La meccanizzazione dell'agricoltura "eroica"
In condizioni ambientali molto difficili, la produzione agricola viene normalmente gestita con un massiccio ricorso al lavoro manuale. Ciononostante, sono disponibili valide soluzioni di meccanizzazione, a tutto vantaggio della redditività di colture ad alto valore aggiunto
Al di là di definizioni più o meno auliche, la cosiddetta “agricoltura eroica” è identificata in quelle produzioni agricole praticate su terreni che hanno ben determinate caratteristiche, ovvero: pendenza superiore al 30%; altitudine oltre i 500 m s.l.m.; coltivazione su gradoni o terrazze. Si intuisce immediatamente che in condizioni così estreme, soprattutto per la pendenza del terreno, e in parte anche per la presenza di gradoni e terrazze, la meccanizzazione può essere sviluppata in modo parziale, con soluzioni che sostanzialmente si limitano ad agevolare il lavoro manuale, che rimane assolutamente centrale.
Ecco perché all’agricoltura eroica si associa inscindibilmente l’agricoltore eroico, ovvero colui che con passione, caparbietà e attaccamento alla terra porta avanti un’attività faticosa e non priva di rischi, sotto molteplici punti di vista. Tale attività comporta anche altri valori aggiunti, come la conservazione del territorio: si pensi ad esempio alla manutenzione dei muretti a secco, alla cura della viabilistica pedonale, ad un adeguato controllo della vegetazione di contorno. In una parola, si tratta di preservare il paesaggio, nella sua naturalità. Ma c’è anche un altro importantissimo fattore, che riguarda la pratica di colture di nicchia, sitospecifiche, antiche: si tratta di un patrimonio inestimabile in termini di biodiversità.
Considerando la diffusione della produzione vitivinicola in Italia, è quasi automatico che l’agricoltura eroica sia accostata quasi inscindibilmente alla “viticoltura eroica”, con la quale però non deve essere confusa, dato che parecchi altri prodotti agricoli, come ad esempio le erbe officinali, i frutti rossi, alcune leguminose (ad es. le lenticchie), i frutti antichi, ecc. sono coltivati con successo in tale contesto.
In ogni caso, è indubbio che la (piccola) meccanizzazione, che è stata sviluppata per servire al meglio le pratiche colturali comunemente eseguite, faccia sostanziale riferimento proprio alla viticoltura. Quella che segue è una veloce (e certamene incompleta) panoramica di ciò che il mercato offre in merito.
Il trasporto del raccolto e dei mezzi per la coltivazione è certamente la sfida più ardua che gli “agricoltori eroici” si trovano ad affrontate, dato che la viabilità è completamente assente, oppure inadatta al transito del macchinario, sia per le dimensioni ridotte che, spesso, per le condizioni precarie del fondo.
Monorotaia a cremagliera. La monorotaia a binario unico è una soluzione di trasporto meccanico di merci o persone; la sua adozione è particolarmente indicata per terreni fortemente declivi, dove non è possibile (e/o non opportuno, anche per ragioni ambientali) la realizzazione di una strada carrabile. Ben note a livello internazionale sono le monorotaie a servizio dei vigneti delle Cinque Terre, patrimonio dell’Unesco, e più in generale quelle che rendono possibile la coltivazione della vite in altri celeberrimi comprensori: la Valtellina in Lombardia, la Valle D’Aosta, le colline del Prosecco, tra Conegliano e Valdobbiadene (TV), all’Isola d’Elba in Toscana, nelle zone della Sila e del Pollino in Calabria e a Pantelleria in Sicilia, ecc. La Monrail di Grugliasco (TO) si distingue per la propria offerta di impianti di questo tipo, che non solo si avvalgono di motorizzazioni classiche con propulsori a benzina, ma propongono anche innovative motrici elettriche alimentate a batteria, che comportano vantaggi come la riduzione delle emissioni gassose inquinanti e dell’impatto acustico, la semplificazione della manovrabilità, la possibilità di telecontrollo a distanza e la riduzione dei consumi energetici, anche grazie alla possibilità di rigenerazione di energia durante la percorrenza in discesa. Più in dettaglio, le versioni a benzina possono montare motori sino a 7 Cv, per trasportare fino a 750 kg di carico su una pendenza massima di 35° (70%); sono dotate di freno limitatore di velocità, freno di stazionamento ed emergenza e inversore di marcia. Viceversa, è offerta anche una gamma a propulsione elettrica: il modello Electric 2000 monta un motore brushless da 4,5 kW alimentato da una batteria agli ioni di Litio a 48 V da 90 Ah (sostituibile con una di maggior capacità da 180 Ah), con il quale può trasportare un carico di 400 kg, alla massima velocità di 2,7 km/h, su una pendenza addirittura dell’83% (corrispondente ad un angolo di 40°), oppure ben 1.850 kg, ad una velocità più ridotta ma su una pendenza comunque notevole (37%, cioè 20°). Con il battery pack di maggior capacità, l’autonomia dichiarata è più che buona – 2,5 e 6,5 ore – ovviamente a seconda dell’intensità d’uso.
