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Produzioni agricole: la mappatura di precisione

Le tecnologie elettroniche, informatiche e satellitari consentono di valutare i risultati produttivi di ogni piccola parcella di terreno, e quindi di realizzare la suddivisione del terreno stesso in sub-aree che abbiano caratteristiche omogenee e che possano quindi essere trattate e gestite in modo differenziato. Studi scientifici ed esperienze maturate soprattutto negli Stati Uniti hanno reso particolarmente

di Giampaolo Di Biase e Marco Grigatti
maggio - giugno 2017 | Back

L’agricoltura di precisione è una tematica di sempre maggiore attualità per via dei vantaggi produttivi e quindi economici che può portare, accanto ad indubbi benefici di natura ambientale derivanti da un più razionale impiego dei mezzi tecnici (fertilizzanti, fitofarmaci, irrigazione). L’attuazione dell’agricoltura di precisione prevede notevoli investimenti all’interno delle aziende che però possono anche essere coadiuvate dall’offerta professionale derivante dal contoterzismo. Questo sicuramente è il caso della mappatura delle produzioni, infatti per effettuare la raccolta le aziende si avvalgono spesso di macchine esterne al proprio parco mezzi.

L’obiettivo principale delle mappe di produzione è di conoscere l’eterogeneità produttiva di un appezzamento al fine di: valutare la convenienza economica dell’eventuale suddivisone in sub-aree con produzione omogenea da gestire con le tecniche di lavorazione differenziata (VRT - Variable Rate Technology); calcolare le asportazioni di nutrienti nelle sub-aree, elaborare mappe di prescrizione e quindi procedere a una fertilizzazione mirata per le singole sub-aree; valutare se tecniche VRT applicate in precedenza hanno uniformato la produzione delle sub-aree.

Di seguito verrà esposto un breve stato dell’arte delle principali tecnologie usate allo scopo di mappare la produzioni al momento della raccolta.

 

Monitoraggio della produzione nei cerali

Tra i sistemi per la mappatura della produzioni agricole quelli più consolidati sia in termini di affidabilità che per diffusione sono senza dubbio quelli dedicati ai cereali. I primi impieghi di questi metodi risalgono agli anni 80, negli Stati Uniti dove oggi risulta essere una pratica ampiamente diffusa. Nel 2015, infatti, oltre il 60% degli agricoltori statunitensi si è avvalso di dati relativi alla mappatura della produzioni (Erickson e Widmar, 2015). Al fine di monitorare le produzioni, più strumenti lavorano contemporaneamente, e questi vengono integrati da un computer che grazie a specifici algoritmi restituisce la produzione (t ha-1) georeferenziata.

Entrando più nello specifico, per produrre il dato finale diversi sensori operano congiuntamente, questi con tempo di campionamento settabile (comunque nell’ordine del decimo di secondo), misurano i singoli parametri: la quantità e/o la qualità del prodotto raccolto, la larghezza di lavoro reale della barra di raccolta. Quest’ultima moltiplicata per la velocità e relazionata al tempo di campionamento fornirà l’area alla quale sono riferiti i dati di produzione, questo dato infine viene accoppiato alle coordinate geografiche fornite dal sensore di localizzazione (GNSS).

Come è facile immaginare tante sono le soluzioni tecniche (basate su diversi principi fisici), che si sono succedute nel corso degli ultimi decenni nella costruzione dei vari sensori. I sensori atti alla misura quantitativa della produzione sono definiti sensori di flusso. Quelli che vengono principalmente utilizzati oggi sono quelli volumetrici e quelli ad impatto. Questi sono posizionati alla fine dell’elevatore che trasporta le granaglie dentro il serbatoio, in uscita dall’apparato di pulizia. Questo tipo di sensori ha sostituito le versioni precedenti che risultavano meno precise e in alcuni casi pericolose (vedi sensori radiometrici a raggi gamma).

I sensori volumetrici sfruttano la misurazione del volume di prodotto trasportato dalle singole tazze dell’elevatore, al fine di aumentare la precisione sono abbinati a un sensore ottico (che calcola il livello di riempimento della singola tazza). Per arrivare al dato finale questa tipologia di sensori necessita anche di un sensore di densità che ad intervalli regolari effettua una misura per confronto con un volume a densità nota. Al contrario i sensori ad impatto si basano sull’impiego di un potenziometro che traduce l’energia cinetica della granella che impatta il sensore in un segnale elettrico.

Generalmente a tutti i sensori di flusso (volumetrici e ad impatto) è abbinato un sensore per l’umidità che consente di calcolare il peso secco della granella. Al fine di valutare l’altezza della barra di taglio, interrompere la raccolta dei dati durante le operazioni di manovra e misurare, come anticipato, la larghezza effettiva di raccolta, altri sensori (generalmente ad ultrasuoni) sono posizionati sulla barra.

Il sistema, elaborando i dati dei sensori appena descritti, restituisce una datgeoreferenziata (Fig. 1). In questo ambito la sperimentazione attualmente è concentrata su sistemi che possano fornire anche analisi qualitative, ad esempio utilizzando sensori NIR (Near InfraRed Spectroscopy) che dopo opportune tarature restituiscono un dato in real-time di: umidità, proteine e grassi delle cariossidi.

 

Errori della misura in campo

Non bisogna dimenticare che, nonostante la tecnologia molto raffinata utilizzata, il dato finale è sempre soggetto ad errore, e questo è la somma di tutti gli errori derivanti dai molteplici passaggi che difficilmente si riescono ad azzerare. Vi sono gli errori sistematici dei tanti sensori impiegati, e quelli derivanti dalla pendenza dell’appezzamento, dalle perdite di raccolto dei vari organi della macchina, dalla forte disomogeneità dell’appezzamento e quindi di flusso come nel caso di allettamento. Generalmente l’errore sul dato finale oscilla tra il 5 e il 10%.

