Le tecniche di sterilizzazione del terreno
A partire da soluzioni di tipo chimico o fisico, sono state sviluppate diverse macchine che sono in grado di eliminare patogeni, parassiti e in qualche caso anche virus e batteri nel terreno agricolo, specie nelle coltivazioni protette. Sono inoltre allo studio nuove promettenti alternative, come il ricorso ai raggi UV oppure all’ozono
In Italia le coltivazioni in serra si stanno progressivamente espandendo, sia per il maggior reddito che mediamente riescono a garantire rispetto alla produzione di pieno campo, sia per l’esigenza del mercato di poter disporre per lunghi periodi dell’anno di prodotti che altrimenti non sarebbe possibile coltivare in campo aperto, sostanzialmente per questioni climatiche.
In serra permane tipicamente un clima caldo e umido, la rotazione delle colture è di norma molto limitata (se non addirittura assente), e la densità di messa a dimora è sempre molto spinta; sono tutte condizioni propizie al proliferare di numerosi parassiti e malattie. L’applicazione di rigorose misure di igiene diventa così un passaggio essenziale del ciclo colturale, perché sono le uniche che permettono di combattere virus e batteri.
Sebbene la disinfezione delle serre non sia sempre strettamente necessaria, e in tempi recenti si stiano sviluppando anche delle tecniche atte a far proliferare volutamente nel terreno microorganismi antagonisti di quelli patogeni, nella maggior parte dei casi il ricorso a periodici cicli di sterilizzazione del terreno è ancora una prassi obbligata, nonostante possa in certi casi rivelarsi decisamente controproducente, perché eliminando tutti gli organismi residenti nel terreno di coltura si rischia di lasciare la “porta aperta” ai primi patogeni che si ripresentano dopo il trattamento.
Modalità di esecuzione
La sterilizzazione del terreno può essere eseguita in diversi modi, peraltro classificabili in due macrocategorie: i metodi “chimici”, che prevedono l’impiego di determinate molecole atte a eliminare in maniera più o meno selettiva i patogeni presenti (ed eventualmente anche i semi e i rizomi delle infestanti), e i metodi “fisici”, che ricorrono prevalentemente all’utilizzo del calore per inibire i microorganismi. In questa seconda categoria rientra ad esempio la classica tecnica della “solarizzazione”, che si caratterizza per alcuni pregi, ovvero l’economicità, l’assenza di residui e di tempi di carenza, ma che richiede tempi di esecuzione un po’ più lunghi rispetto ad altre soluzioni e soprattutto risulta efficace soltanto con una cospicua insolazione.
Fino a tutto il 2004 il ricorso alla “chimica” era un’opzione pressocché obbligata al di fuori del periodo estivo, adottando quasi universalmente il ben noto bromuro di metile. Con la messa al bando, sostanzialmente per motivi ambientali, di questo (pericoloso) composto, sono stati messi a punto successivamente alcuni formulati alternativi, così come nuove tecniche fisiche di sterilizzazione del terreno.
Biocida o fitosanitario
La soluzione chimica rimane però quella preferita, perché per la sua esecuzione non bisogna dipendere dall’andamento meteorologico, e l’intervento è solitamente molto rapido. Si tratta in pratica di incorporare nello strato superficiale del terreno dei prodotti disinfettanti, con azione biocida o fitosanitaria. Secondo una nota redatta dalla Commissione europea, quando l’organismo bersaglio è nocivo ai vegetali o ai loro derivati, il prodotto è considerato come fitosanitario, nella misura in cui esso venga applicato direttamente sulle piante o sui derivati oppure, in maniera indiretta, sulla struttura vuota. Se invece il prodotto disinfettante utilizzato è nocivo anche in altri ambiti (come per l’uomo o per altri organismi), esso è da considerare come un biocida. La lista attuale dei prodotti chimici autorizzati come biocidi o fitosanitari è in continua evoluzione: la maggior parte di essi ha un’azione fungicida, nematocida e battericida, ma alcuni di essi agiscono anche contro i virus. In ogni caso, per aumentarne l’efficacia è molto importante adottare le tecniche distributive più corrette. Sebbene in molti casi si ricorra ad un’ala gocciolante posta sopra al terreno o ancor più semplicisticamente all’impiego dei medesimi sprinkler di irrigazione (effettuando poi un adacquamento immediatamente successivo per portare il principio attivo in profondità), soltanto con l’ausilio di macchinari specializzati è possibile massimizzare l’efficacia dell’intervento, per un’incorporazione uniforme nello strato di terreno interessato.
Le sterilizzatrici
La maggior parte delle moderne macchine sterilizzatrici sono state progettate per ottimizzare la distribuzione dei cosiddetti “fumiganti”, ovvero prodotti in forma liquida che quando sono immessi nel terreno gasificano, per “soffocare” i patogeni presenti. Le sterilizzatrici si avvalgono di norma di serbatoi e raccordi idraulici in acciaio inossidabile, per resistere all’elevata aggressività chimica tipica della maggior parte dei prodotti fumiganti, e tramite una fitta rete di ancore (simili a quelle dei comuni ripper, ma cave all’interno) per mezzo di apposite pompe iniettano sotto la superficie del suolo il principio attivo, in modo da evitare dannose dispersioni in atmosfera del prodotto allo stato gassoso. Subito dietro le ancore forate è di norma collocato un rullo compattatore, con lo scopo di comprimere leggermente lo strato superficiale del terreno, per diminuirne la permeabilità. Completa il tutto un dispositivo che stende un film plastico pacciamante, per mantenere a livello del suolo la maggior parte del prodotto distribuito, per il più lungo tempo possibile. Alcuni modelli possono infine essere equipaggiati con particolari ruote dentate, atte a sminuzzare il terreno prima dell’intervento delle ancore di deposizione del prodotto.
