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Dossier

India: la mappa di un mercato sconfinato

L'Agenzia per il commercio estero ICE e FederUnacoma hanno promosso uno studio sul comparto dell'orticoltura nel Subcontinente indiano, con l'obiettivo di analizzare l'evoluzione delle singole colture e valutare i fabbisogni di tecnologie meccaniche. Fondamentale il sostegno del Governo, che attraverso piani specifici per l'agricoltura e la meccanizzazione accompagna il Paese nello sviluppo dell'economia primaria. Interessanti opportunità di business per le industrie italiane

di Giampiero Moncada
marzo - aprile 2019 | Back

Le opportunità per le aziende italiane sono notevoli. Perché l’India è un Paese enorme e perché la sua economia continua a crescere da decenni a ritmi paragonabili solo a quelli della Cina. E l’agricoltura, una delle voci più importanti, deve modernizzarsi attraverso investimenti consistenti nella meccanizzazione. Per capire in che modo le aziende italiane potranno intercettare queste opportunità, l’Agenzia Ice, di Mumbai, e Federunacoma, hanno commissionato un’indagine su quello che sembra il settore più interessante per i produttori italiani di attrezzature agricole: l’orticoltura. Tenendo presente che per l’India la voce “orticoltura” comprende anche gli alberi da frutta.

Ne è venuto fuori un rapporto molto corposo, 130 pagine, ricco di informazioni, tabelle e suggerimenti operativi su come concretamente operare sul mercato indiano.

Per realizzare uno studio più approfondito, è stata scelta un’area parziale, ovvero quattro dei 29 stati federali che compongono l’intera nazione: Maharashtra, Karnataka, Tamil Nadu, Uttar Pradesh. Insieme alle informazioni e ai dati forniti dalle fonti istituzionali, sono state condotte centinaia di interviste direttamente ai coltivatori, agli operatori del settore e ai ricercatori universitari.

L’entusiasmo dei numeri

L’imprenditore, o qualunque operatore economico che voglia affrontare il mercato indiano, si trova davanti un Paese che sta cambiando radicalmente, proseguendo un processo di innovazione iniziato ormai da qualche decennio, ma che parte comunque da numeri già significativi nello scenario mondiale. Il pil del 2017 è stato di circa 2.600 miliardi di dollari, che rappresenta il 4,19% dell’economia mondiale. Ma è importante il tasso di crescita, che nel secondo trimestre 2018 è stato del­l’8,2%, superando le aspettative che erano del 7,6%. Per quasi 70 anni (dal 1951 al 2018) il pil indiano è cresciuto in media del 6,16%.

L’agricoltura rappresenta da sempre il comparto chiave dell’economia nazionale: negli ultimi 10 anni, il valore aggiunto lordo dato dall’agricoltura è stato tra l’11% e il 12% di quello prodotto dall’intera economia, in crescita costante: dagli 81 miliardi di rupie circa del valore  totale dell’economia negli anni 2011-12, quando il valore dell’agricoltura sfiorava i 10 miliardi di rupie, ai 154 miliardi di rupie degli anni 2017-18, nei quali l’agricoltura ha pesato per 16,7 miliardi di rupie.

Ma perché concentrarsi su uno specifico comparto, come quello dell’orticoltura?  Sicuramente perché rappresenta circa la metà dell’intera produzione agricola dell’India: 25 milioni di ettari su un totale di circa di 128 milioni di ettari coltivati, ma con 295 milioni di tonnellate prodotte a fronte dei 276 milioni delle colture cerealicole (classificazione internazionale: foodgrains). E perché l’India è il secondo produttore mondiale di frutta e verdura, che costituiscono quasi il 90% dell’orticoltura. Il restante 10% è rappresentato da spezie, fiori e piante aromatiche. Poi, per alcune colture specializzate, come mango, banana, papaya, anacardi, è in assoluto il maggiore produttore.

