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Tecnica

Protezioni degli alberi cardanici: c'è ancora da fare

Colpi, tagli, graffi, manovre errate. Caldo, freddo, ghiaccio, acidi, radiazione solare. Tutti elementi che concorrono al (rapido) degrado degli elementi della protezione dell’albero cardanico. Per questo, lo sforzo dei produttori nel migliorare il prodotto e la diligenza degli utenti nella sua manutenzione devono rimanere al massimo livello

di Domenico Pessina
ottobre 2021 | Back

Il comparto agricolo si contende da sempre con quello edilizio il triste primato degli infortuni gravi e mortali sul lavoro. Anche nell’attualità nazionale questo tema è salito di recente più volte prepotentemente alla ribalta, ricevendo un consenso unanime circa la sua gravità e alla conseguente urgenza assoluta (ampiamente riconosciuta anche ai livelli più alti della governance nazionale) di attuare azioni efficaci e durature per contenere il fenomeno e migliorare la situazione.

Le statistiche rivelano che dopo il ribaltamento del trattore, i contatti accidentali con l’albero cardanico non adeguatamente protetto e segregato sono da sempre la seconda causa di infortunio grave e purtroppo mortale in agricoltura. I dati INAIL rivelano che solo lo 0,7% degli incidenti denunciati vedono coinvolto l’albero cardanico, ma purtroppo questi eventi comportano quasi sempre infortuni gravi e gravissimi (spesso con complete amputazioni di arti e/o menomazioni molto pesanti e conseguente inabilità permanente) e addirittura ad 8-12 incidenti all’anno di natura mortale.

Per limitare il rischio, tale dispositivo deve essere pertanto integralmente segregato, con una protezione che ne impedisca il contatto accidentale (soprattutto quando l’albero è in rotazione), e che solitamente è composta da diversi elementi (di base: cuffie e tubi) collegati tra loro e fissati all’albero cardanico con opportuni cuscinetti di strisciamento.

 

I limiti della protezione

Tutti i principali produttori prevedono tuttora protezioni in materiale plastico che, sia per la loro robustezza intrinseca (ovvero la resistenza meccanica a colpi, tagli, graffi, manovre errate del complesso trattore-operatrice, ecc.), sia per la durata nel tempo rivelano tuttora diverse criticità. Al netto di eventi imprevisti, le usuali escursioni termiche ambientali, la radiazione solare e alcune sostanze chimicamente aggressive comunemente presenti nell’azienda agricola (i concimi minerali, quelli organici, le deiezioni zootecniche, i prodotti fitosanitari, ecc.) provocano un degrado piuttosto rapido del materiale, tale da creare imbrunimenti, deformazioni, cricche, crepe, “sfarinamenti”, ecc.

 

Una situazione in miglioramento. Ma non basta…

Un’indagine svolta circa 25 anni fa nel Nord Italia su più di 600 alberi cardanici (e sulle relative protezioni), aveva evidenziato condizioni d’uso assai allarmanti. In quella occasione, il 22% delle protezioni era completamente mancante, l’85% delle cuffie era severamente danneggiato, così come il 50% dei tubi telescopici, mentre l’85% delle decalcomanie erano mancanti o illeggibili e il 90% delle catenelle di ritegno assenti.

Alla luce di tale situazione, a partire dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso, è stata progressivamente attuata dagli organi preposti istituzionalmente, ovvero di norma i Servizi di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro delle Agenzie di Tutela della Salute (le precedenti ASL), una capillare azione di controllo circa l’osservanza delle specifiche norme tecniche, accompagnata da assidue campagne di informazione e sensibilizzazione del problema. Contestualmente, l’entrata in vigore e l’applicazione sistematica dell’ormai arcinota legge 81/08 ha comportato un ulteriore impulso verso un probabile miglioramento della situazione.

Per provare ad aggiornare oggettivamente i dati in argomento, l’indagine già svolta nel 1996 è stata ripetuta di recente, su circa 300 alberi cardanici operanti nei medesimi areali.

