Tecnologia, formazione, cooperazione: i temi forti dell'Expo G7
All’Expo G7 riflettori accesi sui convegni organizzati da FederUnacoma. Innovazione tecnologica, formazione, recupero dei terreni degradati e cooperazione italo-africana i temi al centro dei convegni. Il focus sui giovani
Oltra alla mostra “en plein air” di macchinari e tecnologie per l’agricoltura, FederUnacoma ha organizzato in occasione dell’Expo G7 anche diversi momenti di confronto sui temi di più stretta attualità per il settore agromeccanico. Dalla transizione digitale alla formazione, dalla cooperazione italo-africana alla robotica, sino al recupero dei terreni marginali, i convegni promossi ad Ortigia dall’associazione dei costruttori di macchine agricole hanno dato vita ad un vivace dibattito che ha coinvolto gli operatori del settore, esperti, docenti universitari, ma anche tantissimi ragazzi e studenti interessati a entrare nel mondo della meccanica agricola.
Transizione digitale, il nodo della formazione. Di transizione digitale e formazione si è parlato in occasione del convegno intitolato “Transizione digitale in agricoltura: una sfida ‘di sistema’”, che ha visto la partecipazione di Giancarlo Bellina vice presidente Confindustria Siracusa; Alessandro Monteleone coordinatore Rete Rurale Nazionale; Danilo Monarca, ordinario Meccanica Agraria Università della Tuscia, Mariateresa Maschio, presidente FederUnacoma; Paolo Menesatti, direttore Dipartimento Ingegneria e trasformazioni agroalimentari del CREA.
Le tecnologie elettroniche, i sistemi informatici più avanzati, la robotica, così come l’Internet of Things e l’intelligenza artificiale sono un fattore chiave di sviluppo anche per il settore agricolo, che – hanno detto i relatori nei loro interventi – è chiamato a raccogliere le sfide della sicurezza alimentare, della sostenibilità ambientale, della gestione ottimale delle risorse. Nei prossimi vent’anni la popolazione mondiale crescerà sino a superare i 10 miliardi di persone e questo determinerà un incremento consistente della domanda alimentare, in termini non soltanto quantitativi ma di varietà e qualità delle produzioni. «L’agricoltura si trova ad affrontare sfide epocali che richiedono una gestione altamente scientifica dei fattori produttivi. Il settore della meccanica agricola – ha affermato la presidente di FederUnacoma nel corso del convegno – è il perno di questo processo, perché le macchine non sono solo “il braccio operativo” del lavoro agricolo ma “la sua “mente”, per la capacità di raccogliere ed elaborare una enorme mole di informazioni e di ottimizzare un’attività che risente di variabili di ogni genere, da quelle meteo-climatiche a quelle pedologiche, orografiche e fitosanitarie». «Investire nella digitalizzazione – ha aggiunto Giancarlo Bellina – è essenziale per garantire un futuro agricolo sostenibile». Difatti, come ha ricordato a margine del convegno il presidente di Confindustria Siracusa Gian Piero Reale, «Le trasformazioni che caratterizzano oggi il nostro mondo, sia agricolo che industriale, riguardano anche un nuovo approccio alla digitalizzazione, che oramai investe tutti i comparti dell’economia e della vita delle persone. È una sfida entusiasmante che vede presente e futuro avvicinarsi ad alta velocità fino a sovrapporsi».
La PAC 2023-2027 prevede, tra le sue linee d’intervento prioritarie, proprio la modernizzazione dell’agricoltura e delle zone rurali attraverso la digitalizzazione. Tuttavia – come è stato sottolineato dal coordinatore della Rete Rurale Nazionale – il sistema produttivo italiano incontra diversi ostacoli. «C’è, in primo luogo, la nota criticità relativa al sottodimensionamento delle aziende agricole che – ha detto Alessandro Monteleone – hanno difficoltà ad investire in macchinari e tecnologie di nuova generazione. Ma ci sono anche le questioni legate alla presenza di efficienti reti infrastrutturali e alla possibilità di accedere alla ricerca e al trasferimento tecnologico».
In questo scenario la problematica più penalizzante è rappresentata dalla carenza di competenze e di figure professionali in grado di programmare e gestire i sistemi digitali avanzati. «Nessun agricoltore, nessun contoterzista o tecnico dell’agromeccanica può infatti gestire i nuovi mezzi e i sofisticati sistemi informatici che li governano senza una preparazione specifica. Esiste oggi una nuova generazione di macchine – ha aggiunto Danilo Monarca – ma non esiste una nuova generazione di utilizzatori e di tecnici in grado di farle funzionare».
Un importante ausilio per la formazione di operatori agricoli “high tech” è quello fornito dalla tecnologia denominata Simagri, un simulatore per l’agricoltura di precisione realizzato dal CREA. «Simagri è ispirato ai simulatori automobilistici ed è integrato in modo innovativo con le funzioni tipiche della meccanizzazione agricola. Il suo layout – ha detto Paolo Menesatti – non richiama uno specifico modello di trattore e coniuga la massima semplificazione costruttiva con la facilità di utilizzo e di regolazione oltre che con la verosimiglianza con la cabina di un trattore moderno».
