Aratri per tutti i suoli
La variabilità del terreno agricolo è estremamente ampia, e di conseguenza per il suo dissodamento occorrono aratri evoluti, sia nelle dotazioni che nei materiali di costruzione. Anche le regolazioni e e l’adattamento degli aratri alle caratteristiche dei trattori che li trainano sono parametri importanti per una lavorazione di qualità
Da sempre è simbolo della meccanizzazione agricola. Ma da alcuni anni la popolarità dell’aratro sembra un po’ appannata, a favore di altre soluzioni per la lavorazione del terreno, che si propongono come maggiormente vantaggiose in termini agronomici ed energetici.
In realtà, è necessario far comunque riferimento alle specifiche caratteristiche pedo-climatiche dei suoli agrari: nell’areale del Mediterraneo, la classica combinazione aratura + erpicatura mostra ancora una validità assoluta; la netta inversione degli orizzonti che si realizza è utile soprattutto per accelerare il processo di umificazione della biomassa interrata, in modo da ripristinare un corretto contenuto di sostanza organica del terreno, troppo spesso eccessivamente sfruttato da monocolture intensive, fertilizzate in esclusiva e per lungo tempo con concimi minerali.
La “tenuta” dell’aratura come intervento fondamentale nella lavorazione primaria del terreno è comunque validamente confermata anche dal mercato (non solamente italiano), dove sono attivamente presenti numerosi costruttori di diverse dimensioni aziendali, che in tema offrono una gamma quanto mai ampia di soluzioni tecniche, volte ad ottenere il miglior risultato in una pluralità di condizioni operative.
Le regolazioni
Comunque sia, per un’aratura qualitativamente valida è necessaria una scrupolosa regolazione dell’attrezzo; oltre ovviamente alla profondità, e anche in relazione alla sua tipologia, l’aratro deve essere correttamente orientato nelle tre direzioni fondamentali, con un’attenzione particolare rispetto alla direzione di avanzamento, per contrastare le dannose spinte laterali, causa di riduzioni della capacità di lavoro, aumenti del consumo di combustibile e dell’usura dell’attrezzo. Per questo tutti gli aratri dispongono di una serie di dispositivi per il loro posizionamento rispetto al trattore: dalle soluzioni base di tipo meccanico, specie sui modelli maggiormente accessoriati si è passati da tempo alla gestione idraulica, che permette di risparmiare tempo e fatica. Analoga considerazione può essere fatta, per gli attrezzi polivomere, dal ruolo speciale rivestito dal primo corpo, la cui larghezza di lavoro condiziona quella degli altri che seguono.
Il tutto naturalmente deve essere commisurato anche all’angolo di attacco dell’aratro, che definisce la larghezza di lavoro globale, che in alcuni casi può essere variata anche in movimento, durante la normale operatività.
In solco o fuori solco?
L’aratura può essere eseguita con due ruote del trattore nel solco creato nella passata adiacente, oppure con tutte le ruote che avanzano sul piano di campagna. Le due soluzioni presentano entrambe diversi vantaggi e svantaggi; in estrema sintesi, con le ruote nel solco l’aratro lavora maggiormente in linea con il trattore, ma gli pneumatici di un lato della macchina hanno un’aderenza ben diversa da quelli dell’altro lato, sia per la differenza di peso del mezzo che grava su di essi (dovuta all’inclinazione del trattore), sia per l’aggrappamento che non è uguale, dato che una coppia di ruote esercita la trazione sul fondo del solco (= terreno nudo), mentre l’altra lavora su una superficie tipicamente inerbita e/o con residui della coltura precedente. Questi problemi sono risolti con l’aratura fuori solco, ma in questo caso il tiro del trattore non è in linea con la direttrice dell’aratro, generando quindi significativi sforzi laterali. Fino a qualche tempo fa, per l’uno o l’altra delle soluzioni dovevano essere adottati aratri specifici; ora invece, grazie alle loro ampie possibilità di regolazione, sono disponibili modelli che possono operare in entrambe le modalità.
