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Scenario

Aziende agroalimentari, la crisi le rafforza

Dopo cinque anni di crisi, il settore agroalimentare registra finalmente un incremento della redditività, frutto di una "selezione naturale" che premia le imprese più strutturate e innovative e che penalizza invece quelle meno propense ad esportare e ad innovare. Tra i comparti più dinamici quelli del vino e quello dolciario. Bene anche alcune nicchie di mercato che hanno registrato una crescita di redditività superiore alla media

di Giovanni M. Losavio
giugno 2018 | Back

Più solide, più innovative, più orientate all’export. Le imprese agroalimentari italiane escono rafforzate dalla lunga fase recessiva che ha colpito il Paese tra il 2011 e il 2016. Lo sostiene uno studio Nomisma che fa un checkup del settore per valutare come esso abbia risposto alla sfida di una crisi durata più di un lustro.

 

Premiate la capacità di innovazione e l’apertura all’export

Anche l’agroalimentare – sottolinea la  società di ricerche economiche – è stato colpito dalla lunga fase recessiva, tuttavia, rispetto ad altri, ha mostrato una maggiore resilienza. La risposta alla crisi è passata attraverso un riassetto complessivo del comparto, con una riduzione numerica delle aziende (-20% nel primario, -2.5% nell’alimentare) soprattutto microimprese con meno di 10 addetti. Un vero processo di “selezione naturale” che ha penalizzato le realtà meno propense ad esportare e, quindi, più esposte alla contrazione della domanda interna (tra il 2007 e il 2016 i consumi sono diminuiti di oltre il 10%). Invece, le imprese più dinamiche, quelle cioè più aperte all’innovazione, non solo hanno mostrato una buona capacità di tenuta, ma hanno anche saputo guadagnare spazio sui mercati internazionali (tra il 2007 e il 2017 export a +69%) e incrementare il valore aggiunto (+10%). Ben diversa la sorte del manifatturiero, che, nello stesso periodo, ha lasciato sul terreno il 2% del proprio valore aggiunto.

 

Cresce la redditività, malgrado la crisi

Insomma – sostiene la società di ricerche – il settore agro-alimentare ha mostrato una chiara vocazione anticiclica. Lo conferma del resto la crescita di redditività messa a segno nel quinquennio 2011-2016. Da uno studio Nomisma per Agronetwork, su un campione di oltre 5.400 bilanci di imprese di capitale operanti nel comparto (che esprimono un fatturato cumulato di quasi 92 miliardi di euro), emerge come la redditività (rapporto tra Ebitda e fatturato) sia passata dal 7,8% del 2011 all’8,6% del 2016. Un valore, questo, superiore non solo alla media del manifatturiero ma al totale dei quattro comparti rappresentativi del “made in Italy” (le 4 “a”: agroalimentare, abbigliamento-tessile, arredo-legno e automazione), il cui indice cumulato è passato da 6,5% a 7,9%. All’interno dell’agroalimentare non tutti i comparti hanno corso alla stessa velocità. Alcuni, come quello del vino (il cui Ebitda margin è passato dal 10% all’11,7%) e il dolciario (sempre sopra il 10%) si sono dimostrati più dinamici, altri meno. è il caso delle carni e del lattiero-caseario, con prestazioni inferiori alla media del settore. Marginalità ancora superiori – spiega Nomisma – si sono registrate in alcune “nicchie” (baby & diet food con Ebitda margin vicino al 20%, acqua e bevande analcoliche, spirits, pasta, caffè e thè, prodotti da forno), mentre nei comparti tradizionali sono stati i segmenti ad alto valore aggiunto a restituire redditività superiori alla media: è il caso di salumi, gelati e cioccolato-caramelle.

Il boom di redditività abbatte il debito e favorisce la patrimonializzazione. La crescita di redditività è stata sfruttata dalle ditte dell’agroalimentare per “mettere in sicurezza i bilanci”, con un incremento della patrimonializzazione e una riduzione dei debiti. «A parte le grandi imprese con fatturato superiore ai 50 milioni di euro, che hanno utilizzato l’aumento dei flussi di cassa per fare investimenti, la gran parte delle aziende ha puntato sull’abbattimento dell’indebitamento finanziario e sull’accrescimento della propria solidità patrimoniale – spiega Denis Pantini, responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma – e questo non significa che le aziende hanno diminuito il ricorso al debito bancario, tant’è vero che esso rappresenta il 79% del debito finanziario complessivo e che continua ad essere, insieme con l’autofinanziamento dei soci, lo strumento principale di crescita per le PMI». L’andamento dell’agroalimentare ha riflessi anche sulla meccanizzazione agricola, soprattutto per quelle tipologie di prodotto che derivano da filiere tecnologicamente innovative e che puntano alla qualità del prodotto, legandola in modo sempre più stretto alla qualità delle lavorazioni agricole che sono all’origine del processo produttivo.

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