Motori a idrogeno, una sfida tecnologica
Nel processo di transizione ecologica, l’idrogeno è una promettente opzione, in linea di principio altamente sostenibile, anche per l’ambito agricolo. Permangono tuttavia alcune criticità sull’efficienza energetica di produzione e di sfruttamento, nonché di sicurezza nella sua gestione
Nell'ambito automotive, da qualche tempo l’Unione Europea sta spingendo molto sulla sostituzione dei combustibili fossili con altre fonti energetiche di tipo rinnovabile. D’altra parte, l’elettrificazione sta avanzando a grandi passi, anche se con qualche criticità, come la non ottimale densità energetica delle batterie, necessaria per garantire una soddisfacente autonomia operativa dei mezzi, e una rete infrastrutturale di stazioni di ricarica numericamente ancora troppo carente. Tra le varie tecnologie al momento praticabili, lo sfruttamento dell’idrogeno apre spiragli interessanti, anche per le opzioni disponibili per la sua produzione (v. box).
Lo sfruttamento dell’idrogeno. Con opportune modifiche, tecnicamente l'idrogeno può far funzionare un veicolo equipaggiato con un motore endotermico originariamente nato per essere alimentato a gasolio o a benzina. L’opzione alternativa vede l’impiego di uno o più motori elettrici, dove un insieme di celle a combustibile si avvalgono dell’idrogeno per produrre energia elettrica. Il principale vantaggio dell’idrogeno come vettore energetico è che se impiegato in una cella a combustibile o in un motore endotermico, in termini di emissioni produce di massima soltanto vapore acqueo, senza alcun rilascio di CO2 in atmosfera. Peraltro, va però precisato che la combustione di idrogeno nei motori endotermici comporta un rendimento modesto, e bisogna tener conto che le emissioni in atmosfera non riguardano solo vapore acqueo, ma anche una certa quota di ossidi di azoto (NOX), dovuta ad una piccola parte dei vapori dell’olio di lubrificazione, che non viene intercettato dal sistema di recupero e che quindi si disperde in atmosfera. Per la realizzazione di un reale un futuro green con l’idrogeno, occorre comunque considerare che l’alimentazione di un trattore agricolo (o di qualunque altro veicolo) con questo gas presenta notevoli difficoltà, a causa della necessità di aumentarne considerevolmente la densità, risultato ottenibile o incrementando la pressione di stoccaggio e/o diminuendo la temperatura.
Il bilancio energetico. I numerosi passaggi necessari per produrre, e poi sfruttare, l’idrogeno comportano un’efficienza globale piuttosto bassa. L’elettrolisi dell’acqua, una delle opzioni green maggiormente considerate (v. box), ha già di per sé un rendimento del 60%, e il successivo utilizzo nelle fuel cell è caratterizzato da un valore analogo. Il bilancio delle due trasformazioni fa scendere il risultato al 36%, e bisogna ancora tenere conto del rendimento del motore elettrico per generare energia meccanica che, pur denotando un ottimo 90%, porta il risultato finale ad un insoddisfacente 32% circa. Ovvero, ben due terzi dell’energia elettrica inizialmente prodotta non sono disponibili a fini utili. Non è un caso che anche nell’ambito automotive, notoriamente caratterizzato da volumi di vendita e da investimenti enormemente superiori rispetto a quelli tipici del comparto trattoristico, gli esempi di veicoli alimentati a idrogeno sono ancora pochi.
Il punto sui trattori. Già diversi costruttori leader del mercato trattoristico hanno presentato dei modelli, per lo più in versione prototipale, alimentati a idrogeno, sia con motore elettrico alimentato da fuel cell, sia con propulsore endotermico modificato. Nel primo caso, probabilmente l’esempio più sotto i riflettori al momento è l’Helios di Fendt, che nell’ambito del progetto H2AgrarProject ha realizzato due prototipi sperimentali. La macchina è equipaggiata con 5 serbatoi di idrogeno collocati sul tetto del trattore, per una capacità globale di 21 kg di gas, immagazzinato a 700 bar circa. Il tutto alimenta una fuel-cell da 100 kW in grado di generare energia elettrica destinata ad azionare un motore da 100 kW massimi. Integra il sistema una batteria da 25 kWh, per accumulare l'energia eventualmente generata in eccesso dalla fuel-cell, in modo da sopperire ad eventuali picchi di carico.
