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Zambia, ricco di potenzialità ma povero di tecnologia

Un Paese fortemente sbilanciato sulla filiera estrattiva del rame ma con il settore primario che svolge un ruolo fondamentale per il sistema economico. Più della metà della forza lavoro dello Zambia è infatti impegnata in un comparto che produce il 5,3% del Pil e che ha grandi possibilità di crescita, nonostante un forte deficit di meccanizzazione

di Giovanni M. Losavio
aprile - maggio 2018 | Back

Nelle acque agitate della geopolitica africana, lo Zambia è un’oasi relativamente tranquilla. Indipendente dal 1964, quando l’allora colonia inglese si chiamava ancora Rhodesia Settentrionale (il nome Zambia arriva con l’addio al governo di “sua maestà”) il Paese dell’Africa centromeridionale ha sì conosciuto periodi di turbolenza politica, ma non certo paragonabili a quelli del confinante Congo, devastato da una lunga guerra civile; o della vicina Angola, dove il conflitto fratricida, figlio della Guerra Fredda, si è protratto per circa trent’anni. E se, come sottolinea un report del nostro Ministero degli Esteri, ci sono “alcuni segnali di involuzione e di inasprimento della dialettica politica, con un aumento della conflittualità tra governo e partiti dell’opposizione”, lo Zambia mostra comunque una certa “maturità e stabilità democratica”. Stabilità che manca tanto al Mozambico, anch’esso teatro di un intenso conflitto armato, quanto allo Zimbabwe, dove si è da poco archiviata l’era Mugabe, alla guida dello Stato per oltre 35 anni.

 

I forti contrasti di un territorio sospeso

tra povertà e sviluppo

Insomma, la principale emergenza che il Paese si trova ad affrontare sembra legata più che alla tenuta del quadro politico, alla sostanziale fragilità del sistema economico e sociale. Un dato su tutti: con un’estensione pari al doppio dell’Italia e con una popolazione di appena 16 milioni (un quarto di quella italiana) di persone, lo Zambia si colloca ai primi posti nel mondo per tasso di mortalità infantile e per incidenza dell’HIV sulla classe d’età 15-49 anni (il 14,3% secondo l’Unicef). Inoltre, a fronte di un Pil pro capite annuo di poco superiore ai 4 mila dollari (la stima del FMI si riferisce al 2017), più della metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Tuttavia, le rilevazioni relative al Pil pro capite si prestano anche ad un’altra lettura. Infatti, pur non essendo certo paragonabile a quello delle economie più robuste, esso risulta comunque uno dei più elevati per il continente africano, ben al di sopra – ad esempio – dei 1.200 dollari annui del Malawi o degli 800 della Repubblica Democratica del Congo. Che lo Zambia sia un territorio ricco di contrasti, sembrerebbe confermarlo pure l’Indice di Sviluppo Umano, l’indicatore dell’ONU pensato per misurare oltre a grandezze di natura prettamente economica, variabili quali – ad esempio – la speranza di vita e il tasso di alfabetizzazione. Stando al ranking delle Nazioni Unite, una sorta di graduatoria del welfare mondiale, il Paese dell’Africa centro-meridionale si colloca nelle zone basse della classifica (nel 2016 era 139° su 188), ma comunque davanti a molte altri Stati africani. Del resto, a partire dal 2000 Lusaka ha conosciuto una fase espansiva pressoché ininterrotta, con un tasso di crescita del Pil quasi sempre superiore al 4% annuo, mentre tra il 1991 e il 2012 il tasso di disoccupazione – secondo la Banca Mondiale – si è più che dimezzato passando dal 19% al 7,8%. Questo vigoroso percorso di crescita, tuttavia, non cancella le forti disuguaglianze di un sistema economico e sociale dove più della metà della popolazione vive con meno di due dollari al giorno.

 

L’economia dell’”oro rosso”

Molti degli squilibri dello Zambia possono essere ricondotti a un sistema produttivo dinamico ma comunque piuttosto fragile, fortemente sbilanciato sulle attività estrattive (nichel, manganese, carbone, cadmio, piombo) e, soprattutto, sulla filiera del rame, minerale di cui il Lusaka è tra i principali produttori mondiali (il secondo in Africa dopo la Repubblica Democratica del Congo). «La forte polarizzazione sul rame – scrive al riguardo l’intelligence americana – che rappresenta la quasi totalità dell’export, espone il Paese alle fluttuazioni del mercato delle materie prime». Fino al 2015 il prezzo del rame è stato sostenuto dalla domanda cinese e questo ha trainato l’economia locale, con un effetto volano su altri comparti. «Riflessi positivi – spiega la Farnesina – si sono avuti sulle costruzioni, protagoniste di una consistente crescita indotta dall’aumento della domanda di abitazioni residenziali e dai lavori civili di ammodernamento e dotazione infrastrutturale». Con la stagnazione della domanda cinese e, quindi, con il crollo delle quotazioni del rame, lo scenario è cambiato radicalmente. La corsa del Pil (comunque in territorio positivo) ha subito una brusca frenata ed è emersa con forza l’urgenza di diversificare le attività economiche. E tra le priorità d’intervento individuate dal governo per riaccendere i motori dello sviluppo, ci sono il settore delle infrastrutture e il comparto agricolo. Un comparto che sia pure con una quota di Pil pari al 5,3% (industria e servizi detengono, rispettivamente, il 35,6% e il 59%) rappresenta il principale bacino di occupazione per gli abitanti dello Zambia. Infatti, secondo uno studio realizzato da Nomisma per FederUnacoma, più della metà della forza lavoro è impegnata nel primario.

