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Tecnica

Macchine per l'irrorazione: tecnologie sostenibili

Le macchine irroratrici con recupero del prodotto rappresentano una soluzione non soltanto innovativa ed ecologica, sono infatti sempre più numerosi i casi in cui questa tecnologia si rivela vantaggiosa anche dal punto di vista economico

di Davide Facchinetti
gennaio 2022 | Back

Malgrado la crescente preoccupazione, da parte del mondo ambientalista e dei consumatori, per gli effetti dei trattamenti fitosanitari in agricoltura, è ben noto che, per ottenere prodotti con un livello qualitativo elevato, il ricorso a tale pratica è imprescindibile. Resta prioritario il tema della riduzione e della corretta gestione dei trattamenti, un tema che chiama in causa la meccanizzazione e le nuove tecnologie per l’irrorazione delle colture. Seppur analizzando i dati relativi all’effettuazione delle verifiche funzionali, divenute obbligatorie per le macchine adibite ad uso professionale alla distribuzione di fitofarmaci, emerga chiaramente che il parco macchine circolante risulti essere piuttosto datato, con un’età media stimabile intorno ai 20 anni circa; è anche innegabile che sia le barre irroratrici, che gli atomizzatori, nonché le macchine definite “speciali”, come quelli ad esempio in uso per la spollonatura chimica, abbiano avuto un’evoluzione tecnica sostanziale, che ne ha migliorato notevolmente la sostenibilità ambientale. Infatti con il recepimento della Direttiva 2009/127/CE del 2011 i costruttori hanno introdotto nuove dotazioni già negli allestimenti basici. Ad esempio tutte le macchine devono ora permettere l’interruzione totale dell’irrorazione con un singolo comando; devono permettere un riempimento agevole e uno svuotamento completo del serbatoio principale; devono consentire di definire in maniera precisa e affidabile il volume da distribuire; devono necessariamente prevedere un serbatoio contenente la sola acqua, dedicato al lavaggio dell’irroratrice; e devono anche essere progettate per minimizzare la dispersione del prodotto irrorato per deriva e la percolazione a terra.

Se però l’obiettivo è quello della massima sostenibilità dal punto di vista ambientale, probabilmente tutto ciò non è da considerarsi sufficiente, dato che è comunque innegabile il fatto che, specie durante i primi trattamenti sulle colture arboree, con la vegetazione ancora per nulla o comunque poco sviluppata, la stragrande maggioranza del prodotto irrorato non vada a depositarsi sulla vegetazione bersaglio, ma venga dispersa nell’ambiente. Inoltre, sia la recente introduzione di normative che contemplano la necessità di introdurre delle fasce di rispetto tra i siti oggetto di trattamento e i siti sensibili (zone abitate, piste ciclabili, corsi idrici ecc.), sia la possibilità di recuperare il prodotto altrimenti disperso per riutilizzarlo generando cospicui risparmi economici, ha spinto i costruttori a realizzare atomizzatori ecosostenibili, ovvero dotati di una sorta di "tunnel" all'interno del quale viene effettuato il trattamento della coltura.

Grazie alla possibilità di effettuare il trattamento in un ambiente di fatto confinato, ovvero in una sorta di “camera mobile”, vi è infatti la possibilità di utilizzare le pareti della camera per intercettare il prodotto una volta che ha oltrepassato la vegetazione bersaglio, ovvero quella quota parte del prodotto distribuito che con le macchine tradizionali andrebbe inevitabilmente persa. Occorre rilevare che tale quota è molto significativa, dato che con un atomizzatore tradizionale nelle prime fasi vegetative, è normale arrivare a disperdere inutilmente nell’ambiente fino all’80-90% dell’irrorato, mentre con le macchine dotate di pannelli di recupero, quasi tutto questo prodotto viene recuperato e riutilizzato. è poi palese che l’entità dei risparmi ottenibili con queste nuove macchine decresce tanto più aumenta l’effetto barriera creato dalla vegetazione che cresce in volume e fittezza, e che i risparmi di prodotto negli ultimi trattamenti siano mediamente compresi in valori che vanno da 5 al 25%.

In virtù di questi valori medi, e riferendosi ai già numerosi studi pubblicati sulla letteratura scientifica è comunque possibile stimare che, mentre i costi per la difesa di un vigneto allevato a spalliera variano mediamente tra i 300 e i 1.000 €/ha, con l’impiego degli atomizzatori dotati di pannelli per il recupero del prodotto altrimenti disperso il risparmio medio si attesta tra il 40 e il 50% della cifra succitata.

Enormi sono invece i vantaggi ottenibili dal punto di vista ambientale i vantaggi sono cospicui, dato che queste moderne macchine sono in grado di abbattere fino al 98% il fenomeno della deriva, e questo avviene in pratica in tutte le condizioni nelle quali queste macchine possono operare, dato che purtroppo, la complessa architettura che le contraddistingue, permette loro di operare soltanto sulle forme di allevamento a spalliera, oltre a renderle più ingombranti, pesanti e difficili da manovrare rispetto a quelle tradizionali.

