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Mercati

Trattori, in Sudafrica riparte il mercato

Torna il sereno sul mercato sudafricano delle macchine agricole, al palo dopo la siccità del 2016, la peggiore degli ultimi trent'anni. Nel 2018 le vendite di trattrici aumentano del 3,9%, stabili quelle delle mietitrebbie. L'80% delle macchine assorbite dal mercato interno sono d'importazione

di Giovanni M. Losavio
gennaio - febbraio 2019 | Back

E' ancora presto per dire se il mercato sudafricano delle macchine agricole abbia archiviato le turbolenze dei mesi passati, comunque da Pretoria arrivano segnali incoraggianti. Infatti, rispetto al 2017, il 2018 ha segnato un leggero incremento delle vendite di trattrici (+3,9%, per un totale di 6.714 unità), mentre le mietitrebbie (198 macchine) si sono tenute sui valori dell’anno precedente (195 mezzi). Certo, il settore è ancora lontano dai grandi numeri del 2014, quando le vendite hanno interessato 7.466 trattrici e 347 mietitrebbie, tuttavia la crisi del biennio 2015-2016 sembra ormai alle spalle. Del resto, secondo la SAAMA (South African Agricultural Machinery Association), l’associazione che riunisce i costruttori sudafricani di macchine agricole, nei prossimi dodici mesi non si dovrebbero verificare significativi scostamenti dai trend dell’anno appena trascorso. Mercato stabile dunque, anche se molto dipenderà dalle condizioni meteoclimatiche.

Un sistema agricolo fragile

La pesante crisi vissuta dal comparto nel biennio 2015-2016, quando il calo delle vendite (rispetto al 2015) ha interessato complessivamente più di 1.600 trattrici e 162 mietitrebbie, è stata causata dalla peggiore siccità degli ultimi trent’anni. In un Paese già fragile – il 90% del territorio è arido o semiarido – la prolungata mancanza di precipitazioni ha mandato in crisi la produzione (la superficie coltivata a mais si è ridotta di un quarto) e causato un calo del reddito agricolo, con una conseguente contrazione della capacità di spesa. «In Sudafrica – scrive al riguardo l’ICE Agenzia – la produzione agricola è soggetta a forte volatilità a causa della dipendenza del settore dai mercati esteri e da condizioni atmosferiche che possono rivelarsi inclementi». L’emergenza clima è così grave da aver suggerito a Nick Sloane, esperto di salvataggi marini che ha partecipato al recupero della Costa Concordia, un’idea decisamente fuori dagli schemi: trainare un Iceberg fino alle coste sudafricane e utilizzarlo per rimpinguare le riserve idriche di Città del Capo. Difficile dire se l’impresa possa avere successo, quel che è certo è che, per dirla con l’ICE Agenzia, il problema idrico rappresenta un limite strutturale alla crescita della produzione in un comparto dove attualmente circa due terzi dei terreni sono sfruttati per il pascolo. Infatti, su una superficie agricola complessiva stimata dalla FAO in circa 100 milioni di ettari, i terreni arativi occupano appena 12,5 milioni di ettari; di questi sono irrigati solo 1,5 milioni. Insomma, il settore primario del Sudafrica è un comparto fragile, particolarmente esposto ai mutevoli e incerti trend climatici di questi anni. Eppure, esso gioca un ruolo di primo piano per l’economia del Paese. Non tanto come quota di PIL agricolo (2,6%), quanto – spiega l’ICE Agenzia – come serbatoio di una vivace industria della trasformazione, che da sola rappresenta il 25% del PIL manifatturiero. L’agricoltura sudafricana si distingue poi per una elevata competitività sui mercati internazionali, dove viticoltura, agrumi e frutta danno un importante contributo alle esportazioni di Pretoria (la quota di export agricolo è aumentata dal 4,6% del 2013 al 5,4% del 2016). Invece, l’allevamento e la produzione cerealicola (soprattutto mais e frumento) sono destinati prevalentemente al mercato interno.

