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Tecnica

La zavorratura, per incrementare aderenza e stabilità

Si tratta di una pratica diffusa in agricoltura che, se applicata in maniera corretta, consente l’ottimizzazione di molte lavorazioni. La zavorratura, che prevede l’utilizzo di vari materiali, può essere effettuata anche sui cerchi delle ruote. Soluzioni tecniche innovative realizzate da case costruttrici si sono imposte all’attenzione negli ultimi anni, conquistando anche riconoscimenti nei concorsi che premiano le novità tecniche

di Lavinia Eleonora Galli
marzo 2020 | Back

La zavorratura è un metodo molto diffuso, economico e pratico, per incrementare l’aderenza e la stabilità dei trattori. Questi due parametri, entrambi fondamentali per ottimizzare le lavorazioni, richiedono un’attenta distribuzione delle masse (e quindi una diversa collocazione delle zavorre) rispetto agli equilibri dell’insieme trattore-operatrice.

L’aderenza, intesa tecnicamente come la capacità di trazione del trattore, dipende sostanzialmente da due fattori: il peso aderente (quindi la parte di peso della macchina che grava sull’asse o sugli assi motori) e l’efficacia del contatto tra il terreno e gli organi di propulsione (pneumatici o cingoli).

La stabilità dell’insieme trattore-attrezzatura è invece la più importante condizione richiesta affinché le lavorazioni di campo ed ancor più i trasferimenti avvengano in sicurezza. In questo caso, la stabilità dipende dalla distribuzione delle masse e dai momenti delle forze generate. In particolare, secondo il Codice della Strada, al fine di garantire una circolazione su strada pubblica in condizioni di sicurezza, occorre garantire sull’asse sterzante almeno il 20% della massa globale che agisce sul trattore, compresa quindi la massa di un’eventuale operatrice portata all’attacco a 3 punti o l’eventuale componente che si scarica sul gancio di traino di un’operatrice trainata.

Per soddisfare queste esigenze, sono state messe a punto nel tempo diverse tipologie di zavorre, per conseguire la più efficiente distribuzione delle masse, in funzione del miglioramento dell’aderenza e della stabilità.

 

Zavorratura a sbalzo anteriore

Come suggerisce la definizione, queste zavorre sono collocate anteriormente al corpo trattore: su apposite supporti porta zavorre (spesso loro stessi in ghisa, per incrementare l’entità della zavorratura), nel caso di trattori di piccola-media potenza, oppure sull’attacco a tre punti anteriore, sui trattori di potenza maggiore. Possono essere sia a valigetta che monolitiche, e differiscono per le modalità di montaggio. Per consentire un’applicazione manuale, le zavorre a valigetta hanno una massa relativamente limitata e prevedono una maniglia nella parte superiore. Sono comunemente di ghisa e provviste di fori per l’inserimento di perni di ancoraggio. La massa di ogni singola valigetta varia solitamente tra 15 e 40 kg, il che le rende gestibili da un singolo addetto, senza ausilio di mezzi meccanici. Le zavorre monolitiche, metalliche o in calcestruzzo, sono invece di dimensioni e masse molto maggiori. Devono essere alloggiate su un supporto dedicato oppure, più modernamente, direttamente sull’anteriore del trattore (o posteriore nel caso di montaggio contestuale del caricatore frontale), tramite perni e bracci di opportuna robustezza. Possono talvolta essere anche accoppiate tra loro, sempre mediante perni di sicurezza.

 

Zavorratura sui cerchi delle ruote

Una soluzione finalizzata ad incrementare il solo peso aderente del trattore (cioè quello che aumenta la capacità di trazione) consiste nell’applicare robusti anelli di ghisa sulle ruote motrici del trattore, in configurazione singola o multipla, fissati mediante bulloni alle flange dei cerchi ruota. Questa zavorratura implementa di solito quella a sbalzo anteriore, per ottenere una più equilibrata distribuzione nel raggiungimento di elevate quantità globali (comunque di solito non oltre il 30% della massa complessiva del trattore tal quale); in tal caso, solitamente 2/3 della zavorratura viene montata a sbalzo anteriore ed il rimanente sui cerchi posteriori. Questa ripartizione ha anche lo scopo di non mettere eccessivamente sotto sforzo la struttura del trattore.

 

L’EZ Ballast di John Deere

è un sistema per agevolare la gestione di una zavorra dedicata, messo a punto in due versioni differenti e per scopi diversi; la prima prevede l’applicazione della zavorra nella parte ventrale del trattore, al fine di massimizzare il peso aderente della macchina e quindi incrementarne la capacità di trazione, mentre la seconda consiste invece in un meccanismo per applicare facilmente zavorre ad anello ai cerchi delle ruote. La prima soluzione, premiata con la medaglia d’argento ad Agritechnica 2015, consiste in una zavorra monolitica da 1700 kg che viene movimentata tramite un apposito braccio idraulico (posto sotto il trattore) ed un meccanismo automatico di aggancio e sgancio. La gestione della zavorra è gestita dal posto di guida tramite comandi dedicati, compreso il blocco con opportuni perni di fissaggio. Si è aggiudicato invece la medaglia d’argento ad Agritechnica 2017 l’EZ Ballast Wheel System, un sistema agevolatore per la zavorratura delle ruote del trattore, quelle anteriori sino a 250 kg per cerchio e quelle posteriori sino a 500 kg per cerchio. L’EZ Ballast Wheel System è implementato dal Ballast Assist System che rileva il montaggio di un’attrezzatura all’attacco a tre punti (anteriore o posteriore) e determina di conseguenza la distribuzione ottimale delle zavorre.


