L'India continua a correre
Anche nel 2024 il Subcontinente registrerà il maggior tasso di crescita del PIL fra i ‘grandi’ del pianeta. L’agricoltura resta un settore strategico per il sistema-Paese ma è condizionata dai cambiamenti climatici e da bassa produttività. Il ruolo della meccanizzazione per modernizzare il settore primario
Fine gennaio 2024. Esce il World Economic Outlook. E il Fondo Monetario internazionale analizza lo stato di salute e le prospettive delle principali economie del pianeta. La crescita mondiale del Prodotto interno lordo sia per il 2023 che per il 2024 è stimata in aumento del 3,1%. Gli Stati Uniti, dopo il +2,5% del 2023, faranno registrare un incremento del 2,1% nel 2024. Va meglio alla Cina che, seppure in calo rispetto agli ultimi anni record, registra un +5,2% nel 2023 e si fermerà attorno al 4,5% nel 2024. L’Europa langue, con una Germania, (ex) locomotiva del “vecchio continente”, negativa (-0,3%) nell’anno appena chiuso e con un +0,5% stimato per il Pil 2024. La Francia dal canto suo stenta ad arrivare all’1%, mentre l’Italia che nel 2023 ha chiuso a +0,7%, dovrebbe confermarsi a questo livello anche nel 2024.
Il primato dell’India. Ma al vertice chi c’è? Il World Economic Outlook non ha dubbi: l’India. Che ha chiuso il 2023 con una crescita del Pil del 6,7% nel 2023 e che dovrebbe muoversi sulla stessa lunghezza d’onda (+6,5%) anche nel 2024. Più che una sorpresa si tratta di una conferma se si pensa che il Paese ha un Prodotto interno lordo che cresce costantemente dal 2014 (mediamente del 7% all’anno) e che progressivamente ha superato i Pil di Russia, Brasile, Canada, Italia, Francia e Regno Unito, avvicinandosi così a quelli di Giappone e Germania. Non solo. Secondo Goldman Sachs Research, il Pil dell’India supererà quello dell’area Euro nell’arco di 25 anni (la stima parla del 2051) e quello degli Stati Uniti entro cinquanta. Certo i numeri sono conseguenze del fatto di aver ormai di fronte il primo Paese al mondo in termini di popolazione – è di inizio 2023 il superamento della Cina – con quasi 1,5 miliardi di abitanti su una superficie di oltre 3,2 milioni di km2 (nove volte e mezzo l’italia).
L’agricoltura, un settore strategico. Dunque, non appare esagerato definire il subcontinente indiano come Paese dei ‘nuovi’ record. Compresi quelli meno nobili delle disuguaglianze. Secondo Oxfam International, una piccolissima parte della popolazione indiana – appena l’1% – detiene circa il 40% della ricchezza del Paese e, se si allarga il dato al 5% della popolazione più abbiente, si arriva al 60%. Mentre, per converso, la metà della popolazione con i redditi più bassi detiene appena il 3% della ricchezza totale. In questo scenario, anche se siamo di fronte a tassi di urbanizzazione in sensibile aumento, l’agricoltura rimane un settore strategico. Un comparto che ancora oggi assorbe quasi il 60% della popolazione e produce attorno al 17% del Pil del Paese. La Banca Mondiale definisce l'India "una delle centrali agricole del mondo", che produce circa il 7,5% dele derrate agricole globali. Alcuni numeri possono far capire quanto questa possa incidere sugli equilibri delle principali materie prime mondiali, anche se il principale obiettivo del Paese rimane quello di migliorare la produzione per i consumi interni, che devono affrontare la già ricordata esplosione demografica e, soprattutto, far uscire il maggiore numero possibile di indiani dalla condizione di povertà assoluta. La stessa analisi Oxfam ha infatti evidenziato che fra il 60 e il 70% della popolazione ha a disposizione il corrispettivo di circa due dollari al giorno.
I numeri dell’agricoltura indiana. L’India è, di gran lunga, il maggior produttore mondiale di latte (quasi 200 milioni di tonnellate su un totale di circa 850 milioni; gli Stati Uniti – secondi – si fermano a circa la metà), di legumi (da sola occupa oltre un quarto delle superfici a questi destinate) e di spezie. Ma è anche il secondo produttore di riso (circa 150 milioni di tonnellate, dopo i 200 milioni della Cina), di grano (oltre 100 milioni di tonnellate, non lontano dai 140 milioni di tonnellate della Cina), di cotone (praticamente alla pari con i confinanti cinesi, con circa 6 milioni di tonnellate l’anno) e di canna da zucchero (poco sopra i 400 milioni di tonnellate, dietro gli oltre 700 milioni del Brasile). Ma anche di ortofrutta (oltre 200 milioni di tonnellate dopo i lontani 700 milioni della Cina) e, sul fronte zootecnico, di pesce d'allevamento, carne di montone e capra.