Motocarriola. è il mezzo decisamente più indicato per l’esecuzione di diverse operazioni dove è necessario distribuire prodotti, come ad esempio fertilizzanti e prodotti fitosanitari, oppure raccogliere a livello locale. Come organi di propulsione i cingoli in gomma si prestano bene allo scopo, soprattutto per l’ampia area di contatto che assicura un’aderenza ottimale su superfici poco coerenti, e al contempo producono un compattamento limitato, ma offrono anche la possibilità di sterzare in spazi davvero contenuti, come possono essere le capezzagne dei terrazzamenti. Con riferimento al mercato italiano, sono parecchi i costruttori che hanno a catalogo modelli adatti al vigneto, anche già completi della parte operatrice. La Camisa di Compiano (PR) propone un’ampia gamma di modelli, anche di dimensioni contenute, adatti ad interfilari stretti terrazzati. Ad esempio, il modello TP280 Eco con operatore al seguito, dotato di motore endotermico a scoppio da 5 Cv circa, ha una massa di 160 kg a vuoto, una portata di 300 kg circa su un pianale da 900 mm di lunghezza per 650 mm di larghezza (con sponde eventualmente allargabili) e una velocità massima di 4 km/h, gestibile tramite due marce avanti e una retromarcia. Dove è disponibile un po’ più di spazio interfilare (e dove esiste una seppur minima viabilistica percorribile), sempre Camisa offre il modello TP 500 S specificamente dedicato alla viticoltura, equipaggiato con motore endotermico a scoppio da 20 Cv circa. Si tratta di un modello professionale, dotato di posto di guida a bordo, e a richiesta di una presa di potenza a 540 giri/min, di un sollevatore idraulico e di una o più prese idrauliche sino a 25 l/min di portata, ma soprattutto di un modulo atomizzatore per i trattamenti fitosanitari. La massa a vuoto è di 400 kg circa, la portata fino a 500 kg e la velocità massima di 5 km/h.
In viticoltura, i trattamenti fitosanitari sono da sempre l’operazione di maggior impegno in termini di manodopera. Quindi, anche dove le condizioni ambientali sono difficili, la meccanizzazione si rivela importante. Sulla base della motocarriola, diversi costruttori offrono degli allestimenti esclusivi: la Waibl Diethart di Merano-Sinigo (BZ) produce un atomizzatore a polverizzazione meccanica su base cingolata, semovente e con operatore a bordo. Dotato di un serbatoio della miscela in vetroresina da 130 l, è mosso da un motore a scoppio da 16 Cv, che aziona anche una pompa a pistoni e membrana da 55 l/min e un ventilatore da 20.000 m³/h. Per adattarsi al meglio ai diversi tipi di allevamento della vite, la macchina può essere equipaggiata, in alternativa, con la classica serie di ugelli disposti a corona intorno al ventilatore assiale, oppure con una torretta (anche in versione bassa) in acciaio inox con alette regolabili e ventilatore tangenziale, adatta alla pergola.
La gestione del filare. Dalla potatura … Senza dubbio, l’uso delle moderne forbici elettroniche ha risolto brillantemente ogni problema operativo anche in condizioni particolarmente difficili, compreso quello della necessaria autonomia del battery pack, che ora può anche essere anche portato in un comodo zainetto, assicurando un’intera giornata di operatività ininterrotta. Piuttosto, le cesoie da potatura comportano da sempre un problema di sicurezza, relativo a involontarie, quanto pericolose, interferenze della lama mobile con le dita o la mano dell’operatore non impegnata nell’impugnatura dell’utensile.
Già sul mercato sono presenti diversi modelli che funzionano a “uomo presente”, ovvero la lama si muove verso il riscontro solo finché si tiene premuto il grilletto, invertendo immediatamente il movimento (cioè aprendosi) al suo rilascio, anche se non ha completato la normale corsa. Ora però Pellenc ha introdotto il modello C3X con la funzione “Activ’Security”, che arresta immediatamente in automatico la lama in caso di contatto con il dito dell’utilizzatore, per mezzo di un circuito conduttivo naturale creato tramite 3 punti di contatto. Nel dettaglio, grazie a un doppio contatto della mano sul grilletto e sulla parte inferiore del corpo, “Activ’Security” si attiva non appena l’utilizzatore tocca con l’altra mano un elemento metallico della testa di taglio. Per una sicurezza ottimale in condizioni di elevata umidità, è raccomandato l’uso di guanti conduttivi.