 

Imprese private, piani statali

Considerando la situazione socioeconomica particolarmente complessa dell’intero Paese, si intuisce come l’innovazione economica e tecnologica debba necessariamente partire da un deciso intervento statale attraverso programmi pluriennali che orientino le risorse. E per l’orticoltura è stato creato il Midh, Mission for integrated development of horticulture, con il quale il Governo centrale dell’India sostiene i programmi di sviluppo attraverso un contributo del­l’85% mentre il rimanente 15% è integrato dai singoli Governi locali.

Il programma Midh è costituito, poi, da sottoprogrammi destinati a specifiche colture o a regioni territoriali. I più importanti sono il Nhm, National horticulture mission, e il Nhb, National horticulture board, strut­ture organizzative che gestiscono gli interventi.

L’obiettivo principale di tutte le azioni riguarda proprio la meccanizzazione, grazie alla quale si punta ad aumentare la produttività e ridurre la fatica fisica del lavoro sui campi. E per questo il Nhb ha individuato l’area sulla quale concentrare i sostegni nella produzione di frutta e verdura, con l’importazione di attrezzature finanziate al 100%, attraverso l’agenzia governativa, con 5 milioni di rupie per ogni macchina (circa 60 mila euro).

Una voce specifica degli interventi è rivolta agli impianti di stoccaggio con refrigerazione o atmosfera modificata. Vengono concessi finanziamenti agevolati per nuovi impianti ma anche per ampliamenti o ammodernamenti di quelli già esistenti.

Specifici finanziamenti vengono destinati anche a progetti in campo aperto, compresa la produzione di funghi. Questo programma prevede un sussidio tra il 40 e il 50% dell’intero costo del progetto. Per i progetti che riguardano le attività successive alla raccolta, è previsto un intervento del 35%. Il programma specifico destinato alla meccanizzazione, inserito all’interno del Nhm, National horticulture mission, è il Smam: Sub-mission on agriculture mechanization. Possono accedere a questi sostegni economici anche le associazioni di coltivatori e varie organizzazioni solidaristiche, come i gruppi di donne coltivatrici, che abbiano almeno 10 soci e che siano impegnate in coltivazioni ortofrutticole.

I responsabili hanno pubblicato un dettagliato elenco delle tipologie di attrezzature con relativi interventi previsti, e si va dai trattori fino a 20 PTO Cv, alle motozappe, alle attrezzature per la preparazione del terreno e così via.

Un piano più ampio, nato nel 2007, è il Rkvy, Rashtriya krishi vikas yojana (Programma nazionale di sviluppo agricolo), che lascia ampi margini di autonomia ai singoli Stati di intervenire negli ambiti che ritengono più importanti. Il Governo centrale contribuisce con il 60% dei finanziamenti e lascia il restante 40% a ciascuno Stato. Molti interventi riguardano proprio l’orticoltura.

I sostegni statali per la meccanizzazione agricola riguardano aspetti più specifici, come la formazione e le risorse umane, il controllo qualità e la verifica delle attrezzature, la divulgazione della meccanizzazione.

 

Il catalogo dei prodotti

La produzione indiana in ambito ortofrutta è molto concentrata su pochi prodotti, con alcune ovvie differenze tra uno Stato e l’altro. Parlando solo delle aree prese in considerazione dallo studio dell’Agenzia Ice/FederUnacoma, le colture più significative sono: banane, mango, agrumi e mele, per la frutta; cipolle, pomodori, melanzane e cavoli, per gli ortaggi.

Costituisce un capitolo a sé stante la produzione di uva, che vede l’India al primo posto tra gli esportatori, e molto diffuse sono quelle di papaia, melograni, tapioca.

Il problema comune a tutte le attività agricole, comunque, è quello della frammentazione delle proprietà: i terreni che fanno capo a un proprietario, nella gran parte dei casi, hanno un’estensione inferiore a un ettaro. E la tendenza è addirittura a una progressiva moltiplicazione dei proprietari e conseguente riduzione delle dimensioni medie: dal 1970 a oggi (si legge nel rapporto) le cosiddette colture marginali, ovvero inferiori a 1 ettaro, sono passate da 14,5 milioni a 38 milioni. All’opposto, le aziende agricole di grandi dimensioni (superiori a 10 ettari) sono crollate da 50 milioni a 14 milioni. L’estensione media di un’impresa agricola è passata dai 2,28 ettari del 1970 a 1,08 ettari del 2016. Questo fenomeno ha una ragione precisa di tipo culturale.

