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Bioeconomia

Meccanizzazione forestale, un volano per la gestione attiva dei boschi

Il vasto patrimonio forestale italiano è decisamente sottovalutato economicamente e per ciò importiamo ogni anno grandi quantità di legname dall’estero. Per valorizzare la preziosa risorsa di cui disponiamo, dobbiamo lavorare su tecnologia, selvicoltura e formazione

di Matteo Monni
ottobre - novembre 2024 | Back

In Italia più di un terzo del territorio, qualcosa come 11 milioni di ettari, è occupato da foreste che nella maggior parte dei casi sono poco valorizzate rispetto alle enormi potenzialità che hanno per produrre reddito, tutelare l’ambiente e preservare la biodiversità. In poche parole si fa fatica, a differenza di tanti altri Paesi a noi vicini, a quantificare e monetizzare quell’insieme di elementi positivi legati alla gestione forestale e oggi diffusamente riconosciuti come servizi ecosistemici. Tali servizi comprendono, oltre alla produzione di un’ampia gamma di materie prime rinnovabili (in primis il legno), anche un ampio ventaglio di ricadute positive ambientali (lo stoccaggio della CO2, la biodiversità, il paesaggio, ecc.) e sociali (sport, turismo e benessere). Focalizzando l’attenzione sull’economia del legno, oggi in Italia i prelievi legnosi interessano all’incirca il 18-37% degli accrescimenti annui di biomassa forestale a fronte di una media dell’Europa meridionale nell’ordine del 62-67% e, come diretta conseguenza, una significativa percentuale dei quantitativi di legna utilizzata per il riscaldamento domestico (al netto della legna da ardere frutto di autoapprovvigionamento al di fuori dei circuiti commerciali) e collettivo (teleriscaldamento), e per la produzione di elettricità proveniente dall’estero.

Da quanto detto deriva quello che tra gli addetti del settore viene definito come il “paradosso della biomassa”. In sintesi abbiamo un vasto patrimonio forestale, lo valorizziamo poco e importiamo grandi quantità di legname. Basti pensare che la produzione nazionale di biomassa, da operazioni di taglio dei boschi e, in misura molto minore, da colture arboree dedicate (pioppo) è stimata intorno ai 4-5 milioni di t/anno. Mentre i consumi stimati sono dell’ordine dei 20 milioni di t/anno, e le importazioni "ufficiali" ammontano a circa 2,5-3 milioni di t/anno.

Esiste quindi una enorme discrepanza (dell’ordine dei 10 milioni di t/anno) fra il consumo reale e quello teorico apparente a causa di importazioni non registrate da altri Paesi dell’Unione Europea, delle utilizzazioni boschive che sfuggono alle rilevazioni statistiche, ma anche del riciclaggio di legname usato e di scarti di lavorazione dell’industria del legno.

Le ragioni di questo grave ritardo italiano delle filiere produttive bosco-legno-energia sono molteplici e principalmente risiedono in questioni di tipo colturale (superabili con esempi pratici efficienti) e strutturali (superabili con investimenti in tecnologie). è noto che la nostra silvicoltura è complicata dalla morfologia delle aree boscate (prevalentemente diffuse in zone montane), dall’insufficiente viabilità forestale, dalla carenza di centri di lavorazione e dallo scarso ricorso ad una moderna meccanizzazione.

Per esempio, parlando con il Raffaele Spinelli (ricercatore del CNR IBE) – esperto di meccanizzazione e di tecniche cantieristiche in bosco – emerge che «la conversione in fustaie dei boschi cedui appenninici è iniziata almeno 50 anni fa, sotto la spinta dei cambiamenti economici, sociali e culturali che hanno accompagnato l’industrializzazione del Paese». Tuttavia ad un impulso di tale portata non ha corrisposto un adeguato adattamento nei prodotti attesi e nelle pratiche silvicolturali. «Il ceduo rappresenta ancora oggi una forma di governo molto praticata sull’Appennino, ma – spiega il ricercatore del CNR – non domina più il panorama forestale dell’Italia centro-meridionale come in passato e le fustaie transitorie costituiscono una realtà ormai molto diffusa». Tra i benefici ottenibili attraverso la conversione in alto fusto, uno dei più importanti è quello relativo a una migliore valorizzazione del prodotto legnoso, che raggiunge dimensioni tali da consentirne la trasformazione in assortimenti pregiati, eventualmente adatti anche all’uso strutturale. In tal caso il beneficio è duplice: un prezzo migliore rispetto alla legna da ardere ed una immobilizzazione del carbonio molto più durevole. Tuttavia, altro paradosso, molto del legname ottenuto dalle nostre fustaie transitorie oggi finisce come legna da ardere o cippato. Questo avviene in parte per una positiva ricerca di fonti rinnovabili di energia meno inquinanti e costose di quelle fossili, ma in particolar modo perché le tecnologie impiegate per la raccolta del legname e la professionalità degli operatori sono ancora strettamente legate alla filiera della legna da ardere. Infatti, molti dei nostri boscaioli non sanno lavorare materiale lungo, e comunque non hanno le attrezzature per farlo. Quindi: legna a un metro, muli e trattori con le gabbie e quando i pezzi sono troppo lunghi e pesanti, si spaccano in due con la motosega. Con tali dinamiche sfumano tristemente cinquanta anni di lavoro sulle conversioni, avendo infine la stessa legna da ardere, ma attraverso procedimenti più difficili e faticosi.