Due aziende italiane particolarmente attive in questo settore sono la Oliver Agro di Engazzà di Salizzole (VR) che ha in catalogo la gamma New Velox, e la Roter Italia di Ostiglia (MN) che propone la serie Deeper-ino; in entrambi i casi, i modelli sono disponibili in varie larghezze di lavoro (anche a richiesta).
Un’ulteriore alternativa messa a punto in tempi ancor più recenti (e diffusa soprattutto nell’ambito delle colture biologiche) prevede che la fumigazione sia effettuata mediante l’incorporazione nel terreno di brassicacee, come la colza o il ravizzone. Si è infatti accertato che, qualora esse siano incorporate nel terreno al più opportuno grado di maturazione, durante la loro macerazione si sviluppa l’isotiocianato, un gas fumigante venefico completamente biologico. Per velocizzare il processo ed evitare di coltivare le brassicacee direttamente sui terreni da sterilizzare, sono state selezionate alcune varietà di colza e ravizzone maggiormente produttive di isotiocianato, che vengono poi raccolte al punto di maturazione ottimale, e quindi essiccate e pellettate. Per la distribuzione di questo prodotto si impiegano i classici spandiconcime, eseguendo poi immediatamente una passata con la zappatrice per incorporare i pellet, e infine si irriga e/o si stende un film plastico pacciamante.
La solarizzazione
Sfrutta il calore del sole per sterilizzare il terreno. Di solito si depone un film plastico nero nei climi più freddi e trasparente in quelli più caldi. Oltre alla sterilizzazione, il lungo periodo di esposizione al sole contribuisce anche alla decomposizione della materia vegetale, a tutto vantaggio della disponibilità di sostanze nutritive per la successiva coltura. Più che una sterilizzazione vera e propria, la solarizzazione produce una sorta di pastorizzazione del terreno; depura il terreno dalla maggior parte dei patogeni, ma talvolta non risulta molto efficace su alcune infestanti erbacee perenni.
Un’altra tecnica promettente è la disinfestazione anaerobica del suolo, già studiata in Olanda e in Giappone a partire dagli anni '90. Si tratta di fatto di una solarizzazione integrata, che prevede la preventiva creazione di condizioni di forte anaerobiosi, attraverso la copertura con teli di plastica del suolo saturato con acqua e materiale organico, per determinare una notevole riduzione del contenuto di ossigeno.
Il vapore
Con le medesime finalità (ma in tempi estremamente più brevi…) è possibile anche avvalersi di macchine sterilizzatrici che iniettano vapore acqueo. Si tratta di soluzioni ammesse anche nei disciplinari biologici, ma alquanto onerose dal punto di vista energetico, per il ricorso a combustibili quali gasolio o GPL, che con la combustione costituiscono la fonte di calore per generare il vapore, che viene iniettato fino a 20-25 cm circa di profondità, e incorporato nel terreno con una zappatrice. Anche in questo caso si depone sulla superficie sterilizzata immediatamente dopo il trattamento un telo plastico. Un esempio di questa soluzione è la Biovap della Ingauna Vapore di Castelbianco (SV), mentre una variante sul tema viene proposta dalla Celli di Forlì, che con l’ormai affermata semovente Ecostar che utilizza il metodo Bioflash che in aggiunta al vapore incorpora preventivamente nel terreno della comune calce viva che, una volta inumidita dal vapore, genera a sua volta una reazione esotermica che mantiene tra 65 e 80°C per 20 min circa i primi 20 cm di terreno. In tal modo, si consegue un importante risparmio energetico rispetto all’impiego del solo vapore. Anche in questo caso, il trattamento eseguito è concettualmente più simile ad una pastorizzazione piuttosto che ad una sterilizzazione totale, pur essendo molto efficace sulla maggior parte dei parassiti con una soglia letale sotto gli 80°C.
Altre tecniche
Una soluzione alternativa per la sterilizzazione prevede l’impiego delle microonde, già peraltro studiata quasi vent’anni dall’Università di Padova, e ripreso più di recente ad esempio dall’olandese Koppert Machines BV, con il modello Agriton. Il problema (tuttora irrisolto) non è legato all’efficacia dell’azione sterilizzante, quanto piuttosto all’orientamento delle microonde esclusivamente sulla zona del trattamento, senza disperderle nell’ambiente circostante. Un’ulteriore alternativa è lo sfruttamento dei raggi UV, con i quali però l’effetto sterilizzante è solo superficiale, senza la possibilità di scendere in profondità.
Viceversa, senza dubbio promettente è il ricorso a grandi quantità di ozono disciolto in acqua, un’opportunità sulla quale sono state condotte numerose sperimentazioni ed è già disponibile qualche soluzione commerciale. Al momento, non esiste però una normativa europea che disciplini questa tecnica in agricoltura, se non un impiego limitato alla conservazione di prodotti nelle cellule frigorifere, che però sono ambienti chiusi.