Nonostante questi limiti, la richiesta di macchine moderne e davvero ecosostenibili, ha portato molti costruttori italiani a progettare un’ampia rosa di atomizzatori “con pannelli di recupero”, sempre più apprezzati sia nel nostro territorio che all’estero. Quella che inizialmente rappresentava una piccola nicchia di mercato, si è man mano ampliata fino a diventare un business sempre più importante per molte aziende italiane, che vedono espandersi questo particolare mercato sempre di più. Si tratta di un fenomeno sentito soprattutto in quelle zone dove, a seguito dell’emanazione serie di disposizioni di igiene molto restrittive che richiedono lavorazioni a basso impatto ambientale su porzioni di territorio vincolate (le cosiddette “fasce di rispetto”, talvolta molto ampie) è diventato quasi impossibile effettuare con le macchine tradizionali i trattamenti fitosanitari sulle fasce perimetrali degli appezzamenti. Ebbene, proprio grazie all’impiego di macchine innovative, dotate di pannelli di recupero del prodotto e quindi più “ecosostenibili” di quelle tradizionali, diventa possibile eseguire tali trattamenti nel pieno rispetto delle prescrizioni a tutela dei corsi idrici vulnerabili, delle zone sensibili e dei campi confinanti.

Ma veniamo ora alle considerazioni di tipo agronomico, dato che oltre al risparmio certo in termini di prodotto da utilizzare, va anche considerato il fatto che sussistono una serie di criticità che, se non adeguatamente gestite, possono determinare risultati non del tutto soddisfacenti.

Il primo problema è di tipo meramente burocratico-legislativo, e ci si auspica che venga risolto al più presto. è infatti noto che è assolutamente obbligatorio rispettare i quantitativi indicati sull’etichetta del fitofarmaco da distribuire per ogni ettaro di superfice coltivata, ed anche che, ad esempio, i dosaggi indicati in etichetta fanno sempre riferimento ad una data quantità da distribuire per ettaro (spesso con una dose minima ed una massima), mentre sarebbe logico aspettarsi quantomeno che per i prodotti che agiscono per copertura si faccia riferimento alla quantità di vegetazione da trattare (riferendosi ad esempio alla superficie fogliare). è infatti palese a chiunque mastichi dell’argomento il fatto che un trattamento di copertura effettuato ad aprile su di una vite allevata ad alberello richieda, per l’ottenimento dello stesso livello di copertura, una quantitativo di prodotto enormemente inferiore rispetto a quello necessario a luglio su di una vite allevata a tendone, e come nei due casi in esame il quantitativo di miscela fitoiatrica necessaria possa variare di 10 o più volte, mentre di norma i dosaggi riportati in etichetta hanno una variazione tra il minimo e il massimo che va da 1 a 2. Ebbene questa problematica si acuisce ulteriormente con gli atomizzatori capaci di intercettare e recuperare il prodotto altrimenti disperso, e solo un auspicabile provvedimento normativo potrebbe risolvere il problema alla radice.

Un’altra criticità deriva dalla filtrazione della miscela recuperata dai pannelli, che risulta essere inquinata da impurità quali polvere e frammenti di vegetazione che sollecitano alquanto il sistema filtrante e possono talvolta rendere necessarie delle soste per la sua pulizia, anche per scongiurare la possibilità che nel serbatoio la viscosità della miscela fitoiatrica assuma valori troppo elevati.

Dal punto di vista operativo la difficoltà principale è comunque correlata alla notevole variabilità nel volume distribuito, che non è più correlata come sulle macchine tradizionali soltanto alla superfice lavorata, ma risulta di fatto correlata all’effettivo sviluppo della vegetazione, e seppur sia possibile stimarla a grandi linee, non è mai possibile conoscerla con precisione prima di iniziare il lavoro, e ciò rende purtroppo impossibile determinare la quantità esatta di miscela che sarà distribuita nei vari appezzamenti. Ciò ha come conseguenza il fatto che non sarà praticamente mai possibile arrivare alla fine del trattamento avendo esaurito esattamente il serbatoio, mentre ci si troverà verosimilmente con un residuo di miscela che dovrà essere smaltita (o utilizzata in altri appezzamenti). A limitare questa problematica provvedono comunque i più moderni computer di bordo, che sono in grado di misurare la quantità di prodotto irrorato, di quello recuperato e quindi di restituire all’operatore in tempo reale l’autonomia residua.

Numerosi sono ormai i costruttori nazionali impegnati in questo particolare segmento di mercato, che comprende macchine dotate di ulteriori contenuti tecnologici elevati; infatti, la gestione della distribuzione è pressoché sempre proporzionale alla velocità di avanzamento delle macchine, grazie all’impiego di centraline DPA e computer di bordo dedicati. Le centraline inoltre controllano anche le regolazioni idrauliche, dove troviamo in primis l’apertura e la chiusura dei dispositivi scavallanti che supportano le schermature per il recupero del prodotto. Le ultime novità introdotte riguardano l’impiego di specifiche app installate su smartphone tablet o PC, per la compilazione automatica del quaderno di campagna elettronico.

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