Versoio largo
Per massimizzare la capacità di trazione, i moderni trattori sono dotati di pneumatici sempre più larghi, con sezioni trasversali anche di 700 o 800 mm per i modelli di potenza più elevata. Nelle arature in solco, ciò comporta un compattamento non indifferente del terreno dissodato nella passata adiacente, con il transito successivo. Per ovviare a tale inconveniente, parecchi costruttori propongono versoi significativamente più larghi di quelli standard, che sono in grado non solo di lasciare un fondo del solco più ampio, ma anche di allontanare lateralmente una maggior quantità di terra, creando quindi un minore sovralzo.
La sicurezza
Oltre alle tre frazioni di base (ovvero sabbia, limo e argilla), nella lavorazione primaria del terreno si deve sempre tenere conto dello scheletro, ovvero ghiaia, sassi e pietre. Queste ultime, e in particolare quelle completamente interrate, possono creare grossi problemi in aratura, provocando rotture anche gravi. Per questo, in tali condizioni da tempo gli aratri sono stati dotati di organi di sicurezza: il più semplice ed economico è il bullone a tranciamento, che se sollecitato (a taglio o talvolta a trazione) oltre il limite di rottura scollega il corpo interessato all’impatto con la pietra, evitando danneggiamenti. Più modernamente, sono stati installati dispositivi di tipo reversibile meccanici o idraulici, in grado di far sollevare con un angolo fino a 60-70° (ed eventualmente traslare lateralmente per 20-25°) il corpo interessato all’impatto con la pietra, provvedendo poi tempestivamente a riportarlo in posizione per continuare il lavoro. Si tratta di molle tarate, oppure di cilindri idraulici integrati da accumulatori ad azoto, la cui soglia di intervento può anche essere regolata in funzione delle necessità.
La Maschio Aratri di Concordia Sagittaria (VE) propone modelli dotati di entrambi i dispositivi. La soluzione classica con il bullone a tranciamento è consigliata per quei terreni dove la presenza di sassi ed ostacoli è occasionale: semplice ed affidabile, richiede una sostituzione veloce, eseguibile anche in campo.
Il sistema idraulico a precarico regolabile dal posto di guida monta a servizio del primo e dell’ultimo corpo dei cilindri ad alesaggio maggiorato, per sopportare un carico più elevato. Nella versione più completa, indicata per terreni con notevole presenza di grossi sassi, primariamente interviene l’idraulica, ma se la pressione applicata al versoio dovesse superare la soglia massima interviene il bullone a tranciamento.
Trattamenti termici e materiali speciali
Tutte le attrezzature per la lavorazione del suolo agrario sono costruite con acciai idonei a sopportare sostanzialmente due tipi di sollecitazioni, ovvero l’attrito dovuto allo strisciamento del terreno sugli utensili e gli impatti con le componenti importanti dello scheletro, che comportano rispettivamente una progressiva usura e il pericolo di rotture. Oltre ai dispositivi di scollegamento della parte interessata all’impatto con il corpo estraneo, la miglior resistenza del materiale viene ottenuta con un aumento della durezza superficiale del manufatto, mantenendo però la più elevata flessibilità della struttura interna.
Tale risultato viene ottenuto con diversi processi, i più comuni dei quali sono la tempra e la cementazione; si adottano però anche diverse soluzioni sul tema, quali l’uso di acciai al boro, oppure componenti, come il versoio, realizzati a 3 strati con caratteristiche differenziate.
Per le parti soggette alla massima sollecitazione, quali il coltro, si ricorre ad inserti di placchette di materiali ancora più duri, come il carburo di tungsteno. La loro realizzazione richiede un controllo molto preciso di ogni fase della produzione. Dopo la sinterizzazione, sono eseguiti diversi passaggi di formatura per compressione, ad ottenere gli inserti che saranno collocati per brasatura nella loro posizione finale, talvolta con un trattamento termico dell’intero organo lavorante a 800°C, per una miglior omogeneità strutturale del pezzo.
