Nuova PAC: approvata in Europa, ora passa agli Stati membri
La riforma della Politica agricola comunitaria comporta una diminuzione complessiva di risorse pari a circa il 13% rispetto alla tornata precedente. I tagli vengono modulati su ogni singolo Paese e questo dovrebbe comportare un'ulteriore riduzione (-6%) del budget assegnato all'Italia. Qualche risorsa in più sulla voce Sviluppo Rurale, con un ammontare complessivo di risorse, per il settennio 2014-2020 pari a 10,4 miliardi di euro. Le complicazioni burocratiche fra i punti critici della riforma.
E alla fine la PAC fu. Dopo ben due anni dalla presentazione della proposta di nuovi regolamenti comunitari (ottobre 2011), tra negoziati, progetti di relazione e triloghi lo scorso settembre è stato raggiunto l'accordo tra Parlamento, Consiglio e Commissione sulla nuova politica agricola comune del post 2013. Si tratta di una riforma che, a causa anche dello slittamento avvenuto nei tempi di approvazione, partirà per certe misure – come nel caso dei pagamenti diretti – solo dal 1 gennaio 2015, mentre per il prossimo anno si procederà ad una proroga delle vecchie regole ma sulla base del nuovo budget destinato al settore. Un ammontare di risorse che a livello complessivo (nel senso di bilancio europeo) subisce una diminuzione di circa il 13% rispetto alla tornata precedente e che si riversa trasversalmente sui budget di tutti gli Stati membri. Purtroppo però il taglio non finisce qui e varia da paese a paese a seconda delle modalità di ripartizione. Così, nel caso dei pagamenti diretti, l'Italia riduce ulteriormente il proprio budget di un altro 6% a causa della cosiddetta "convergenza esterna" e cioè la procedura secondo la quale i paesi con un aiuto ad ettaro superiore alla media europea devono contribuire a ridurre il divario esistente in tale parametro con i paesi che, al contrario, si trovano al di sotto del 90% della media.
Per una sorta di compensazione, l'Italia guadagna qualcosa sul II pilastro – quello dello sviluppo rurale – dove per il settennato 2014-2020 i nostri agricoltori potranno contare su un ammontare complessivo di risorse comunitarie pari a 10,4 miliardi di euro, quasi 1,5 miliardi in più della precedente tornata 2007-2013. Ma al di là dei fondi, questa nuova PAC porterà in dote alle imprese agricole una buona dose di complicazioni, soprattutto burocratiche. Una serie di provvedimenti ed architetture normative che rischiano di vanificare in molti casi – come in quello dei pagamenti diretti – il guadagno derivante dall'erogazione finanziaria. Tra l'altro, se nella versione definitiva molte tortuosità sono state eliminate, lo si deve soprattutto al lavoro del Parlamento Europeo che, rispetto alla proposta della Commissione, è intervenuto per "smussare" le asperità legislative e soprattutto agevolare il raggiungimento dei requisiti necessari all'ottenimento dei pagamenti diretti da parte degli agricoltori. E' ad esempio il caso del cosiddetto "greening", quella parte di pagamento diretto (30% del montante nazionale) il cui ottenimento è subordinato ad una serie di pratiche agricole in favore del clima e dell'ambiente. Tra queste figurano la diversificazione delle colture – che interessa le aziende con più di 10 ettari a seminativo – e la necessaria presenza di aree di interesse ecologico (una sorta di set-aside) pari ad almeno il 5% della SAU a seminativo dell'azienda. Nella proposta originaria della Commissione, tale area veniva calcolata sul totale della superficie aziendale; dopo l'intervento di Consiglio e Parlamento dal computo sono state escluse le colture arboree, permettendo così a quella gran parte degli agricoltori italiani, specializzati in frutticoltura, olivicoltura e vitivinicoltura di tirare un sospiro di sollievo.
Tuttavia, a prescindere dal greening, la disposizione normativa che produrrà gli impatti maggiori sull'erogazione dei pagamenti diretti è quella riguardante la cosiddetta regionalizzazione e convergenza del titolo (più precisamente, del pagamento base). In considerazione di tale articolo, i valori dei titoli dovranno essere uniformi per ettaro di superficie, pari alla media nazionale o regionale (a seconda della scelta che sarà fatta dall'Italia). Dato che nel nostro paese convivono titoli dal valore estremamente differente (si va da casi superiori a 3.000 euro ad ettaro per i tabacchicoltori "storici" a meno di 300 euro per i cerealicoltori), l'applicazione della regionalizzazione avrebbe potuto comportare effetti molto penalizzanti per diverse categorie di agricoltori. Così si è giunti a prevedere un meccanismo di "convergenza" volto a mitigare tali impatti, attraverso la possibilità di giungere in maniera graduale (al 2019) ad un valore medio uniforme, sempre nell'ambito dell'intero paese o di una singola regione. Come è facile intuire da questi pochi passaggi, il nuovo schema di erogazione dei pagamenti diretti si basa su un meccanismo veramente complicato, dove il risultato finale (in termini di valore del nuovo titolo che spetterà all'agricoltore) rappresenta il prodotto dell'interconnessione di numerose variabili: dalla definizione dell'agricoltore attivo (chi potrà effettivamente beneficiare di questi pagamenti diretti) alla scelta dell'ambito di regionalizzazione (intero Stato membro o singola regione amministrativa) passando dalle modalità di convergenza (da subito o al 2019 in maniera graduale), tutte disposizioni che dovranno essere determinate da Governo e Regioni entro luglio del prossimo anno.
Senza entrare ulteriormente nel dettaglio delle disposizioni normative che completano il quadro dei pagamenti diretti (come le ulteriori componenti redistributive, quelle legate ai giovani agricoltori, alle zone svantaggiate o alle piccole aziende), in questa sede vale la pena esprimere qualche considerazione sui possibili impatti che questa nuova PAC potrebbe riservare alle imprese agricole sul fronte della loro propensione agli investimenti.
E' abbastanza intuitivo immaginare che, alla luce dei cambiamenti descritti sopra, il potenziale livellamento dei pagamenti diretti porterà a sensibili diminuzioni delle risorse finanziarie a disposizione di quegli agricoltori che hanno, nel passato, beneficiato di aiuti superiori alla media nazionale. Basti pensare, in termini settoriali, alla tabacchicoltura, alla risicoltura, all'allevamento bovino da carne, al pomodoro da industria, all'olivicoltura e all'agrumicoltura. Per molte delle aziende specializzate in tali comparti, si potrebbe giungere ad un taglio di oltre il 50% nel valore del pagamento diretto al 2019 rispetto all'ammontare attuale. Tenendo conto che, a livello medio nazionale, tali aiuti pesano per quasi il 20% sul Reddito Lordo Aziendale, è facile presumere come questi cali nelle risorse finanziarie non solo ridurranno la capacità di investimento di molte imprese, ma potranno pregiudicarne addirittura la continuità.
Non resta quindi che vedere il bicchiere "mezzo pieno" e cioè considerare che questo livellamento degli aiuti porterà ad una redistribuzione delle risorse verso quelle imprese in passato "meno fortunate" o addirittura escluse dall'attribuzione dei pagamenti diretti (come quelle ortofrutticole o vitivinicole), senza inoltre dimenticare quel miliardo e mezzo di euro in più che l'Italia si è portata a casa per lo sviluppo rurale e che potrà essere destinato – in quota parte – a rafforzare la competitività delle nostre imprese agricole, anche attraverso l'acquisto di dotazioni tecniche, macchine e strumenti.