Servizi ecosistemici per la lotta contro la cementificazione
Ci sono eventi catastrofici che si verificano inesorabili e senza alcun clamore; è così che in venti anni sono spariti sotto il cemento due milioni di ettari di superfici agricole italiane. Il recente Rapporto dell'ISPRA quantifica tra danni ambientali ed economici il prezzo sociale di questo allarmante fenomeno. L'agricoltura va protetta per le innumerevoli esternalità positive che determina e la politica ha il dovere di operare in fretta e bene in tal senso
L’Ispra, Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, continua nella sua attività di monitoraggio della cementificazione del nostro Paese. Dal recente Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” emerge, tra gli altri, il dato impressionante per cui in Italia – nel biennio 2014/2015 – al passare di ogni secondo sono spariti quattro metri quadrati di suolo sotto una colata di cemento. Questo significa che ogni giorno si perdono inesorabilmente circa 35 ettari di terreno (pari a 35 campi di calcio); una vera e propria calamità non naturale che solo negli ultimi due anni ha silenziosamente compromesso 250 chilometri quadrati di superfici naturali del nostro territorio. Si fa presente che il periodo menzionato non è stato nemmeno il peggiore, considerando che la crisi ne ha sensibilmente rallentato il ritmo. Infatti, se allarghiamo l’orizzonte temporale agli ultimi vent’anni, la situazione peggiora notevolmente evidenziando l’aggressione dell’edilizia su oltre 2 milioni di ettari di superfici un tempo coltivate, pari al 16% delle nostre campagne, con un ritmo di 55 ettari al giorno (per ogni cittadino si “erodono” 350 metri quadrati di aree agricole all’anno). In tale dinamica viene coinvolto anche il settore della meccanizzazione che, da una lato – con le macchine movimento terra – si lega all’andamento delle costruzioni edili, mentre dall’altro risente del calo di aree rurali per la vendita delle macchine agricole. Nell’auspicata eventualità di un sensibile contenimento delle nuove opere edili, il ventaglio di macchine che operano nel movimento terra potrebbero (come già avviene) trovare un vasto impiego, sia per interventi di riqualificazione di immobili industriali e residenziali già esistenti in linea anche con misure di efficientamento energetico, sia per opere di bonifica e sistemazione del territorio a fini ambientali e agricoli. Il settore della meccanizzazione è dunque tecnicamente pronto a seguire gli indirizzi strategici più responsabili per uno sviluppo sostenibile. Questo oggi è assolutamente necessario visto che, oltre alle aree direttamente colpite, l’impatto ambientale generato riguarda anche quelle vicine coinvolgendo ormai oltre la metà del territorio nazionale, provocando così la perdita dei preziosi servizi ecosistemici che il suolo ci fornisce gratuitamente. Per inquadrare meglio il concetto, possiamo rifarci alla più recente classificazione CICES (Common International Classification of Ecosystem Services), che suddivide i servizi ecosistemici in: servizi di approvvigionamento (provisiong services) – si possono riassumere in beni e materie prime quali acqua, fibre, materiali genetici, la stessa produzione di cibo e combustibili come il legname; servizi di regolazione e mantenimento (regulating services and maintenance) – regolano processi fisici, biologici ed ecologici quali ad esempio il clima, il sequestro di carbonio, la qualità di acque e aria, arrivando a mitigare rischi naturali come l’erosione, i dissesti idrogeologici o il cambiamento climatico; servizi culturali (cultural services) – sono meno tangibili rispetto a quelli descritti in precedenza, includono benefici non materiali come l’arricchimento spirituale, intellettuale, i valori ricreativi ed estetici.
Stando alle stime riguardanti i “costi occulti” – ossia quelli non percepiti nell’immediato e dunque difficilmente calcolabili – ogni ettaro di terreno consumato presenterebbe un conto per la collettività che può arrivare a 55 mila euro. Ovviamente tali valori sono strettamente legati al tipo di suolo e alla sua relativa utilità per l’ecosistema, tuttavia delle stime ritenute ampiamente prudenziali effettuate su scala nazionale sono emersi i seguenti valori di riferimento: produzione agricola (400 milioni), stoccaggio di carbonio (circa 150 milioni), mancata protezione dell’erosione (oltre 120 milioni), danni provocati per la mancata infiltrazione dell’acqua (quasi 100 milioni), assenza di insetti impollinatori (3 milioni).