… alle lavorazioni interfilare. In questo caso, il motocoltivatore sembra essere senz’altro il mezzo più versatile. Nella vastissima gamma di modelli disponibili, i più indicati per la viticoltura eroica sono quelli di bassa potenza (indicativamente da 5-8 Cv), con dimensioni e peso limitati, adatti all’accoppiamento con attrezzature di ridotta larghezza di lavoro. Ad esempio, il modello PowerSafe 328 della Ferrari di Luzzara (RE), che fa parte del gruppo BCS, può essere richiesto con 4 differenti motorizzazioni, tre a benzina da 5 a 8 Cv circa, e uno diesel, da 7,5 Cv. Ha 3 marce avanti e indietro per una velocità massima di 4 km/h e presa di potenza a 1000 giri/min circa, il tutto contenuto in soli 76 kg, con il motore meno potente e pneumatici della misura 4.00-8, a tutto vantaggio di un’agevole trasportabilità in siti impervi e di grande maneggevolezza negli spazi ristretti. La dotazione che distingue la gamma a cui appartiene è però la frizione PowerSafe, a dischi multipli in bagno d’olio ad azionamento idraulico, che garantisce vantaggi sia in termini di sicurezza, perché dispone di un freno incorporato che arresta immediatamente la macchina e l’attrezzo in caso di abbandono accidentale del manubrio, che di ergonomia, dato che l’azionamento del comando a leva richiede una forza limitata, dovendo agire su un attuatore idraulico e non su una molla tramite un cavo, come avviene nelle frizioni tradizionali. Se l’interfilare deve essere periodicamente lavorato, allora l’attrezzo da accoppiare al motocoltivatore è quello classico, ovvero una zappatrice (comunemente definita “fresa”), che per il modello citato ha una larghezza di lavoro di circa 50 cm. Viceversa, se il filare deve essere tenuto inerbito, è opportuno l’accoppiamento con una barra falciante a moto rettilineo alternato da 80 cm; invece, per lo sminuzzamento dei residui di potatura, è disponibile una trincierba-trinciasarmenti da 60 cm.
I muretti a secco
Riconosciuti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, i muretti a secco costituiscono la base strutturale delle coltivazioni terrazzate, prima fra tutte la vite. Oltre a rappresentare un elemento fondamentale del paesaggio, devono garantire opportuna e duratura stabilità ai versanti, contrastando smottamenti ed erosione superficiale. è del tutto evidente quindi che, oltre alla loro costruzione (o ricostruzione), è fondamentale una diligente e attenta manutenzione periodica, che possa tra l’altro garantire un corretto drenaggio delle acque, soprattutto di origine meteorica.
Non solo funzioni strutturali e paesaggistiche: i muretti a secco sono un importante tassello dell’ecosistema, una ricchissima nicchia ecologica. Infatti, gli interstizi divengono dimora e nascondiglio di una microfauna ricca di insetti, piccoli rettili ed anfibi che collaborano al mantenimento di un ambiente sano e privo di parassiti. Inoltre, il microclima che si crea all’interno (grazie alla condensazione della rugiada nelle fessure) favorisce lo sviluppo di piante mediterranee, che grazie alla maggiore disponibilità idrica, possono affrontare e superare la siccità estiva. A ciò collabora l’azione combinata dei muschi e dei licheni, base per la vita di altre piante superiori.
La tecnica costruttiva è relativamente semplice: si parte dal piede, ovvero di solito due file parallele di pietre di grossa dimensione, spesso collocate poco sotto al piano di calpestio, per essere poi parzialmente ricoperte dalla terra. Sul piede poggiano gli strati successivi di pietre, senza alcuna aggiunta di leganti. Gli spazi vuoti vengono progressivamente riempiti con materiale più fine. Raggiunta l’altezza desiderata, il muretto viene chiuso con il cappello, costituito da pietre più squadrate, a formare un livello omogeneo.
Il dimensionamento e posizionamento della base del muretto a secco è logicamente l’elemento chiave della sua stabilità, e quindi della sua durata. Le condizioni locali, prime fra tante la pendenza del versante e la sua stabilità intrinseca, possono far variare enormemente la scelta ottimale, ma in linea di massima si considera uno spessore delle fondazioni di circa 50 cm per muri da 1,5 m di altezza, 70 cm per un’altezza tra 2 e 3 m e 80-100 cm se si superano i 3 m. Numerosi sono anche i progetti di ricerca che si sono sviluppati su questo tema: il progetto InTERRACED - NET (Strategie Integrate E Reti Per La Conservazione E La Valorizzazione Del Paesaggio Terrazzato Transfrontaliero 2019-2022) recentemente concluso, finanziato nell’ambito del programma Interreg V-A Italia-Svizzera 2014-2020 e articolato sull’attività di 9 partner (7 italiani e 2 svizzeri), ha proposto una strategia di recupero funzionale, integrata tra governance di tutela, valorizzazione di un patrimonio immateriale di conoscenze e saperi antichi e proposte fruitive innovative.