I risultati mostrano un’evoluzione moderatamente positiva delle condizioni generali delle protezioni degli alberi cardanici, anche se perdurano numerose importanti criticità. I principali elementi della protezione sono stati in questa occasione classificati in 6 categorie ad idoneità decrescente, dalla completa integrità alla totale mancanza, considerando tra queste solo le prime due come positive (ovvero: “condizioni perfette” e “minimo danneggiamento”), valide quindi per assicurare un sufficiente livello di sicurezza operativa. In tale contesto, nemmeno la metà delle cuffie (47%) e dei tubi (45%) sono sicuri, mentre il 70% delle catenelle di ritenzione continua ad essere assente e quasi 3/4 (72%) delle decalcomanie di avvertimento risulta di fatto illeggibile, per svariati motivi.

Risulta pertanto quanto mai importante (e urgente) migliorare l’affidabilità e la durata delle protezioni, in particolare di alcuni componenti che nel tempo hanno evidenziato le maggiori criticità.

 

Cuffie amovibili

Per superare le note difficoltà di accoppiamento dell’albero cardanico con le prese del moto (ovvero i codoli terminali o maschi scanalati), alcuni costruttori hanno messo a punto soluzioni che prevedono la momentanea rimozione della cuffia (naturalmente ad albero fermo), potendo quindi agire senza costrizioni nella fase di collegamento. Ovviamente, la soluzione adottata si rivela tanto più efficace quanto più è semplice da eseguire, nonché affidabile e duratura nel tempo e adattabile (o modificabile) in funzione dei diversi tipi di albero cardanico: tradizionale, grandangolare, omocinetico semplice o doppio, ecc.

La nuova cuffia Premium Guard Cone di Walterscheid (che ha meritato una menzione come novità tecnica all’edizione di EIMA 2016) semplifica di molto quanto accennato, e al contempo rende meno gravose le normali operazioni di manutenzione (l’ingrassaggio) dei tubi telescopici e degli eventuali dispositivi di protezione dai sovraccarichi.

Oltre ad un miglioramento della qualità del materiale, grazie alla sua conformazione in due semigusci, la nuova cuffia può essere aperta, rimossa e ricollocata nella sede originale facilmente e velocemente. In funzione della conformazione delle estremità dell’albero cardanico, la Premium Guard Cone è predisposta in 3 lunghezze differenti: 180 mm (taglia “S”), 240 mm (“M”) e 300 mm (“L”).

 

Ingrassaggio centralizzato e razionalizzato

L’albero cardanico è un dispositivo meccanico, con diverse parti soggette ad attrito, che in questo caso deve essere logicamente minimizzato, per la massima efficienza di trasmissione della potenza. Pertanto, la lubrificazione effettuata con grasso riveste un’importanza fondamentale. Purtroppo, l’ingrassaggio delle parti interessate non è permanente, ma fino a qualche tempo fa era necessario intervenire in più punti del dispositivo e periodicamente con intervalli molto brevi, anche di sole 8 ore di lavoro. Tale operazione di manutenzione era di conseguenza spesso trascurata, se non del tutto ignorata, con diversi negativi risvolti, facilmente immaginabili.

I costruttori si sono quindi impegnati per migliorare la situazione, sia allungando significativamente gli intervalli di lubrificazione, sia più recentemente semplificando la distribuzione del grasso nei vari punti dell’albero cardanico (protezione compresa) bisognosi di lubrificazione.

Ormai, un intervallo di 50 ore tra un intervento e il successivo sono la norma, con alcune parti che arrivano a ben 250 ore. Addirittura alcuni componenti sono ora a tenuta stagna, e non richiedono alcun ulteriore ingrassaggio oltre a quello effettuato in fase di fabbricazione. Un’ulteriore significativa semplificazione riguarda la riduzione ad un unico punto di immissione del grasso, che è in grado di raggiungere agevolmente tutte le superfici soggette a lubrificazione, anche perché sono collocate tutte su un medesimo piano.