Dalla tabella che segue appare chiaro, e le associazioni dei coltivatori lo hanno più volte evidenziato, che tale fenomeno oltre a limitare di molto la capacità di soddisfare il fabbisogno alimentare nazionale, determina gravi squilibri ambientali che influiscono negativamente su clima, acque, stabilità dei versanti, biodiversità, ecc.. A tal proposito il presidente nazionale della Cia Dino Scanavino ha ricordato che «Il consumo di suolo coltivato rischia di riflettersi sulle cifre dell’approvvigionamento alimentare in Italia, dove a oggi si arriva a coprire il fabbisogno di cibo di tre cittadini su quattro si deve, dunque, ricorrere alle importazioni per coprire questo deficit produttivo». Inoltre la Coldiretti invita a riflettere sul fatto che i Comuni italiani oggi a rischio di frane e alluvioni arrivati ad essere 7.145 (l’88,3% del totale) e che le regioni con il 100% dei comuni a rischio idrogeologico sono Valle d’Aosta, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Molise e Basilicata.
Le regioni meno virtuose, con più del 10% di territorio consumato nel 2015, sono Lombardia, Veneto e Campania. Seguono Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Puglia, Piemonte, Toscana e Marche che si attestano su valori compresi tra il 7 e il 10%. In senso positivo si distingue solo la Valle d’Aosta, che comunque ha consumato il 3% del suo territorio. Il fenomeno, curiosamente, riguarda sia i grandi centri abitati, che hanno visto aumentare la popolazione, che i piccoli paesi dove la popolazione non cresce.
In un momento storico in cui l’allarme sui cambiamenti climatici è giunto ai massimi livelli, mettendo d’accordo tutti i paesi del mondo sulla necessità di attivare politiche di drastico contenimento, un altro elemento preoccupante del Rapporto risiede nella corrispondenza rilevata tra cementificazione e aumento delle temperature. Risulta, infatti, che nella media annuale delle città studiate ad un aumento di 20 ettari per km2 di suolo consumato sia associato un aumento di 0,6 °C della temperatura superficiale. Inoltre, spiega il rapporto, gli impatti negativi della sottrazione di suolo si producono non solo nelle aree direttamente coinvolte ma fino a 100 metri di distanza.
Anche questo aspetto determina dei costi notevoli che risultano particolarmente elevati a Milano (45 milioni), Roma (39 milioni) e Venezia (27 milioni).
Sulla base delle dettagliate analisi contenute nel Rapporto dell’Ispra appare necessario e urgente assicurare un reale e consistente contenimento del consumo di suolo, fornendo ai Comuni indicazioni chiare e strumenti utili per rivedere anche le previsioni di nuove edificazioni presenti all’interno dei piani urbanistici e territoriali già approvati. Il ddl sul consumo del suolo in via di approvazione al Senato, sarà un’occasione fondamentale per cercare una coerenza con questi obiettivi, promuovendo l’edilizia di qualità, l’efficienza nei consumi energetici e nell’uso delle risorse ambientali (incluso il suolo), favorendo la necessaria riqualificazione e rigenerazione urbana, oltre al riuso delle aree contaminate o dismesse, evitando così la cementificazione di superfici non ancora edificate.
Da questo punto di vista sarebbe un gran risultato se si riuscisse a definire una strategia efficace per contrastare il fenomeno immaginando addirittura un’inversione di tendenza con cui favorire l’ingresso degli agroecosistemi nel tessuto urbano realizzando e curando fasce tampone, parchi, orti, giardini verticali, interventi di ingegneria naturalistica, ecc.
Queste ed altre iniziative oltre a riattivare i servizi ecosistemici in ambito cittadino rafforzerebbero il concetto di una moderna agricoltura aperta alla multifunzionalità, che – con il supporto di macchinari efficienti ed innovativi – può esprimersi egregiamente dalle periferie ai centri storici delle nostre meravigliose e sottovalutate città.