Per superare il deficit formativo è essenziale agire rapidamente, promuovendo una forte sinergia tra il mondo dell’industria e il sistema dell’istruzione. «La nostra Federazione è parte attiva in questo, e lavora con le istituzioni per favorire un aggiornamento dei piani didattici e dei percorsi formativi, ai vari livelli. Recentemente abbiamo costituito una Scuola di alta formazione, l’AFI Accademia che – ha concluso Mariateresa Maschio – inizierà la propria attività il prossimo anno con un’offerta di corsi e seminari in buona parte dedicati proprio ai sistemi digitali in agricoltura».
Tecnologie next gen, il “fattore giovani”. Innovazione tecnologica e formazione sono stata al centro anche della tavola rotonda sul tema “Intelligenza artificiale e imprenditorialità giovanile nella filiera agrifood”, tenutasi nell’ambito del G7 Giovani. L’incontro, aperto da un saluto del ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, si è svolto su un palcoscenico d’eccezione quale il teatro di Ortigia, dove si sono alternati numerosi relatori, tra cui Mariateresa Maschio (presidente di FederUnacoma) e Alessio Bolognesi (responsabile FederUnacoma per le aree digital, robotica e Intelligenza Artificiale), che hanno affrontato la questione della formazione di profili professionali nuovi, modulati sulle specifiche esigenze del settore primario e sulle tecnologie agricole emergenti. È un’agricoltura altamente tecnologica guidata da robot e intelligenza artificiale, quella che – è stato sottolineato nel corso dei lavori – si prospetta per le nuove generazioni. I sistemi avanzati permettono infatti di accrescere la produzione e di salvaguardare le risorse naturali, prime fra tutte l’acqua e la sostanza organica dei terreni, ma per svolgere questo compito fondamentale si devono gestire parametri estremamente complessi che – ha spiegato nel suo intervento Alessio Bolognesi – richiedono una sempre digitalizzazione più spinta e l’impiego massivo di sistemi di intelligenza artificiale.
LAB - Innova un progetto per l’Africa. Il settore della meccanica agricola ha una lunga tradizione di cooperazione con l’Africa, giacché l’uso di tecnologie meccaniche è condizione basilare per la crescita della produttività e la modernizzazione del settore primario; due obiettivi prioritari per lo sviluppo dell’economia agricola del continente. Oggi, con la creazione di un’area di libero scambio e con il crescente impegno dell’Italia per il rafforzamento della cooperazione tecnica e commerciale, si sono create le condizioni per un ulteriore salto di qualità nelle relazioni con i Paesi africani.
Questo l’argomento al centro del convegno sull’avanzamento del progetto LAB Innova, il programma di formazione tecnico-manageriale promosso dall’Agenzia ICE per il settore agribusiness in Africa. L’incontro, organizzato dall’ICE in collaborazione con FederUnacoma, si è aperto con un intervento di Matteo Zoppas, presidente dell’Agenzia, che ha ribadito l’importanza strategica della cooperazione italo-africana, con particolare riferimento alla formazione tecnica e professionale. Molti Paesi soffrono ancora di un rilevante deficit tecnologico che – ha spiegato Zoppas – deve essere colmato non soltanto attraverso investimenti in macchinari innovativi ma anche attraverso programmi formativi specifici che possano avviare gli agricoltori all’utilizzo di queste macchine. Nei prossimi dieci, anni grazie alla creazione dell’African Continent Free Trade Area (AfCFTA) – l’area continentale di libero scambio africana già ratificata da 47 Stati – i flussi commerciali intra-continentali dovrebbero crescere del 52%, generando ricavi per 450 miliardi di dollari. L’ AfCFTA, così come le Zone Economiche Speciali create nei singoli Paesi, offrono dunque alle imprese italiane del settore agromeccanico importanti canali di accesso ai mercati africani e significative occasioni di cooperazione.
«Oggi il grande elemento di novità è rappresentato dal Piano Mattei che – ha detto Mariateresa Maschio – si caratterizza per un approccio “olistico” alla cooperazione, che comprende la dimensione politica, quella economico-sociale, quella culturale e della sicurezza». «Tale approccio può risultare particolarmente efficace per il settore della meccanica agricola che in una realtà come quella africana – ha aggiunto la presidente di FederUnacoma – è in grado di operare offrendo tecnologie e un know how complessivo ben più ampio».
Proprio alla formazione tecnico-manageriale è diretto il progetto dell’ICE LAB Innova. L’iniziativa, come ha ricordato il direttore generale dell’Agenzia Lorenzo Galanti, oltre a promuovere partenariati per le nostre imprese in Africa, prevede percorsi di sviluppo delle competenze modellati sulle specifiche esigenze del continente. Nei loro interventi, i docenti della Faculty ICE Umberto Trulli, Enrico Turoni, e Fabio Santoni hanno fatto il punto sull’avanzamento del progetto LAB Innova, mentre il dirigente dell’Ufficio ICE per la Formazione alle Imprese Alessandro Cugno, cui è stata affidata la chiusura dei lavori, ha fornito una panoramica sulle attività dell’Agenzia in campo formativo e fornito un bilancio di tali attività.