 

Interventi per l’irrigazione

La riduzione della piovosità nei prossimi decenni si presenta come una prospettiva molto preoccupante per tutto il continente indiano. L’ultima rilevazione ha calcolato che l’area irrigata in tutto il Paese si aggira intorno ai 96 milioni di ettari. Ma dal 2015 il Governo ha lanciato un piano per aumentare sensibilmente questa superficie e ridurre gli sprechi.

Strettamente connessa al tema della carenza idrica e dell’aumento della temperatura viene considerata la sfida dell’aumento di produttività e della selezione di sementi. Tutti interventi che richiedono due premesse: impiantistica e conoscenza. Entrambe previste come voci da finanziare nei programmi di modernizzazione dell’agricoltura indiana. Anche perché senza strutture adeguate, e senza la capacità di utilizzarle al meglio, il supporto all’acquisto di trattori o qualunque altra strumentazione meccanica, risulterebbe uno spreco.

 

Labirinti burocratici

La raccomandazione che conclude la ricerca di Agenzia Ice e FederUnacoma riguarda proprio l’approccio alla burocrazia indiana. Per investire in India, le aziende italiane possono scegliere tra la costituzione di una “Private limited company” o di una “Public limited company”. In ogni caso, non potranno avere un’azienda con unico proprietario e la soluzione più pratica è quasi sempre la “Private limited company”, il corrispondente della nostra srl. La società dovrà essere iscritta al Registro delle società attraverso un modulo che si può anche compilare on line. Naturalmente, si potrà anche operare come affiliata a una società indiana o come succursale di un’azienda di import-export. Un cittadino italiano potrà dirigere una società indiana, grazie a un accordo del 2013 tra i due Paesi. Lo stesso accordo consente a un’impresa italiana di detenere azioni di una società indiana, con alcuni limiti. Le procedure sono state semplificate per chi vuole insediare in India impianti produttivi di attrezzature agricole.

 


Un formidabile trend

L’India può giocare a pieno titolo il ruolo di Paese leader nel processo di meccanizzazione dell’agricoltura. La crescita delle vendite di trattrici ed altre macchine e attrezzature agricole risulta negli ultimi anni imponente. I dati sul mercato nazionale – forniti da Agrievolution – evidenziano come il Paese asiatico sia passato da 392 mila trattrici vendute sul territorio nazionale nel 2008 a 660 mila nel 2017, segnando nel decennio un incremento pari al 68%.

Le stime fornite dall’associazione dei costruttori indiana TMA (Tractor Manufacturers Association) indicano un ulteriore balzo nel 2018, che dovrebbe aver registrato una crescita del 20% rispetto all’anno precedente portando il totale delle trattrici alla quota record di quasi 800 mila.

Insieme con le trattrici – che costituiscono in India il perno di ogni lavorazione agricola ma anche dei trasporti e delle attività più diverse in ambiente rurale – altre tipologie di macchine mostrano una domanda consistente, vedi il caso dei motocoltivatori, che nell’anno amministrativo indiano 2017-2018 (quello che va dal 1° aprile al 31 marzo e in base al quale viene valutata l’annata agraria e viene conteggiato l’acquisto della gran parte delle macchine e attrezzature agricole) hanno raggiunto quota 60 mila.

Oltre ai motocoltivatori, anche i coltivatori rotativi risultano una tipologia richiesta, registrando nella stessa stagione 2017-2018 un totale di 180 mila unità acquistate. A sostegno della meccanizzazione dell’agricoltura indiana vi sono peraltro investimenti pubblici consistenti, come quelli per l’estensione delle aree irrigue, passate negli ultimi quattro anni dal 37% al 40% dei terreni coltivati, e contributi specifici per l’acquisto di macchinario agricolo, che dovrebbero mantenere elevata la domanda anche nei prossimi anni.