Macchine agricole, un mercato che dipende dall’estero

La competitività del primario sudafricano si spiega anche con una forte concentrazione della proprietà agricola, che ha favorito efficienza produttiva, economie di scala, investimenti in macchine e tecnologie per l’agricoltura. La stragrande maggioranza della produzione – il 95%, secondo l’ICE Agenzia – proviene infatti da un “nocciolo” di 40 mila aziende con estensione media pari a 2 mila ettari (in Italia nel 2013 la superficie media era di 8,4 ettari) caratterizzate da elevata produttività. A queste si affiancano 200 mila piccole imprese che, attive su territori marginali, si trovano ad operare in situazioni complesse e con uno scarso accesso alle risorse idriche. C’è infine un’agricoltura di sussistenza, pratica da tre milioni di famiglie; un numero rilevante, specie se rapportato alla popolazione totale (56 milioni). In questo scenario la meccanizzazione è appannaggio soprattutto del blocco di aziende più grandi; quelle che hanno una dimensione e un reddito tali da poter sostenere e ammortizzare nel tempo il costo degli interventi di meccanizzazione. Secondo le valutazioni del sito Opendataforafrica, il parco trattrici è composto indicativamente da 70 mila mezzi (in uso); un numero significativo per l’Africa poiché il Sudafrica, insieme con la Nigeria, rappresenta il 70% del parco trattrici dell’intero continente. La stima di Opendataforafrica si riferisce al 2008, ma negli ultimi 10 anni, come indica anche la densità media di macchine per chilometro quadrato di terreno coltivabile (0,43 mezzi), non sembra essersi discostato troppo da questi valori. Ad esempio, per il 2010, fonti di stampa locale parlano di poco meno di 69 mila trattrici con una potenza media di poco inferiore ai 100 cavalli. Si tratta – chiarisce l’ICE Agenzia nel rapporto intitolato “Agricoltura e meccanizzazione in Sudafrica” – prevalentemente di macchine importate: l’80% delle trattrici e delle applicazioni, soprattutto quelle tecnologicamente più avanzate, è di produzione estera. Ai costruttori locali resta una quota di mercato residuale, riferita soprattutto ai segmenti con un basso contenuto di tecnologia o a macchine disegnate sulle specifiche condizioni ed esigenze produttive del Paese. Le importazioni di Pretoria riguardano soprattutto trattrici, ricambi, mietitrebbie, pulitrici, applicazioni per la lavorazione del terreno, raccoglitrici e irroratrici. «La provenienza del macchinario – scrive al riguardo l’ICE Agenzia – rispecchia la vocazione agricola prevalente: il Made in Usa è più diffuso dove dominano coltivazioni cerealicole estensive, mentre l’uso di macchine italiane ed europee si addensa dove prevale un’agricoltura più estensiva». Europa ed Usa rappresentano da sole il 70% dei mezzi agricoli importati in Sudafrica.

Trattrici, ricambi, irrigazione: marchi italiani al top

Dopo la netta flessione del 2016 causata dalla siccità, le importazioni di macchine agricole sono tornate a correre nel 2017, raggiungendo un valore pari a circa 606 milioni di dollari. I costruttori statunitensi si aggiudicano il primato come principali fornitori di tecnologie per l’agricoltura, subito davanti alla Germania. Posizione di tutto rispetto per l’export italiano terzo fornitore di Pretoria con un valore complessivo poco superiore ai 61 milioni di dollari, in crescita sia sul 2015 che sul “terribile” 2016. A trainare il Made in Italy sono soprattutto le trattrici che, con una quota di mercato del 14%, rappresentano più della metà del valore delle nostre esportazioni di tecnologie agricole in Sudafrica. Il dato, osserva l’ICE Agenzia, è ancora lontano dal record del 2012 (69,2 milioni) tuttavia è in ripresa rispetto alla flessione registrata nel biennio 2015 e 2016. A seguire, più subito dopo i trattori, i segmenti dei ricambi (7,8% sul totale del nostro export in Sud Africa), le tecnologie per l’irrigazione (4,1%) e le irroratrici (4%). Bene anche le mietitrebbie che, pur mantenendo un peso residuale sul nostro interscambio, sono comunque in crescita rispetto al 2016. Leggera battuta d’arresto invece per le attrezzature per la lavorazione del terreno; mentre nel caso delle macchine per la lavorazione dei mangimi e delle raccoglitrici la flessione si fa più consistente. Ma si tratta in quest’ultimo caso di un settore poco impattante sulle dinamiche del nostro export verso il Sudafrica. 

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