Tecnologie e modelli di sviluppo per lAfrica Sub-sahariana
Lo sviluppo dell'economia agricola può stabilizzare il continente africano e soddisfare i bisogni alimentari, consentire la permanenza nei territori di origine delle comunità agricole e contribuire a frenare i flussi migratori verso l'Europa. Un convegno internazionale ad Agrilevante mette in luce problemi e potenzialità
La meccanizzazione può fortemente contribuire allo sviluppo dell’agricoltura nei Paesi dell’Africa subsahariana, alla soluzione del problema della denutrizione e alla riduzione dei flussi migratori verso l’Europa. A patto che essa venga calibrata sulle effettive capacità e necessità degli agricoltori locali per evitare di indirizzare verso i Paesi africani tecnologie inadeguate e di difficile gestione. È l’indicazione emersa al convegno “Economia agricola e stabilità politica: una sfida per l’Africa e il Mediterraneo”, organizzato da FederUnacoma, svoltosi alla fiera di Bari nel contesto di Agrilevante e moderato dal giornalista Rai Attilio Romita. «Da alcuni anni gravi problemi politici ed economici, sfociati anche in guerre aperte, hanno provocato nei Paesi nordafricani e subsahariani, come pure in Siria e Turchia, una forte instabilità che ha causato una incontrollata immigrazione – ha introdotto il presidente di FederUnacoma, Alessandro Malavolti – e particolarmente grave è la situazione dell’Africa subsahariana, dove il 22,5% della popolazione soffre di denutrizione». «Eppure quel territorio – ha aggiunto Malavolti – per caratteristiche fisiche e climatiche è particolarmente interessante per lo sviluppo dell’agricoltura. Perciò, piuttosto che erigere barriere in Europa, dobbiamo sforzarci di favorire in quei Paesi la creazione di ricchezza per dare ragione di vita ai loro popoli». Potenzialità reali quelle che emergono in riferimento ad 11 Paesi subsahariani – che sono stati oggetto di una specifica indagine realizzata e presentata da Denis Pantini e Stefano Baldi di Nomisma – ma che vanno valorizzate, come ha suggerito Luigi Bodria, del Club of Bologna, in considerazione del fatto che «occorrono interventi strutturali che consentano la permanenza delle popolazioni locali nei luoghi di residenza». «Motore dello sviluppo deve essere l’agricoltura e necessariamente la meccanizzazione – ha aggiunto Bodria – ma in funzione delle reali esigenze locali e accompagnate da un piano di formazione professionale e dalla disponibilità di ricambi, manutenzione e credito all’acquisto». Strategie integrate per ogni Paese ha chiesto Joseph Kienzle della Fao. «In un territorio dove la forza lavoro agricola è in prevalenza femminile – ha detto Kienzle – e dove i suoli a volte sono sabbiosi, usurati da troppe arature superficiali e poco fertili, mentre i cambiamenti climatici favoriscono la siccità e la desertificazione». Nella diffusione delle conoscenze tecniche e scientifiche attraverso la formazione di quadri qualificati e la ricerca sta operando attivamente da decenni il Ciheam – ha sottolineato Maroun El Moujabber, amministratore scientifico del Ciheam-Iamb di Bari – che ha invitato FederUnacoma a «partecipare attivamente ai progetti di ricerca che sottendono ricadute applicative nei Paesi partner africani». Stimoli a una presenza più attiva, anche sotto forma di investimenti nell’agricoltura e nella ricerca agricola dei rispettivi Paesi, sono venuti da Glynne Michelo, primo segretario per l’Economia dell’Ambasciata in Italia dello Zambia, da Sabri El Dobakrit, viceministro per l’Agricoltura del Sudan, e da Essam Wasif, direttore dell’Istituto di ricerca in Ingegneria agraria del Ministero dell’Agricoltura dell’Egitto. Un invito lanciato anche da Leonardo Di Gioia, assessore alle Risorse agricole della Regione Puglia, «esattamente nello spirito di Agrilevante, che è piattaforma di prodotti, idee e disponibilità per lo sviluppo reale dell’agricoltura dei Paesi mediterranei e africani». L’Italia rappresenta un ponte naturale per lo scambio non soltanto economico e commerciale ma anche tecnologico e di cooperazione fra l’Europa e l’Africa – ha sostenuto il Ministro plenipotenziario Giuseppe Mistretta a conclusione dei lavori – e questo ruolo può essere assolto efficacemente se si opera in sintonia con le priorità e i piani di sviluppo indicati dai Paesi africani, e se si considera la questione africana nei suoi aspetti complessivi, che includono le risorse economiche, il fattore umano ma anche le variabili politiche nonché ambientali e climatiche che caratterizzano l’area.
Agricoltura africana, una sfida possibile
Nell’atlante mondiale dell’economia e delle realtà sociali l’Africa sub-sahariana si colloca all’ultimo posto. Il Pil dell’intera area, complessivamente inferiore a quello della sola Italia, rappresenta appena il 2% del valore globale e il Pil pro-capite è pari a 3.400 dollari annui, di molto inferiore alla media mondiale (15.000 dollari) e incomparabile con il valore di un Paese come gli Stati Uniti (52.000 dollari). Particolarmente elevata, infine, è la percentuale di popolazione che soffre di denutrizione (22,7%). Nell’Africa sub-sahariana l’agricoltura ha un peso molto rilevante (copre il 18% del Pil, contro una quota dell’1,1% negli USA e dell’1,5% in Europa) ma la sua capacità produttiva è ancora molto bassa e poco efficiente, come
evidenzia il dato sulla variazione della Produttività Totale dei Fattori (TFP) che indica come nel periodo 2001-2013 l’Africa Sub-sahariana abbia registrato una crescita media annuale di appena lo 0,6%, nettamente inferiore rispetto a quella
ad esempio dell’area asiatica (+2,6%). Il ritardo con il quale evolve l’economia di questa parte dell’Africa è dunque evidente, eppure è proprio il forte “gap” a rendere la regione particolarmente interessante per gli investimenti e i programmi di sviluppo. Il sistema produttivo agricolo ed agro-alimentare, infatti, deve necessariamente evolvere per colmare il divario con gli altri sistemi economici, e ciò potrebbe accadere in tempi relativamente brevi. Questi i dati che emergono dall’indagine appositamente realizzata da Nomisma per l’evento di Bari, presentata al convegno su: “Economia agricola e stabilità politica una sfida per l’Africa e il Mediterraneo”. La ricerca considera undici Paesi dell’area (Nigeria, Eritrea,
Guinea, Costa D’Avorio, Kenya, Etiopia, Tanzania, Uganda, Ghana, Sudan e Zambia) e mette in luce per ciascuno di essi i fattori critici e le potenzialità. Oltre ad analizzare la produttività dell’agricoltura, la superficie agricola impegnata e gli orientamenti colturali prevalenti nei diversi Paesi, l’indagine approfondisce gli indici di meccanizzazione, considerati un elemento fondamentale per lo sviluppo dell’economia primaria. La dotazione meccanica risulta complessivamente molto scarsa, anche se da paese a paese si notano differenze vistose: per il Kenya e lo Zambia si stima un indice rispettivamente di 251 e 209 trattori ogni 100.000 ettari, mentre la densità di meccanizzazione si riduce in modo drastico in Paesi come la
Nigeria e l’Uganda, e tocca il livello più basso in Ghana ed Etiopia con 40 trattori ogni 100.000 ettari.