 

La catenella di ritenzione e i tubi a sezione conformata

La due catenelle di ritenzione che normalmente equipaggiano la protezione sono da sempre tra i componenti che evidenziano le maggiori criticità, sia per la loro debolezza intrinseca (soprattutto degli occhielli di fissaggio alle cuffie), sia per l’uso improprio a cui spesso sono adibite. La catenella si chiama di “ritenzione” perché, fissata (alla sua estremità opposta) ad una delle parti fisse del trattore o dell’attrezzatura collegata deve impedire la rotazione della protezione in caso di insufficiente lubrificazione dei punti di contatto con l’albero rotante. Invece, viene spesso erroneamente utilizzata per tenere in posizione sospesa di riposo l’intero dispositivo, con il risultato di un veloce degrado e successiva inevitabile rottura.

Lo “Spring Link” è un dispositivo, semplice ma efficace, introdotto da Bondioli e Pavesi, per proteggere dal danneggiamento le catenelle di ritenzione. Comprende un anello, apribile e richiudibile facilmente mediante una coppia di piastrine a wafer unite tramite una vite centrale, accoppiato ad un gancio a molla dimensionato per aprirsi ai carichi previsti dalle norme dedicate (UNI EN ISO 5674 ed ANSI/ASABE AD5674). Se la lunghezza della catenella dotata dello Spring Link non è stata regolata correttamente e la tensione diviene eccessiva (ad esempio anche durante alcune manovre “strette” del complesso trattore-operatrice), il gancio a molla si stira, staccandosi dall'anello di fissaggio e separando la catenella dalla protezione senza danneggiamento, potendo poi quest’ultima essere rifissata con un gancio nuovo di ricambio (ovviamente identico al precedente).

Un’importante evoluzione nella semplificazione della protezione è stata presentata di recente da Walterscheid, che ora commercializza il modello ST, i cui due semi-tubi hanno sezione sagomata come i tubi dell’albero cardanico. In tal modo, non si può più verificare la rotazione relativa tra i due elementi, così da poter fare a meno di una delle due catenelle di ritenzione. Addirittura, nella versione con cuffia integrale sul lato attrezzatura le catenelle possono essere assenti. La progettazione dei nuovi tubi ha tenuto attentamente conto della compatibilità con le precedenti serie già in commercio, in modo da rendere possibile un’immediata e agevole sostituzione, a tutto vantaggio del mantenimento di un elevato livello di sicurezza anche per alberi cardanici già in uso e bisognosi di una nuova protezione. Anche Bondioli e Pavesi ha affrontato il problema, e per limitare la possibilità che un aggancio non corretto della catenella ad un punto fisso del trattore possa danneggiare la protezione, ha introdotto la “Single Chain”, ovvero una particolare conformazione dei tubi telescopici della protezione che analogamente rende superflua l’installazione di una delle due catenelle di ritenzione. Nel dettaglio, il tubo interno è scanalato e vincolato in senso radiale a quello esterno mediante una fascia, posizionata a circa 100 mm dall'estremità dell’elemento esterno (per consentire un eventuale accorciamento dell'albero).

In tal modo, i due tubi della protezione sono liberi di scorrere assialmente durante le normali variazioni di lunghezza dell'albero, ma non di ruotare l’uno rispetto all'altro. Di conseguenza, per impedire la rotazione della protezione antinfortunistica è sufficiente una sola catenella, posta sull’estremità operatrice (da qui la denominazione “Single Chain”).


La rastrelliera

In un’azienda agricola anche minimamente strutturata sono presenti solitamente alcune decine di alberi cardanici; alcuni sono dedicati in esclusiva all’attrezzatura con cui sono stati venduti, altri invece operano come “jolly”, venendo montati all’occorrenza su operatrici che non prevedono un uso continuativo. In ogni caso, è comunque buona cosa prevedere un certo numero di esemplari di ricambio, in caso di malfunzionamento o rottura di quelli in uso.

Contrariamente a quanto talvolta purtroppo si verifica, ovvero di alberi cardanici appoggiati a terra alla rinfusa in un angolo di una rimessa, l’accurato stoccaggio e la corretta conservazione degli alberi cardanici deve prevedere l’uso di una rastrelliera di adeguata robustezza, da collocare in luogo riparato, dove i singoli esemplari possano essere adeguatamente posizionati, per un’immediata identificazione e un prelievo che non richieda inutili e dannosi sforzi fisici.

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