Viceversa, l’H2-Dual Power di New Holland è basato su un T5.140 AutoCommand, mosso da un propulsore FPT Nef Stage 5 da 4500 cm³ di cilindrata, progettato per funzionare anche a idrogeno in miscela fino al 65% con il comune gasolio. Seppur non eliminando l’impiego dei comuni idrocarburi liquidi, questa soluzione permette di contenere tra il 45 e il 65% le emissioni di CO2, riducendo lievemente anche quelle di NOx. Di fatto, si riproduce la medesima soluzione già da tempo adottata con l’alimentazione mista gasolio+metano nell’ambito automotive, sia su veicoli commerciali che su automobili. In questo caso, l’idrogeno è stoccato a 350 bar in 5 contenitori da 11,5 kg di capacità ognuno, parimenti collocati sopra la cabina.
Innovazione avanzata. La ricerca di fonti energetiche rinnovabili e sostenibili per il funzionamento va logicamente di pari passo con l’evoluzione verso la robotizzazione dei trattori agricoli.
A tale proposito, oltre a diversi progetti ancora in fase prettamente sperimentale, si segnala il prototipo cinese ET504-H, un veicolo a trazione elettrica con celle a combustibile alimentate a idrogeno presentato 4 anni fa a Luoyang, in Cina. è un trattore robot autonomo senza posto di guida, che può funzionare sia in guida autonoma che con controllo da remoto. è equipaggiato con un motore centrale per la trazione e di motori ausiliari per il sollevatore e lo sterzo. L’azionamento elettrico può sviluppare fino a 50 Cv, e il veicolo può viaggiare sino a 30 km/h.
In Europa, la Exxact robotics ha recentemente presentato il Traxx Concept H2, un trattore robot scavallante da vigneto anch’esso alimentato a idrogeno, equipaggiato con una cella a combustibile abbinata a un piccolo battery pack, per una potenza complessiva di 35 kW. L’idrogeno è immagazzinato in due serbatoi pressurizzati per una capacità complessiva di 9 kg che, secondo il costruttore, permetterebbe al robot di lavorare per un’intera giornata senza la necessità di rifornimento. L’adozione dell’idrogeno permette di evitare l’impiego di un ponderoso pacco batterie (necessarie per il funzionamento esclusivamente elettrico) diminuendo in tal modo del 25% il peso della macchina, e quindi limitando il compattamento del terreno, un problema sempre molto sentito nel vigneto.
I colori dell’idrogeno
In relazione alla fonte energetica di partenza e sulla base dei processi adottati per la sua produzione, è invalso l’uso di classificare l’idrogeno con determinati colori, con assegnazioni che possono variare. In generale, però, si considera:
idrogeno grigio: viene estratto da combustibili fossili, in particolare metano, tramite “steam reforming”, che però genera grandi quantità di CO2, di norma rilasciata in atmosfera. Ad oggi, si stima che dal 95 al 99% dell’idrogeno sia ottenuto in tal modo. Secondo il Forum economico mondiale, a livello globale negli ultimi anni circa il 6% del gas naturale e il 2% del carbone sono stati destinati alla produzione di idrogeno. Le risultanti emissioni di CO2 ammontano a ben 830 milioni di t/anno circa; idrogeno blu: viene prodotto con le medesime modalità di quello grigio, ma la CO2 risultante viene catturata e immagazzinata, però con un dispendio energetico nettamente superiore, abbassando quindi notevolmente l’efficienza del processo; idrogeno verde: si ricava dall’acqua tramite elettrolisi, avendo cura di avvalersi di elettricità proveniente da fonti rinnovabili (es. energia solare, eolica, ecc.). La reazione avviene in celle elettrolitiche, in cui due elettrodi (l’anodo e il catodo) scompongono la molecola dell’acqua, liberando idrogeno e ossigeno, con un rendimento di circa il 60%. Si tratta di un valore decisamente inferiore rispetto a quello che si otterrebbe stoccando la medesima energia elettrica impiegata nelle comuni batterie al litio o al piombo, che raggiungono un rendimento superiore al 90%. L’idrogeno verde ha il vantaggio di essere totalmente “pulito”, ma a livello mondiale rappresenta attualmente meno dell’1% della produzione; idrogeno viola: si ottiene sempre tramite elettrolisi, ma usando l’energia prodotta da centrali nucleari, anch’esse caratterizzate da emissioni pressoché nulle di CO2.