La sicurezza alimentare passa dal recupero dei terreni “difficili”. Strettamente collegato al tema della cooperazione italo-africana è quello del recupero dei terreni degradati. Secondo le stime di un recente rapporto pubblicato da FAO e Nepad il 65% dei terreni produttivi africani è soggetto a degrado e circa la metà della superficie continentale è minacciata dalla desertificazione. L’emergenza, tuttavia, non è circoscritta al solo continente africano. A livello globale – stima sempre la FAO – il 41% dei terreni è in condizioni di degrado moderato o elevato, e questa situazione confligge con la necessita di incrementare le superfici coltivate per soddisfare la crescente domanda alimentare della popolazione globale. Secondo le proiezioni del World Resources Institute, nei prossimi 30 anni, per nutrire una popolazione di 10 miliardi di persone, dovranno essere messi a produzione altri 590 milioni di ettari, i quali si andranno ad aggiungere agli 1,6 miliardi di ettari attualmente coltivati; ciò significa che da qui al 2050 la SAU globale dovrà crescere del 37%. è una sfida estremamente impegnativa, non solo per l’estensione dei terreni che devono entrare nel ciclo produttivo, ma anche perché molti di quelli attualmente in uso sono soggetti a degrado, a causa della salinizzazione dei suoli, della perdita di sostanza organica e della desertificazione, e rischiano pertanto di diventare improduttivi.
Il tema è stato discusso nel corso del convegno “Territori sconfinati, piccoli poderi e orti urbani: tutte le tecnologie per ‘macro’ e ‘micro’ agricolture”, organizzato da FederUnacoma. Per fermare e invertire il degrado del suolo non ci si può affidare unicamente all’iniziativa degli imprenditori agricoli, ma è essenziale che i decisori pubblici sviluppino con urgenza adeguate politiche di sostegno. «Il problema interessa anche l’Italia. Il recupero delle terre – ha detto il presidente CIA dell’Emilia Romagna Stefano Francia – è fondamentale non soltanto a fini agricoli, ma anche per garantire la sicurezza idrogeologica dei nostri territori e per incentivare il turismo nelle aree rurali, che rappresenta una ulteriore, importante fonte di reddito per gli agricoltori». D’altro canto, è proprio la bassa remuneratività delle attività agricole, condizionata da un gran numero di variabili, che finisce per disincentivare gli investimenti, anche nelle aree marginali. «Per questo è necessario prevedere strumenti di incentivazione pubblica che – ha aggiunto Francia – sostengano l’agricoltura nelle aree a rischio, territori nei quali sono richiesti macchinari specifici, altamente specializzati».
Dalle attrezzature per la minima lavorazione che preservano la sostanza organica dei terreni, alle mietitrebbiatrici autolivellanti capaci di lavorare su pendenze molto pronunciate, sino alle flotte di droni in grado di operare su terrazzamenti altrimenti inaccessibili, le industrie agromeccaniche italiane vantano una gamma di tecnologie estremamente diversificata, che si adatta anche alle esigenze di un’agricoltura “estrema”. «Progettare e realizzare mezzi meccanici che possano operare in condizioni così impegnative – ha spiegato il responsabile dell’Ufficio Tecnico FederUnacoma Davide Gnesini – è una grande sfida costruttiva che le nostre industrie stanno vincendo grazie alla loro capacità di innovare e sviluppare soluzioni all’avanguardia, personalizzandole secondo le specifiche esigenze dei territori». «Droni, robot, applicazioni digitali evolute, ma non solo. La nuova frontiera – ha proseguito Gnesini – è quella rappresentata dalla meccanizzazione per le colture idroponiche ed aeroponiche».
Proprio di queste ha parlato Emilia Arrabito, direttore SVI.MED, presentando i risultati di un progetto relativo alla coltivazione di pomodori che ha interessato la Sicilia e la Tunisia. Sia l’idroponica che l’aeroponica sono coltivazioni fuori suolo nell’ambiente protetto di una serra – ha spiegato Emilia Arrabito nel corso del suo intervento – ma mentre nel primo caso la pianta riceve le sostanze nutritive per irrigazione, nel secondo le riceve per nebulizzazione. «Entrambi i metodi possono essere considerati come una possibile soluzione al problema della riduzione della fertilità del suolo e alla necessità di ottimizzare l’uso delle risorse, poiché – ha concluso il direttore dello SVI.MED – oltre a ridurre il consumo di terreno, queste particolari tipologie di coltivazione ci hanno permesso anche di tagliare del 35% i consumi di acqua nonché l’impiego di fertilizzanti e di trattamenti fitosanitari».