I materiali delle zavorre

Le zavorre per i trattori agricoli sono differenti nella conformazione, per dimensioni e soprattutto per i materiali impiegati. Tra questi, i più comuni sono la ghisa, la magnetite e il calcestruzzo.

La ghisa e la magnetite sono il materiale di elezione nelle zavorre “a valigetta” (o comunque modulari); la massa volumica è elevata, circa 5.200 kg/m3 per la magnetite e addirittura 7.900 kg/m3 per la ghisa, 2-3 volte quella del calcestruzzo. A parità di massa, si tratta di zavorre di dimensioni più contenute, quindi di ingombro limitato.

Il calcestruzzo viene adottato per la costruzione di zavorre monolitiche medio-grandi, con il vantaggio di essere economico e facilmente sagomabile, anche se risulta forse un po’ meno resistente agli urti rispetto alle zavorre metalliche.


Il “moltiplicatore di zavorra” ALI

La Ali di Anghiari (AR) ha realizzato nel 2016 un dispositivo, definito (seppur in modo improprio) “moltiplicatore di zavorra”. Premiato come novità tecnica ad EIMA 2016, è un meccanismo costituito da 3 elementi fondamentali, ovvero: 1) un modulo di ancoraggio collocato sulla parte anteriore del trattore; 2) due bracci azionati idraulicamente che, mediante un comando dedicato in cabina, movimentano la zavorra allontanandola dal corpo trattore; 3) il supporto porta zavorre vero e proprio.

Di fatto, questo dispositivo non aumenta in modo significativo l’entità globale della zavorratura (se non per il meccanismo installato ex-novo, che ha una massa variabile tra 450 e 650 kg, in funzione della versione), ma ne migliora l’efficacia, agendo sul momento della forza peso esercitato dalla zavorra.

In fisica, il momento di una forza definisce il moto rotazionale impresso ad un corpo a causa dell’applicazione di una forza in un determinato punto, ad una distanza nota dal centro di rotazione (il fulcro). La formula del momento di una forza è: M=F*b*sinα, ovvero il prodotto del modulo del vettore forza, moltiplicato per la lunghezza del braccio, considerando la sua componente ortogonale alla direzione della forza, quindi il seno dell’angolo tra il braccio e la direzione della forza.

Il principio sfruttato da questo dispositivo consiste nel variare la lunghezza del braccio (b), cioè la distanza tra la zavorra e l’asse anteriore del trattore, per incrementare il momento (M). Lo scopo fondamentale è di creare un momento stabilizzante, che contrasti il momento ribaltante generato dall’attrezzatura portata o trainata posteriormente.

è previsto il montaggio sia di zavorre monolitiche che a valigetta, fino a 2000 kg.

In sostanza, raddoppian­do la lunghezza del braccio, a parità di momento è possibile adottare una zavorra di massa dimezzata (Ma e Mb), mentre, all’opposto, a parità di zavorra, raddoppiando la distanza, si avrà un momento superiore di due volte (Mc). Applicando l’equazione, si avrà:

 

Ma=F*b*sinα= [(2000 kg*9,81 N/kg)*0,5 m*1] = 9810 Nm

Mb=F*b*sinα= [(1000 kg*9,81 N/kg)*1 m*1] = 9810 Nm

Mc=F*b*sinα= [(2000kg*9.81N/kg)*1 m*1] = 19620 Nm


La zavorratura ad acqua                                                     

Si tratta di una soluzione ormai poco praticata, che prevede il riempimento parziale degli pneumatici con acqua (a cui si aggiunge una sostanza per abbassare il punto di congelamento) fino al 75% circa del loro volume interno, gonfiando a pressione standard il rimanente 25%.

I motivi della scarsa diffusione di questo tipo di zavorratura sono sia di carattere legale che pratico.

Non è infatti consentito circolare su strada pubblica con gli pneumatici zavorrati ad acqua, a causa di una maggior difficoltà nel controllo del mezzo, specie in caso di manovre di emergenza, mentre dal punto di vista pratico si evidenziano criticità in fase di svuotamento del liquido.

La zavorratura ad acqua è ovviamente più sensibile agli sbalzi termici rispetto al gonfiaggio tradizionale. Mantenere la zavorratura ad acqua senza opportune precauzioni all’interno dei pneumatici, durante le stagioni più rigide può compromettere gravemente lo pneumatico.

In questo caso, è indispensabile adottare un idoneo principio antigelo: la miglior opzione è il cloruro di calcio, che deve essere aggiunto in quantità proporzionalmente crescenti in funzione della temperatura minima alla quale di vuole scongiurare la solidificazione dell’acqua.




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