri si celano infinite informazioni con un grande potenziale di persuasione che, se rese chiare, potrebbero influenzare in modo positivo le scelte di molte persone fino a produrre benefici (piccoli o grandi) sociali ed ambientali.

Per fare un esempio, è risaputo quanto l’acqua sia una risorsa preziosa e limitata, ma ignoriamo in quale misura lo sia e come si possano evitarne gli sprechi. Progettare l’informazione significa far comprendere – ad esempio – che il se il consumo procapite di acqua per usi esclusivamente domestici corrisponde a circa 137 litri al giorno, una sola tazzina di caffè “contiene” a nostra insaputa circa 130 litri di acqua impiegati nel suo ciclo produttivo. Sembra un paradosso, ma la gran parte dell’acqua di cui abbiamo bisogno non serve a dissetarci, bensì a sfamarci. Per la produzione del cibo che consumiamo quotidianamente (quasi il 30% viene buttato!) è stato calcolato un dispendio medio di acqua pari a quasi 3.500 litri a persona. Tali valori, che variano in funzione delle diete e quindi dei Paesi considerati, pongono il nostro Paese al terzo posto nella graduatoria mondiale, preceduto da Giappone e Messico, per il “consumo virtuale” di acqua (6.300 litri al giorno a persona). Grazie alle analisi scientifiche disponiamo oggi di un imponente banca dati riferibile all’impronta idrica di tantissimi prodotti, sia industriali, sia agricoli. Sappiamo che per disporre di un chilogrammo di mele occorrono 500 litri d’acqua, mentre per lo stesso quantitativo di carne di manzo si arriva 15.000 litri. Sapere comunicare queste cose potrebbe responsabilizzare noi consumatori distratti, inducendoci a programmare la nostra alimentazione anche in funzione delle esigenze del pianeta. Un altro punto di forza dell’information design sta proprio nel coinvolgere le persone, enfatizzando la loro capacità di intervenire in problemi complessi anche con leggerezza, attraverso semplici scelte quotidiane e non gravi rinunce indotte dal catastrofismo o dal senso di colpa.

Queste riflessioni si adattano bene ad inquadrare alcune questioni inerenti le bioenergie, che - per la loro auspicata crescita - hanno bisogno di un consenso sociale diffuso. Tale consenso va costruito pazientemente creando dei canali credibili, dove convogliare un flusso di informazioni chiare tra il mondo della ricerca e la società.  Ancora oggi assistiamo con sconforto ad alcune manifestazioni di scetticismo – tanto più estreme quanto meno autorevoli – sul fenomeno dei cambiamenti climatici e il loro legame con l’uso delle fonti fossili. Purtroppo, queste sacche di resistenza fanno presa sull’immaginario collettivo perché utilizzano un linguaggio diretto, che stimola quello che tecnicamente viene definito il “pensiero veloce” o più comunemente la “pancia” della gente. Nel caso delle bioenergie è stato detto che mettono a rischio la produzione di cibo, hanno costi esorbitanti che gravano sui cittadini, non riducono le emissioni di CO2, ecc.. A tutte queste accuse si può ribattere puntualmente con una grande mole di dati attendibili, che invece vanno a stimolare il “pensiero lento” richiedendo perciò concentrazione, impegno analitico, in parole povere: fatica. Per queste ragioni, come ben dimostrato da numerose ricerche, la gran parte delle decisioni che prendiamo nella vita di tutti i giorni sono dettate dal pensiero veloce ovvero dall’istinto. Questo spiega in buona parte il diffondersi dell’effetto NIMBY e il propagarsi dei comitati che si oppongono alla realizzazione di impianti alimentati a fonti rinnovabili.                              

Occorre, quindi, trovare il modo di tradurre le evidenze scientifiche in messaggi immediatamente assimilabili perché riconducibili a questioni concrete, vicende reali.

Può sembrare strano, ma questo passaggio complicato si sta realizzando bene in ambito rurale proprio perché molti agricoltori riescono ad intravedere nelle tecnologie per la conversione energetica delle biomasse un’opportunità preziosa per integrare il reddito aziendale approfittando delle agevolazioni legate al miglioramento delle performances ambientali prodotte. Gli agricoltori sanno che dalla vendita dei prodotti alimentari a loro resta in tasca ben poco e non si stupiscono quando gli osservatori di Ismea e Unioncamere riferiscono che su 100 Euro di spesa alimentare a loro va meno del 2% (1,8 Euro). Gli agricoltori sanno anche che da anni la superficie agricola utilizzata si riduce costantemente a causa dell’interruzione delle loro attività, e non fanno quindi fatica ad acquisire il dato (Inea, Ispra e Istat) che sono stati abbandonati 5 milioni di ettari negli ultimi 20 anni. Anche per queste ragioni, nel giro di un lustro, sono più di 1.000 le aziende agricole che hanno realizzato al loro interno degli impianti di digestione anaerobica per produrre biogas da cui generare congiuntamente energia elettrica e termica, nonché risorse economiche aggiuntive che possono far guardar al futuro con maggior fiducia. Da quest’anno è possibile, inoltre, dare un ulteriore impulso al settore attraverso l’upgrading del biogas a biometano: dopo una lunga attesa, infatti, è stato pubblicato (Gazzetta Ufficiale del 17 dicembre 2013) il Decreto sulle “Modalità di incentivazione del biometano immesso nella rete del gas naturale” realizzato dal Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con i Ministeri dell’Agricoltura e dell’Ambiente.

Tale Decreto definisce e regolamenta il sistema di aiuti alla produzione di biometano per alimentare veicoli, impianti di cogenerazione e la rete del gas naturale per usi domestici. 

Come spesso accade, la lettura del testo in oggetto non è semplice e, nella logica di chiarirne la ratio e facilitare l’interpretazione delle norme in esso contenute, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha incaricato l’Enama di elaborare ad hoc una giuda il cui formato digitale è già consultabile e scaricabile gratuitamente dal sito web dell’Ente. Il volume si articola in due sezioni, una di carattere introduttivo, che analizza i dati sulla diffusione del metano in Italia, le potenzialità di sviluppo del biometano di origine agricola, le tecnologie per l’upgreding del biogas a biometano e  il sistema di infrastrutture e norme che regolano il funzionamento delle reti di trasporto e distribuzione del gas. La seconda sezione entra nel merito del Decreto, esaminando nel dettaglio i contenuti e fornendo utili indicazioni in merito alle diverse modalità di accesso agli incentivi previsti. L’efficacia del lavoro è completata da richiami bibliografici, un glossario e un’appendice contenete il testo integrale del Decreto stesso. Il nuovo provvedimento rappresenta, dunque, un banco di prova non soltanto per quanto riguarda la capacità del sistema nazionale di utilizzar bene gli strumenti di incentivazione, ma anche per quanto riguarda la messa a punto di criteri e metodiche di comunicazione che consentano al vasto pubblico dei destinatari di comprenderne bene il funzionamento e l’utilità. L’impegno divulgativo dell’Enama, e i principi dell’information design, potranno rivelarsi decisivi.

 

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