Robot autonomi, il ruolo della componentistica
Lo sviluppo di mezzi meccanici autonomi è stato reso possibile grazie alle numerose e profonde innovazioni che il settore della componentistica ha conosciuto negli ultimi 30 anni. Si tratta di quelle parti che, come nel caso dell’IA, dei sensori e delle videocamere 4K, costituiscono la mente e l’apparato sensoriale dei robot agricoli
Ancora oggi quando si pensa al settore primario la mente corre all’immagine di una società tradizionale, fondata sul lavoro manuale e povera di tecnologia, caratterizzata da stili di vita asciutti, essenziali, scanditi dai tempi rigorosi delle operazioni nei campi. Pensare al mondo rurale richiama l’idea di un’economia fragile, a bassa produttività, vulnerabile ai capricci del clima, all’aggressione dei parassiti, all’impoverimento dei terreni. Proprio perché così strettamente connesse con i bisogni primari dell’uomo e con quel sistema socio-produttivo che ha accompagnato una parte significativa del cammino umano, le attività agricole finiscono dunque per richiamare, a torto, quella condizione di incertezza che ha a lungo caratterizzato il nostro “stare al mondo”. Proprio per questo, fin dall’invenzione dei primi motori – a vapore, ma soprattutto a scoppio – si è coltivata l’ambizione di delegare alle macchine il lavoro nei campi, con l’idea di industrializzare l’agricoltura sottoponendola ad un controllo dei fattori produttivi sempre più spinto. Del resto, in quell’esercizio di immaginazione in cui la letteratura fantascientifica si produce per la costruzione di scenari più o meno futuribili, le ambientazioni rurali giocano da sempre un ruolo di primo piano. La conquista di una nuova frontiera, sia essa tecnologica o spaziale, è infatti scandita – nei romanzi come nei lungometraggi – da una rivoluzione delle pratiche agricole. Una rivoluzione, questa, di cui sono protagoniste le macchine, o meglio, un sistema di macchine: intelligenti, interconnesse, autonome. Mezzi in grado di auto-apprendere, auto-correggersi, auto-ripararsi, auto-alimentarsi e, dunque, di svolgere da soli tutte quelle operazioni che un tempo venivano eseguite manualmente o comunque sotto il controllo o la direzione dell’uomo. Trattori a guida autonoma che arano il terreno, atomizzatori robot che si muovono tra i filari di una vigna per erogare trattamenti mirati, droni sospesi nell’aria per monitorare il fabbisogno idrico della vegetazione. E ancora: sensori in grado di rilevare il grado di maturazione del singolo grappolo d’uva, assali intelligenti progettati per ottimizzare la marcia dei veicoli, centraline elettroniche studiate per gestire al meglio le funzioni del veicolo e razionalizzarne i consumi, motori elettrici ad elevata autonomia. Quello che solo 30 anni fa sembrava essere uno scenario ambientato in un lontano futuro, oggi è una realtà. Dalla fine degli anni ’80 la meccanica agricola ha infatti compiuto un grande salto tecnologico che, a sua volta, è stato reso possibile dagli straordinari progressi nel settore dei componenti. I processi innovativi, infatti, non coinvolgono soltanto le macchine intese come sistemi integrati, benché essi siano in tal caso assai più tangibili, ma anche (e forse soprattutto) le diverse parti che di quei sistemi fanno parte. è il caso, ad esempio, dei dispositivi elettronici. Attualmente essi sono prodotti con tecnologie nanometriche che hanno permesso di ridurre le dimensioni dei transistor fino al 5nm, modificandone il comportamento e le prestazioni. Altre innovazioni hanno interessato le architetture dei chip, i bus di comunicazione e altri componenti digitali facendo crescere la potenza di calcolo in modo non più lineare ma esponenziale. Grazie ai progressi della ricerca è stato possibile da un lato migliorare le performance dei circuiti integrati, dall’altro realizzare considerevoli economie di scala e, quindi, abbattere le barriere di accesso alle tecnologie di calcolo. Con lo sviluppo delle videocamere ad alta risoluzione e il loro abbinamento all’IA – per fare un altro esempio – si sono messe a punto tecnologie di diagnosi fotografica in grado di analizzare lo stato vegetativo di una coltura e di identificare eventuali agenti patogeni. Non meno significativi i passi avanti compiuti nel campo dei sensori, che possono essere considerati come il vero apparato “sensibile” delle macchine autonome. Attraverso i sensori, l’IA ottiene un complesso di informazioni e parametri – la distanza tra le fila di un vigneto, le caratteristiche morfologiche del terreno, il fabbisogno idrico di una singola pianta, l’eventuale presenza di piante infestanti – che determinano il modo in cui la macchina, nella più totale libertà, decide come operare sul campo. Se molte di queste tecnologie digitali – robotica compresa – trovano da tempo impiego nelle tecniche e nelle procedure dell’agricoltura di precisione, oggi la nuova frontiera sembra essere proprio quella dei robot autonomi. Macchine che, senza alcun intervento dell’uomo, scelgono quali lavorazioni eseguire, quando e come farle. In tale scenario, di cui oggi si intravedono i primi contorni, c’è anche posto per l’errore perché questi mezzi non sono concepiti per essere perfetti. Sono invece progettati per imparare da uno sbaglio, per auto-correggersi nell’immediato e per modificare i comportamenti futuri sulla base dell’errore compiuto. Proprio come farebbe un uomo nella sua quotidianità.