 

L’importanza del monitoraggio continuo

Come già detto, la mappatura del raccolto tramite mietitrebbie attrezzate è stata implementata da decenni. Questo approccio però non è sufficiente a descrivere la variabilità della produzione di un determinato appezzamento essendo limitato ad una sola tipologia di coltura. Nel caso di appezzamenti soggetti a rotazione si presenta la necessità di mappare la produzione anche delle colture successive come ad esempio le foraggere, i tuberi o le orticole. Le soluzioni tecnologiche adatte a questo scopo sono ad oggi decisamente meno sviluppate e quindi meno diffuse.

Ad ogni modo, nelle imballatrici e nei rimorchi caricatori utilizzati per le foraggere si possono avere sensori che misurano la massa del prodotto. Questo dato può essere accoppiato solo all’area di raccolta necessaria al riempimento delle macchine (imballatrice o carro), con un errore quindi abbastanza alto. In alternativa si possono utilizzare sensori inseriti direttamente sulla falcia-condizionatrice (oppure sulla trincia-caricatrice) che generalmente restituiscono un dato di maggior precisione.

Nel caso della patata, del pomodoro o della barbabietola, si sfruttano generalmente delle celle di carico posizionate sotto i nastri trasportatori, sempre presenti nelle macchine per la raccolta di queste colture. La stessa tecnologia viene spesso utilizzata a bordo delle vendemmiatrici meccaniche (Fig. 2), che oltre al dato quantitativo, se accessoriate con relativi sensori ottici, sono in grado di restituire anche una mappatura delle principali caratteristiche qualitative dell’uva (il grado zuccherino, l’acidità e il contenuto in polifenoli). Gli ultimi sensori citati sono alla base delle vendemmiatrici a raccolta selettiva, macchine in grado di suddividere automaticamente il raccolto in diverse cisterne in base a determinate caratteristiche qualitative preimpostate, cosi da poter conferire in cantina partite di prodotto separate per valore qualitativo ed economico.

 

Più strumenti per un unico fine

Come anticipato in apertura, la mappatura della produzione può essere un utile strumento per effettuare valutazioni sull’efficienza delle tecniche colturali adottate e su come correggerle nelle successive annate. Nel primo caso le mappe possono essere utilizzate al fine di valutare se pratiche di agricoltura di precisione e VRT effettuate prima della raccolta abbiano migliorato l’omogeneità del raccolto, e quindi portato ad un aumento della resa areica (Fig. 3). Nel secondo caso possono invece servire proprio come base per valutare la necessità e pianificare interventi specifici (lavorazioni, correzioni, fertilizzazioni) alle sub-aree che presentano una produttività diversa.

Va però sottolineato che le mappe di produzione, da sole, non sono sufficienti per predisporre interventi con tecniche di agricoltura di precisone; le mappe succitate fanno sicuramente parte di un pacchetto di strumenti che possono portare ad una gestione differenziale dei singoli appezzamenti, ad un risparmio in termini di energie, input e quindi ad un risparmio economico e, omogeneizzando i raccolti, arrivare ad una produzione maggiore.

Risulta senza dubbio importante effettuare delle analisi chimico-fisiche dei suoli al fine di motivare la variabilità della produzione ottenuta e soprattutto impostare interventi finalizzati a correggere eventuali carenze e/o anomalie che si riflettono sulle produzioni.

In questo ambito risultano utili le immagini satellitari multispettrali che permettono di valutare in tempo reale o quasi alcuni indici di vegetazione capaci di discriminare zone a maggior o minor vigore vegetativo. Il più diffuso dei quali è senza dubbio l’NDVI (Normalized Difference Vegetation Index – Fig. 4).

Da questo indice ad esempio è possibile evidenziare carenze nutrizionali oppure il grado di maturazione all’interno di un vigneto, stessa tecnologia viene utilizzata a bordo dei droni dedicati all’osservazione delle colture agrarie che per ovvie ragioni restituiranno dati a maggior risoluzione spaziale a fronte però di costi maggiori.

Questa tecnica permette anche di analizzare dati relativi ad annate precedenti, vista l’enorme mole di informazioni presenti nelle banche dati, con la possibilità di valutare e localizzare l’esistenza di problemi in un determinato appezzamento e creare velocemente uno “storico” dello stesso.

A conclusione va ribadito che l’approccio all’agricoltura di precisione deve prevedere l’utilizzo di un pacchetto di strumenti che però prevedono un costo per l’azienda. Questi strumenti sono disponibili a costi abbastanza contenuti rispetto al passato, vanno però scelti con professionalità in base agli obiettivi che l’azienda si pone dopo un’attenta analisi economica (costi/benefici).

Limitare l’approccio alla mappatura del raccolto senza effettuare uno studio del suolo e senza l’ausilio delle tecniche di telerilevamento che utilizzate insieme permettono la predisposizione di un piano di fertilizzazione ad-hoc, riduce i vantaggi ottenibili in azienda.


BIBLIOGRAFIA

Erickson, B., & Widmar, D. A. (2015). Precision agricultural services dealership survey results. Sponsored By CropLife Magazine And The Center For Food And Agricultural Business. Purdue University. Casa, R. (2017). Agricoltura di Precisione. Metodi e tecnologie per migliorare l’efficienza e la sostenibilità dei sistemi colturali. Edagricole.

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