 

Un’agricoltura ricca di potenzialità,

ma povera di tecnologia

D’altro canto, il Paese ha, per le sue caratteristiche climatiche (malgrado periodi di siccità, c’è una buona disponibilità di risorse idriche) e geomorfologiche, una forte predisposizione per l’agricoltura. Che vede prevalere le coltivazioni di mais, arachidi, manioca, soia, cotone e tabacco, anche se il primato – come valore della produzione – spetta a carne, latte e uova. La vocazione agricola dello Zambia trova una conferma anche nel dato riferito alla Superficie Agricola Utilizzata, che, come riferisce Nomisma, tra il 2004 e il 2014 è aumentata di un milione di ettari (23,8 milioni il totale), così come è aumentato il valore della produzione agricola, attestatosi sempre nel 2014 sui 2,1 miliardi di dollari. «La posizione geografica dello Zambia – spiega al riguardo il nostro Ministero degli Affari Esteri – lo rende particolarmente adatto ad attività di esportazione». Tuttavia, osserva sempre la Farnesina, il comparto del processing così come quello della logistica hanno fame di investimenti. Tecnologie e macchinari, dunque, sono uno dei punti deboli di un settore che ha grandi possibilità di crescita e che può dare un fondamentale contributo allo sviluppo del Paese e, di conseguenza, all’emancipazione dalla povertà. Nel 2014, l’allora ministro dell’agricoltura, Wylbur Chisiya Simuusa, intervenendo in Sud Africa al forum intitolato “The European House-Ambrosetti” ebbe modo di segnalare proprio tale  aspetto, sottolineando come le terre del suo Paese fossero perfette per l’agricoltura, ma come la mancanza di investimenti impedisse al comparto di esprimere il suo pieno potenziale. «Lo Zambia – queste le parole del ministro citate dalla testata AgroNotizie – è un Paese in via di sviluppo e non abbiamo muscoli finanziari così forti, capitali e tecnologia come trattori e macchine agricole». Secondo uno studio realizzato nel 2012 dalla Banca Mondiale, il parco macchine conterebbe circa 6.000 trattrici (si tratta di stime), concentrate soprattutto nelle aziende agricole più estese. In quelle medio-piccole invece il tasso di meccanizzazione è ancora estremamente basso e il più delle volte prevalgono lavoro manuale e trazione animale. Il deficit di tecnologia è confermato anche dal già citato studio Nomisma. Stando al report dell’istituto di ricerca, nel 2013 l’intensità di meccanizzazione dello Zambia era pari a 215 mezzi ogni 100 mila ettari, considerando tanto le macchine agricole quanto le trattrici (a 2 e 4 ruote). Si tratta di uno dei valori più alti dell’Africa subsahariana (in Nigeria, ad esempio, è di 66 macchine ogni 100 mila ettari), che comunque risulta essere del tutto inadatto a garantire livelli di produttività soddisfacenti per l’agricoltura locale. «In Zambia – scrive al riguardo la Banca Mondiale – c’è una enorme domanda latente di trattrici, specialmente tra i piccoli proprietari agricoli». Il gap tra la domanda e l’offerta di tecnologie per il primario si spiega anche con un importante deficit produttivo del Paese, che non riesce a soddisfare la richiesta interna di mezzi meccanici. Lo Zambia deve quindi ricorrere alle importazioni  dall’estero (pari a circa 59 milioni di dollari nel 2016, contando trattrici e macchine agricole), soprattutto da Sud Africa, Cina, India e Usa, principali fornitori del Paese, con un interscambio fortemente polarizzato sui sistemi di protezione e irrigazione (26% del totale dell’import del Paese), sui mezzi di spostamento e trasporto, sulle soluzioni per gli allevamenti e sulle tecnologia per la lavorazione del terreno e la semina. Trascurabile, in questo quadro, il ruolo svolto dal­l’Italia sia come partner commerciale dello Zambia, sia – nello specifico – come fornitore di macchine agricole. Ma viste le potenzialità offerte dal settore, proprio le tecnologie per il primario potrebbero essere la leva attraverso cui rafforzare i legami tra i due Paesi. Molto dipenderà dalle iniziative e dalle scelte strategiche per rilanciare il sistema agricolo dello Zambia, e da quelle tese a rafforzare la cooperazione economica a livello governativo tra Roma e Lusaka.

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