Il progresso tecnico dei motori ad uso agricolo
Analogamente a quelli per il settore automotive, anche i motori endotermici per veicoli “off-road” (inclusi quelli montati sulle macchine agricole motrici) hanno un impatto sull’ambiente. L’adozione dei più recenti dispositivi antinquinamento consente una riduzione delle emissioni nocive, fino a oltre il 90%
è ormai noto come la moderna agricoltura non possa essere indipendente dalle macchine, al fine di poter garantire i livelli produttivi richiesti dal mercato. Con lo scopo di incrementare le produzioni, il numero e la dimensione delle macchine operanti nel settore agricolo è andato via via aumentando. Negli anni, l’incremento dei mezzi meccanici in agricoltura (così come in altri settori) equipaggiati con motori a combustione interna ha evidenziato il problema delle emissioni gassose inquinanti. Oltre a ridurre progressivamente le emissioni di inquinanti, la regolamentazione di questi motori voleva contribuire al rinnovo del parco macchine che, in un Paese come l’Italia, presenta un livello di obsolescenza molto elevato (l’età media dei trattori operanti in Italia è superiore ai 20 anni).
L’anno 1996 ha rappresentato il primo step di un cambiamento che a tutti gli effetti si può definire “epocale”, con l’introduzione dei primi step delle normative per la limitazione progressiva dei gas inquinanti prodotti da motori montati su veicoli off-road. Europa e Stati uniti si accordarono ed emanarono alcune normative, parallele e con gli stessi limiti, atte a ridurre la quantità di elementi inquinanti nei gas di scarico dei veicoli non automotive. Si è trattato di una vera e propria “road map” che, in step successivi scansionati nel tempo prevedevano delle drastiche riduzioni del potenziale delle emissioni. Le soglie stabilite, sempre più stringenti, spinsero i costruttori a forzare il progresso tecnico dei propulsori, per soddisfare i parametri imposti. Analogamente a quanto accaduto per il settore automotive, la normativa fu strutturata quindi con una serie di passaggi identificabili mediante numeri e lettere: per la normativa europea con il prefisso di “Stage”, mentre negli USA furono identificate come “Tier”, a cura dell’EPA (l’Enviromental Protection Agency).
A causa della lunga vita utile e degli elevati consumi orari, i trattori agricoli di grande potenza (che di solito lavorano con carichi piuttosto elevati) producono un’importante quantità di inquinanti. Per ridurre il rilascio in atmosfera di gas a effetto serra, sono stati messi a punto specifici dispositivi in grado di ridurre la produzione e/o di azzerare la dispersione dei composti dannosi. Quelli più frequentemente adottati sono l’EGR, l’SCR, il DPF (in italiano: FAP) e il DOC.
Exhaust Gas Recirculation (EGR)
L’EGR fu la soluzione più immediata messa in atto, e quindi storicamente la prima ad essere stata applicata ai motori agricoli. Consiste nella re-immissione di una piccola percentuale dei gas di scarico, pari a circa il 5-15% in volume, allo scopo di ridurre la temperatura di combustione e di conseguenza la produzione degli NOx. Negli anni la logica di funzionamento del dispositivo è stata migliorata, con la modulazione in tempo reale della quantità di gas da reimmettere in camera di combustione in funzione delle reali necessità, grazie ad una specifica valvola controllata elettronicamente, e al raffreddamento dei gas da parte di uno scambiatore di calore, al fine di incrementarne la densità e quindi ridurre la quantità necessaria. Peraltro, sebbene ottenga l’effetto voluto, tale soluzione ha come pesante effetto collaterale un incremento della produzione di HC e di PM, dovuti alla perdita di efficienza del motore e alla combustione incompleta del gasolio. In più, l’olio lubrificante è sottoposto ad un degrado più rapido.
Selective Catalytic Reduction (SCR)
Si tratta di una soluzione ampiamente adottata in Europa dai costruttori di motori diesel con lo scopo di ridurre le emissioni di NOx, senza però intervenire in camera di combustione, come fa l’EGR. In pratica, si tratta di un post trattamento dei gas di scarico ad altissima temperatura, sui quali viene nebulizzata all’interno di un ambiente confinato una soluzione di urea purissima 32,5% di concentrazione, nota commercialmente con il nome di AdBlue, che trasforma gli NOx in agenti inerti per l’ambiente, quali azoto atmosferico e acqua sotto forma di vapore. La nebulizzazione di AdBlue sui gas di scarico è regolata da un sensore collegato ad una centralina, che misura in tempo reale la concentrazione degli NOx nei fumi e definisce la quantità di AdBlue da far reagire. A parità di funzione, essendo un post-trattamento dei fumi di scarico l’SCR non comporta riduzioni di potenza e di efficienza del motore, ma comporta un consumo di AdBlue, con un determinato costo di esercizio e un incremento dell’ingombro a bordo del trattore, per poter alloggiare il gruppo SCR e il serbatoio di stoccaggio della soluzione. Quest’ultimo rappresenta un aspetto particolarmente critico, soprattutto per i modelli specializzati, che si caratterizzano per le dimensioni particolarmente contenute.