Per il comparto agricolo va considerata anche un’ulteriore opzione molto interessante, ovvero l’idrogeno ottenuto dalla gassificazione delle biomasse, che tipicamente contengono all’incirca il 50% carbonio, il 6% idrogeno e il 41% ossigeno. Si tratta però di un processo complesso, con un bilancio energetico di produzione piuttosto basso. Se nel prossimo futuro fosse possibile ottenere significativi miglioramenti di processo, si aprirebbe per il comparto agricolo un mercato assai promettente.
Il dettaglio sulle alternative di sfruttamento dell’idrogeno
Cella a combustibile. Analogamente alla ben conosciuta “pila”, la cella a combustibile è costituita da polo positivo e uno negativo, e permette di "isolare" l'elettrone contenuto in un atomo di idrogeno, generando quindi lo ione positivo H+, che si combina con l'ossigeno, producendo acqua. L'elettrone alimenta direttamente il motore elettrico, oppure viene accumulato in una batteria tampone, per poter essere utilizzato successivamente.
La fuel cell è quindi collegata ad un motore elettrico di trazione, che però non si avvale sempre di tutta l'energia prodotta; quella in eccesso può essere stoccata in un pacco batterie che, a parità di prestazioni del veicolo, può avere una capacità inferiore rispetto a quello di un'auto full-electric, in quanto funge da “serbatoio di energia” nelle condizioni di guida meno impegnative, per poi erogarla quando sono richieste alte prestazioni.
Motore endotermico modificato. L'architettura di questo propulsore è tradizionale, prevedendo la presenza di cilindri, pistoni, valvole, iniettori, ecc.; si tratta indubbiamente di una semplificazione della base di partenza, perché si tratta di adattare componenti che in definitiva si sono evoluti da più di un secolo, anche se non va dimenticato che per sua natura il motore endotermico è meno efficiente di quello elettrico. Le reazioni di combustione dell'idrogeno in un motore endotermico avvengono a elevate temperature, ed emettono comunque ossidi di azoto e CO2, seppur in quantità decisamente inferiore rispetto a quella emessa dai motori alimentati a benzina e gasolio, perché derivano dalla porzione incombusta degli idrocarburi contenuti nei vapori dell'olio lubrificante.
La sicurezza nella gestione dell’idrogeno
Una delle questioni più delicate in tema riguarda senz’altro le bombole di stoccaggio, perché in esse il gas è compresso a centinaia di bar di pressione. A tale riguardo, la norma UNR134 contiene “Disposizioni uniformi per l'omologazione dei veicoli a motore e delle loro componenti per quanto riguarda le prestazioni in materia di sicurezza dei veicoli a idrogeno”, dove sono definite alcune loro caratteristiche tecniche, che comportano un adeguato margine di sicurezza in relazione a fenomeni di progressiva degradazione, che può provocarne la rottura a fatica.
In altre parole, si tratta della definizione del limite di impiego in sicurezza di un materiale per un determinato periodo di tempo, oltre il quale è necessaria la sua sostituzione integrale. La norma UNR134 specifica che materiali adeguati per la costruzione dei serbatoi di stoccaggio sono il GFRP (Glass Fiber Reinforced Polymer, polimero rinforzato con fibra di vetro) per il rivestimento esterno e il CFRP (Carbon Fiber Reinforced Polymers, polimeri rinforzati con fibra di carbonio), per quello interno. Grazie anche alla sua densità elevata, il GFRP è molto resistente, mentre il CFRP si distingue per un’alta tensione di rottura, ottima resistenza alla corrosione e notevole leggerezza.