Sempre Spinelli ci conforta ricordandoci che “le soluzioni tecnologiche esistono e anche in grande abbondanza”. Per dare una prova pratica alle imprese e ai professionisti del centro-sud, il Gruppo Operativo PEI For Invicta (foresta Resiliente), il CNR IBE, l’Università della Tuscia e la Cooperativa La Foresta hanno organizzato lo scorso agosto una giornata dimostrativa in Abruzzo sull’Altopiano delle Cinquemiglia, nel Comune di Rocca Pia (L’Aquila). La dimostrazione è stata condotta su una delle numerose fustaie transitorie di faggio che circondano l’altopiano, formando una spettacolare corona boscosa. La forte pendenza del terreno e l’assenza di strade sommitali o a mezza costa impongono l’esbosco in discesa, che in queste condizioni è effettuato normalmente a soma con i muli, tagliando tutto il legname in pezzi di un metro. Da qui l’interesse a promuovere l’impiego della teleferica forestale, rappresentata nel caso specifico da una Greifenberg Mediterranea 3t, una macchina al contempo leggera e prestante con un cavo portante di 500 m (diametro 20 mm) ed un motore VM da 100 cavalli. La teleferica era equipaggiata con un carrello motorizzato “Transporter” da 2 tonnellate di portata e con un verricello di sollevamento azionato da un affidabile motore Yanmar da 38 cavalli. Come atteso, carrello motorizzato e teleferica trifune hanno lavorato in modo molto fluido e veloce, riempendo rapidamente il piazzale di scarico, che era servito da un processore Neuson 9000 dotato di testata Logmax.

Per considerare opzioni di intervento molto specifiche, la dimostrazione ha riguardato anche l’esbosco con elicottero, effettuato dall’impresa Eliabruzzo con il loro Aérospatiale AS 350 Ecureuil. Nella mattinata, l’elicottero ha effettuato una ventina di viaggi trasportando circa 700 kg di legname a viaggio, attaccati al gancio baricentrico. Tutti i carichi erano stati preparati il giorno prima, già legati con cinghie in fibra sintetica, così da velocizzare i cicli di lavoro e ridurre al minimo il costo di esbosco. I fusti di faggio erano sezionati in lunghezze di 3 o 4 m così da poter essere trasformati in legname per uso strutturale. Questo lavoro era effettuato da una segheria mobile Woodmizer LT40 Wide, che durante la giornata ha prodotto abbastanza tavolame da riempire un camion a tre assi. Montata su un carrello stradale ed equipaggiata con un motore a benzina da 38 cavalli, questa segheria può essere spostata velocemente tra i diversi siti di lavoro, industriali o in bosco. Un modo, questo, per ovviare all’assenza di segherie industriali capaci di assorbire i tronchi che vengono dalle nuove fustaie transitorie. Peraltro, uno dei maggiori ostacoli alla valorizzazione del nostro legname di pregio è costituito proprio dalla mancanza di tali segherie. La globalizzazione dei mercati e lo scollamento tra selvicoltura e industria del legno hanno infatti portato alla chiusura la grande maggioranza dei grandi e piccoli impianti che un tempo popolavano le nostre valli, creando reddito e posti di lavoro. «Questo problema può essere risolto dotando i piccoli imprenditori con macchine moderne, leggere e poco costose, che possano avviare il percorso virtuoso pensato già molti anni fa, ma che ancora non si è realizzato. I boschi di alto fusto – conclude Raffaele Spinelli – ora li abbiamo: per sfruttare la magnifica opportunità che questi ci offrono però dobbiamo lavorare sulla tecnologia, la selvicoltura e la formazione».

In tale contesto, EIMA International svolge un ruolo di grande importanza per fare informazione, favorire la diffusione di buone pratiche e per promuovere le più innovative tecnologie forestali attualmente disponibili, ormai indispensabili per la gestione attiva ed ecocompatibile dei boschi italiani.

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