Diesel Particulate Filter (DPF)
Più noto con l’acronimo italiano FAP (Filtro Anti Particolato), consiste in un filtro di tipo fisico in materiale refrattario con una struttura a nido d’ape e maglie molto fitte per riuscire a trattenere le particelle di particolato (PM) di maggiori dimensioni. A causa della sua costituzione, il DPF genera una significativa contropressione all’espulsione dei fumi, riducendo (già a filtro libero) il rendimento del motore. Il problema risulta ancora più evidente quando le maglie del filtro cominciano ad occludersi. Proprio per questa ragione il filtro deve essere sottoposto ad una pulizia periodica, ottenuta tramite una “rigenerazione”, eseguibile manualmente o automaticamente, spesso attivata “on site” in modo attivo o passivo. Nel primo caso si tratta di un intervento periodico, la cui frequenza viene definita da una coppia di sensori collocati a monte e a valle del filtro e che ne misurano la differenza di pressione; quando questa raggiunge un livello eccessivo, viene eseguita la rigenerazione, che consiste in sostanza in un incremento temporaneo della mandata di gasolio, così da aumentare la temperatura dei fumi di scarico e provocare di conseguenza la gassificazione delle particelle che occludono il filtro. La rigenerazione passiva prevede invece il rivestimento della struttura del filtro con metalli nobili, che operano come catalizzatori favorendo la trasformazione delle particelle carboniose trattenute in molecole di CO2. Questi filtri sono collocati molto vicini all’uscita dei gas di scarico del motore, in modo da poterne sfruttare l’elevata temperatura (300-350°C) per lo svolgimento della reazione chimica, senza necessitare di supplementi di combustibile.
Diesel Oxidation Catalyst (DOC)
Spesso installato in aggiunta o in sostituzione del DPF, è un dispositivo che oltre a trasformare gli idrocarburi poliaromatici in CO2 e acqua (in presenza di ossigeno) è anche in grado di immobilizzare al suo interno il PM ed i residui di particolato organico non carbonioso. La struttura di questo filtro è composta da piastre in ceramica a nido d’ape, anche in questo caso rivestite con metalli nobili con funzione catalizzatrice. Si tratta di un dispositivo particolarmente efficiente nel trattenere anche il PM più fine, e inoltre è in grado di evitare la formazione di ozono, dannoso per la troposfera. Peraltro, parte della sua efficienza viene compromessa se lavora su gas di scarico provenienti da tipi di gasolio molto ricchi di zolfo.
Nuove frontiere con dispositivi abbinati
L’introduzione separata dei singoli dispositivi illustrati ha permesso nella gran parte dei casi di limitare con successo le emissioni inquinanti dei motori entro i limiti previsti fino allo Stage 4/Tier 4 final. Peraltro, a causa delle successive soglie sempre più stringenti, l’adozione di dispositivi individuali e separati non è più sufficiente a soddisfare i requisiti delle normative.
D’altra parte, la soluzione più efficace per ridurre le emissioni inquinanti in atmosfera è stata, ed è tuttora, un’attenta progettazione e/o messa a punto dei motori, investendo soprattutto sull’ottimizzazione della combustione. Un esempio “storico” eloquente in tal senso è stata l’introduzione dell’iniezione common-rail, che grazie al notevole incremento delle pressioni di lavoro fu in grado di generare un livello molto più spinto di nebulizzazione del combustibile, che in tal modo riuscì a miscelarsi in modo molto più efficiente con il comburente (l’ossigeno contenuto nell’aria), a tutto vantaggio di un aumento dell’efficienza del propulsore e di una cospicua riduzione delle emissioni.
Sono state messe a punto e poi adottate varie combinazioni di dispositivi antinquinamento, così da soddisfare i requisiti maggiormente stringenti delle normative, con l’importante obiettivo complementare di contenere l’ingombro globale, utile per gestire al meglio tale problematica in sottocofani sempre più “affollati”. Le combinazioni più frequentemente adottate al momento, per ridurre contestualmente l’emissione sia degli NOx che del PM sono: EGR+DOC, ERG+DPF, SCR+DPF.
Non sono però rari i casi in cui su un motore siano applicati contestualmente addirittura 3 o 4 dispositivi antinquinamento come ad esempio EGR+SCR+DPF, SCR+SCR+DPF (ovvero due dispositivi SCR consecutivi, seguiti da un DPF) o DOC+DPF+SCR+AOC (Ammonia Oxidation Catalysis).
I principali inquinanti dei motori diesel
I principali gas ad effetto serra generati dai motori a combustione interna sono il monossido di carbonio (CO), gli idrocarburi incombusti (HC), gli ossidi di azoto (NOx) ed il particolato (PM). I motori ad uso agricolo sono quasi esclusivamente alimentati a gasolio, gli inquinanti di maggior impatto sono gli NOx, a causa delle elevate temperature di combustione, e il PM, che si differenzia in base al diametro delle particelle carboniose generate dall’incompleta combustione del gasolio.