Con un valore aggiunto lordo agricolo valutato in circa 300 miliardi di dollari, l’India continua il proprio percorso di apertura al mercato mondiale, tanto che le esportazioni agricole, dopo aver toccato per la prima volta nel 2021 la soglia dei 40 miliardi di dollari, si stima possano avere superato i 60 miliardi alla fine dello scorso anno.
Il problema delle rese. Piuttosto, al di là dei numeri assoluti, l’economia agricola indiana deve affrontare il problema delle rese. Un esempio significativo riguarda il riso: gli ultimi dati disponibili indicano una produttività di poco superiore alle 3 t/ha. Senza spostarsi agli elevati valori statunitensi, pressoché tripli, la vicina Cina si colloca attorno alle 6 t/ha. Su questi valori, oggettivamente bassi, hanno inciso e continuerà a farlo il cambiamento climatico e, in particolare, l’incremento delle temperature con le ondate di caldo estremo che negli ultimi anni hanno picchiato duro. Un recente studio congiunto delle Università di Cambridge e Yale evidenzia che l’agricoltura è fra i sistemi socio-economici più esposti al climate change, che sta ostacolando e invertendo i progressi fatti dal Paese sul fronte dello sviluppo sostenibile. L’impatto negativo, secondo la ricerca, si manifesta sulla diffusione delle malattie e sulla resa dei cereali. Ma anche sull’essenza stessa dell’agricoltura. In sei anni, tra il 2015 e il 2021 si stima che l’India abbia perso 33 milioni di ettari di superficie coltivata a causa di inondazioni e piogge eccessive e ben 35 milioni di ettari per via della siccità. Fenomeno che pare destinato a intensificarsi. Da un lato i problemi infrastrutturali con una superficie media bassissima (2 ettari), la limitata produttività, i cambiamenti climatici. Dall’altro la necessità di aumentare le performance agricole e anche il progressivo, ancorché frenato e graduale, cambiamento e miglioramento della dieta alimentare tipico dei Paesi in via di sviluppo e in crescita economica. Come trovare allora un melting pot agricolo in grado di funzionare?
La geografia delle produzioni. Dopo la partenza rallentata della riforma agraria (tre atti nel nome della liberalizzazione, fortemente osteggiati almeno nella fase iniziale dagli agricoltori preoccupati dall’eliminazione del prezzo minimo garantito) le regioni più impegnate nel settore primario (Haryana, Uttar Pradesh, Chattisgarh, Punjab) hanno ripreso la loro lenta ma inesorabile corsa. Il caso del Punjab è significativo: “la terra dei cinque fiumi” è il granaio dell’India ed è considerata l’area più fertile al mondo dovuta alla combinazione tra le acque dei cinque fiumi (Satluj, Bias, Ravi, Chenab e Jhelum) e il clima steppico. Pur essendo uno degli Stati più piccoli dell’India da solo produce il 2% del frumento mondiale, l’1% del riso e il 2% del cotone. Atro caso da rimarcare è quello del Sikkim, Stato federato del Nord che è il primo luogo 100% bio. Una realtà quella del Sikkim che si inserisce in un piano specifico, l’Npop (Programma nazionale per la produzione biologica), che conta di convertire ad agricoltura biologica diverse centinaia di migliaia di ettari, in particolare nel Punjab e nell’area di Chandigarh. Si tratta dunque di contesti in forte evoluzione che necessitano di innovazione e di mezzi tecnici, meccanizzazione in primis. Sul fronte trattori il boom è ormai un dato consolidato con quasi un milione di macchine immatricolate nel 2023 (si veda l’articolo seguente), ma la domanda di meccanizzazione è elevata in ogni segmento. Consolidata dal fatto che anche recentemente il governo Modi ha annunciato incentivi per la modernizzazione delle macchine e dei sistemi agricoli. Tra questi, la creazione di hub per le attrezzature agricole ad alta tecnologia e la messa a disposizione degli agricoltori di assistenza finanziaria per l'acquisto di macchinari, al fine di stimolare la crescita del settore. Si tratta evidentemente di un’opportunità notevole per chi, come molti costruttori italiani, è in grado di fornire attrezzature d’avanguardia e soluzioni innovative. Il bisogno è evidente. Occorre intercettarlo nel miglior modo possibile.