La sesta edizione di EIMA Agrimach

L’esposizione di EIMA Agrimach, che FederUnacoma organizza in collaborazione con la Federazione delle Camere di Commercio e dell’Industria Indiana FICCI e che darà luogo dal 5 al 7 dicembre prossimo alla sua sesta edizione biennale, rappresenta un evento di successo e un presidio importante nel subcontinente indiano.

Partita nel 2009 con 220 espositori e un pubblico di 18 mila persone, la rassegna di New Delhi ha raggiunto nell’edizione 2017 i 435 espositori, su una superficie di 30 mila metri quadri, e un totale di 42 mila visitatori dei quali 6 mila esteri provenienti di 40 Paesi, a conferma di come questa rassegna rappresenti ormai un evento di riferimento per operatori sia del Subcontinente indiano sia di altri mercati emergenti in Asia e nell’Africa Sub-sahariana.

Il valore strategico di EIMA Agrimach – a cui FederUnacoma affianca altre iniziative promozionali e divulgative come le prove in campo che si tengono periodicamente nel Punjab o in Maharashtra – è quello di intercettare la domanda di tecnologie in un Paese che può rappresentare un formidabile partner commerciale, oltre che un ponte verso altri mercati asiatici. Significativo in questo senso il fatto che nell’edizione 2017 sono stati presenti operatori economici da Paesi quali Indocina, Nepal, Sri Lanka, oltre che da Paesi dell’Africa Sub-sahariana, e che per l’edizione di quest’anno si prevedono delegazioni da circa dieci Paesi.

Questo in una cornice di sviluppo complessivo delle relazioni economiche tra Italia e India. Il Subcontinente rappresenta infatti, quest’anno, un’area “focus” per le istituzioni italiane e per l’Agenzia ICE, e in questo quadro l’obiettivo di FederUnacoma è portare per la prima volta alla rassegna di New Delhi le filiere agro-industriali, in collaborazione con altre Federazioni di Confindustria coinvolte (vedi Anima) e in sinergia con progetti specifici delle organizzazioni territoriali confindustriali di Emilia Romagna, Veneto e Lombardia.


Maggiori opportunità di business

«Quello indiano è un mercato dalle grandi opportunità, ma richiede impegno e costanza. La burocrazia è stata semplificata negli ultimi anni, ma rimane ancora complessa rispetto agli standard occidentali». Questa la premessa di Davide Gallarate, funzionario dell’Ufficio Eventi di FederUnacoma, diretto da Marco Acerbi, che ha maturato una familiarità con l’India proprio per aver seguito per anni le attività della Federazione nel Subcontinente. «Per fare solo un esempio – aggiunge – alcuni dei programmi di sviluppo del Governo prevedono che ogni attrezzatura agricola che il coltivatore indiano può acquistare con il supporto finanziario pubblico, debba essere certificata da un ente governativo. E i tempi non sono proprio rapidissimi. Chi voleva investire in India doveva interfacciarsi con diverse agenzie pubbliche, mentre oggi può risolvere tutto con un solo interlocutore istituzionale». «I numeri, comunque, dimostrano come il mercato indiano rimanga tra i più interessanti – sottolinea l’esperto FederUnacoma – soprattutto per i produttori italiani: è tra i pochi in crescita, mentre l’Europa e gli stessi Usa appaiono come mercati più maturi». «Proprio la dimensione media dell’azienda agricola indiana – sostiene ancora Gallarate – si rivela un dato interessante per molti produttori italiani, che sono specializzati in attrezzature adatte a coltivazioni di dimensioni medio-piccole. E questo è un trend destinato a continuare, anche a fronte delle complicate leggi indiane sulla successione, che prevedono per la suddivisione della proprietà criteri molto stringenti. Questo vuol dire che di generazione in generazione gli appezzamenti di terreno diventano sempre più piccoli – conclude Gallarate – un fatto che ha riflessi tanto sulla quantità di mezzi potenzialmente richiesti quanto sulla specificità delle tecnologie, che debbono essere pensate in larga parte per aziende di piccole dimensioni».

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