La ricerca della miglior resistenza all’usura già da tempo è stata orientata anche verso materiali non metallici, diversi all’acciaio. Le materie plastiche possono costituire in determinati casi una valida alternativa, come ad esempio proprio nella costruzione degli avanvomeri e dei versoi degli aratri, dove lo sviluppo tecnologico ha riguardato la riduzione degli attriti tra l’attrezzo e il terreno, con il fine di diminuire la forza di trazione richiesta per dissodare il suolo. Tra le varie soluzioni, quelle che hanno riscosso un certo successo riguardano il rivestimento della superficie di scorrimento del versoio con polietilene o Teflon, oppure in alternativa la fabbricazione dell’intero versoio sempre in polietilene, spesso sostenuto da uno scheletro di rinforzo in acciaio. Più in dettaglio, il Robalon sviluppato già cinquant’anni fa dall’austriaca Röchling Leripa Papertech è polietilene ad altissima densità molecolare (UHMW-PE), combinato con bisolfuro di molibdeno, leganti e stabilizzanti UV. Rispetto alle realizzazioni metalliche tradizionali, questo materiale plastico presenta un attrito ridotto e quindi minor usura, una bassa adesione della superficie a contatto con il terreno e, ovviamente, un peso inferiore (fino al 60% in meno), a parità di resistenza dinamica. Ciò lo rende quindi particolarmente adatto a lavorare in suoli collosi ed appiccicosi, dove la terra tende ad aderire al versoio.
Non sorprende quindi che molti produttori abbiano a catalogo modelli con versoi costruiti (o ricoperti) con materiale plastico; ad esempio, la De Franceschi di Villanova (PD) costruisce aratri con versoi in polietilene ceramicato, con i quali dichiara un risparmio di gasolio e velocità di lavoro superiori del 12% rispetto al modello tradizionale.
La manovrabilità e il trasporto
I modelli polivomere con un alto numero di corpi comportano un notevole ingombro in fase di manovra e di trasporto, causa di problemi nell’operatività in capezzagne anguste e su stradine strette.
Alcuni costruttori hanno risolto la questione dotando gli aratri di meccanismi in grado di disassare il loro asse longitudinale fino a 45° rispetto a quello del trattore.
Si tratta di una funzione che sui modelli più evoluti può essere attivata direttamente dal posto di guida, risultando oltremodo utile nei trasferimenti veloci su strada pubblica in presenza di traffico, soprattutto nella percorrenza di curve strette e rotonde a raggio ridotto.
I versoi fenestrati
Per diminuire la richiesta di forza di trazione in aratura, da parecchi anni hanno fatto la loro comparsa sul mercato i versoi fenestrati (o a strisce), nei quali il versoio è realizzato da una serie di robuste barre affiancate in parallelo e opportunamente distanziate, a ricreare la forma e l’estensione di quello tradizionale monolitico.
A parità di qualità e di spessore dell’acciaio, i versoi fenestrati si caratterizzano per una rigidezza strutturale inferiore, ma comportano un attrito ridotto del 20% rispetto a quelli tradizionali, con una richiesta di trazione proporzionalmente inferiore. Peraltro, la discontinuità delle fenestrature aumenta leggermente anche la disgregazione delle zolle prodotte, con un certo risparmio energetico nelle successive operazioni di affinamento. I primi tipi di versoio fenestrato non lavoravano bene nei terreni ricchi di scheletro, perché sassi e pietre si incastravano nelle fessure, incrementando in tal modo gli attriti del corpo lavorante; il problema è stato risolto rendendo divergenti le fenestrature verso la parte posteriore del versoio, favorendo in tal modo il rotolamento e lo scarico delle pietre dall’elemento. Un ulteriore vantaggio del versoio fenestrato rispetto a quello tradizionale è la sua leggerezza, che comporta notevoli benefici soprattutto nel trasporto su strada.