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Tecnica

Semina su sodo: i vantaggi per l'ambiente e per l'economia dell'azienda

Sebbene ancora poco praticata in Italia, la semina su sodo rappresenta una soluzione promettente, per contenere i consumi di gasolio e aumentare la sostenibilità delle produzioni. I benefici maggiori si osservano nel medio-lungo periodo, grazie all’aumento della sostanza organica e della fertilità del terreno, nonché alla riduzione dell’erosione

di Michele Costantini e Jacopo Bacenetti
marzo 2020 | Back

La quota di emissioni climalteranti dovute all’agricoltura varia dal 10 al 20% del totale, in particolare per le attività zootecniche, la risicoltura e la deforestazione. Per ciò che concerne i seminativi, una quota non trascurabile dell’impatto è connessa alla meccanizzazione delle lavorazioni, soprattutto quelle primarie e secondarie del terreno, soprattutto se eseguite con le modalità tradizionali, ovvero con l’inversione degli orizzonti nei primi 20-35 cm di profondità (aratura) e l’amminutamento dello strato superficiale (erpicatura). Si tratta di operazioni molto energivore, che comportano inoltre una più rapida mineralizzazione della sostanza organica. In tale contesto, i principali svantaggi rilevabili sono l’elevato consumo di gasolio, la cui combustione comporta la produzione di emissioni inquinanti (polveri sottili, ossidi di azoto, ecc.), e il ridotto accumulo di sostanza organica (e quindi di carbonio) nel suolo.

Le tecniche alternative a quelle convenzionali sono la minima lavorazione o la cosiddetta semina “su sodo”, che evidenziano aspetti positivi anche per quanto riguarda la riduzione del compattamento e dell’erosione superficiale del suolo. Stime recenti inerenti quest’ultimo parametro hanno evidenziato come, per il solo contesto italiano, la massa di suolo eroso sia pari mediamente a 1,7–1,8 t/ha all’anno. Si tratta ovviamente di valori medi, molto variabili in funzione dell’orografia e delle caratteristiche pedoclimatiche del luogo oggetto di valutazione.

La FAO stima che la semina su sodo sia praticata a livello mondiale su più di 100 milioni di ettari, soprattutto in Canada, Usa, Argentina, nonché in Australia e in Asia. In Europa, la sua diffusione è concentrata nelle zone vocate alla cerealicoltura dell’Est Europa. A livello italiano, questa pratica è ancora poco adottata, anche se è prevista una sua espansione nei prossimi anni, grazie a un maggior ricorso al contoterzismo e alla presenza di risorse finanziarie dedicate nei piani di sviluppo rurale.

La semina su sodo

Si tratta di una tecnica alternativa di lavorazione del terreno e di semina, proficuamente adottata soprattutto per i cereali autunno-vernini, primaverili ed estivi, ma anche per altre colture foraggere e/o proteoleaginose. In pratica, la semina viene eseguita su un terreno che non ha subito nessun intervento preliminare, per cui tale pratica viene anche definita “semina diretta”. Di fatto, i semi vengono deposti nel terreno in un unico passaggio, con seminatrici specificamente studiate per poter lavorare convenientemente su suoli compatti e con presenza di residui colturali (a volte abbondanti) in superficie.

Come peraltro quelle tradizionali, le seminatrici per la semina su sodo possono essere a righe o di precisione; rispetto a quelle convenzionali sono però dotate di robusti organi lavoranti che smuovono il terreno in corrispondenza della striscia dove vengono depositati i semi.

Ciò comporta un aumento della massa delle seminatrici, necessario anche per una più efficace azione disgregante, e quindi un maggior consumo di gasolio speso per la semina, ma comunque un risparmio complessivo rispetto al cantiere tradizionale, grazie alla netta riduzione del numero di interventi.

La lavorazione superficiale e in striscia del suolo avviene grazie a dischi o denti, preceduti da specifici utensili organi per la gestione dei residui colturali (di deviazione, di taglio, di incorporazione ecc.) e seguiti da organi assolcatori e di compressione, per favorire l’adesione del terreno al seme.

Riduzione dell’impatto ambientale

Uno degli aspetti fondamentali in tal senso è la resa produttiva di tale orientamento agronomico nel tempo: alcuni autori riportano, in particolare nel medio-lungo periodo, una maggiore stabilità e anche un aumento delle rese variabile tra il 5 e il 20%, mentre altre esperienze hanno evidenziato una riduzione delle produzioni, soprattutto nei primi anni di adozione di tale tecnica alternativa.

In generale, se la semina su sodo viene eseguita correttamente, ovvero nelle condizioni pedoclimatiche più idonee e su suoli adatti, è lecito aspettarsi rese simili a quelle della lavorazione convenzionale. Pertanto, nell’ipotesi di costanza della resa è stata effettuata una valutazione dell’impatto ambientale della coltivazione di mais da granella (classe FAO 700) in areale irriguo secondo il disciplinare per la produzione integrata della Regione Lombardia. Al fine di identificare la tecnica più sostenibile, l’oggetto di questa valutazione è stato il confronto tra due differenti scenari di lavorazione del terreno e semina: uno scenario “base”, rappresentato dal cantiere tradizionale (con aratura a 35 cm, doppia erpicatura e semina con seminatrice pneumatica di precisione), e uno “alternativo” con semina su sodo. Per lo scenario tradizionale, le informazioni di dettaglio sono state raccolte mediante rilievi diretti nell’azienda sperimentale della Facoltà di Science Agrarie e Alimentari dell’Università degli Studi di Milano sita a Landriano (PV), mentre per quello alternativo ci si è affidati alla bibliografia.

Analisi della sostenibilità ambientale

è stato considerato l’approccio di analisi del ciclo di vita (o Life Cycle Assessment), codificato da specifiche norme (ISO 14040 e ISO 14044), che consente di convertire la quantità di fattori produttivi consumati e le emissioni nell’ambiente in un determinato numero di indicatori di impatto ambientale, come ad esempio l’impronta di carbonio, l’acidificazione del terreno e l’eutrofizzazione delle acque. Il vantaggio di tale approccio è quello di riuscire a considerare al contempo una molteplicità di impatti ambientali, evitando quindi che l’ottimizzazione di uno di questi comporti un aumento degli altri. Al di là dei valori assoluti, è interessante notare che per ogni parametro  considerato lo scenario inerente la semina su sodo evidenzia un impatto inferiore.
La riduzione è più significativa per quegli impatti collegati più direttamente al consumo di gasolio, ad esempio l’assottigliamento dello strato di ozono (-11,1%) e le risorse abiotiche (-11,5%), mentre è meno marcata per gli impatti maggiormente dipendenti dalle emissioni inerenti la fertilizzazione (acidificazione ed eutrofizzazione), la cui variabilità non è stata inclusa in questo studio.

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