La manutenzione forestale con harvester e forwarder
Il progressivo peggioramento delle condizioni climatiche richiede che il patrimonio forestale italiano venga gestito con sempre maggiore attenzione e diligenza. Dal punto di vista della meccanizzazione, l’adozione di macchinari all’avanguardia può facilitare la miglior gestione del bosco, assicurando al contempo un maggiore rispetto dell’ambiente e un sicuro reddito alle imprese forestali
L'Italia è uno dei Paesi europei con la maggiore superficie occupata da foresta. L’ultima rilevazione INFC (Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio) del 2015 stima una copertura forestale di oltre 11 milioni di ettari, che occupano circa il 36,7% del territorio italiano. Il volume totale delle piante presenti in ambito forestale è di oltre 1,5 miliardi di metri cubi, con una media di circa 165,4 m3/ha. Da sottolineare che rispetto al 2005 il volume totale è aumentato di ben il 18,4%.
Questi dati rivestono un significato molto importante, se si pensa al ruolo delle piante nel ciclo del carbonio: i boschi italiani sono infatti in grado di stoccare circa 539 milioni di tonnellate di CO2 (9,4 t/ha in media), ai quali vanno sommati circa 30 milioni di tonnellate contenute nel legno morto (3,3 t/ha di CO2 in media). Inoltre, dal punto di vista idro-geologico, le foreste svolgono una funzione di protezione per il suolo sottostante, soprattutto sui versanti a pendenza elevata, quelli sottoposti a un maggior rischio di erosione e dissesto.
La tutela dei boschi riveste quindi un ruolo di primaria importanza, soprattutto se si pensa all’aumento dei fenomeni climatici estremi che hanno causato (e stanno tuttora provocando) danni ingenti anche alla superficie boschiva. Ne è un esempio la tempesta Vaia dell’ottobre 2018, che ha gravemente colpito in particolare le zone montuose di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, con circa 41.500 ettari di boschi distrutti e 14 milioni di piante abbattute.
Per questi motivi, negli ultimi anni il ruolo delle 6.471 imprese forestali Italiane (con oltre 12 mila addetti) è notevolmente cambiato. Nonostante traggano la maggior parte del profitto dal taglio e dal commercio della biomassa legnosa, queste aziende si occupano anche di effettuare interventi di ingegneria naturalistica, di prevenzione degli incendi, difesa fitosanitaria, rimboschimenti, sistemazione idraulico-forestali e ripristino/manutenzione della viabilità forestale.
I livelli di meccanizzazione forestale. Negli ultimi anni il settore forestale ha registrato un lento incremento del livello di meccanizzazione. L’ostacolo principale è legato alle notevoli pendenze che caratterizzano le foreste italiane: il 35% circa del legname è esboscato da territori con pendenza compresa tra il 60 e l’80%, il che complica l’organizzazione di cantieri di lavoro moderni ad elevata capacità produttiva.
Un altro problema non di poco conto è la mancanza di un’adeguata viabilità forestale, che limita fortemente l’accesso ai boschi, soprattutto per le macchine operatrici specializzate.
Per lo svolgimento delle lavorazioni selvicolturali, si possono individuare tre livelli di meccanizzazione. Un primo livello di meccanizzazione tradizionale che si basa sulla disponibilità di macchine polivalenti, non espressamente progettate per l’utilizzo forestale. L’attrezzatura di base è la motosega. Si evolve in “meccanizzazione tradizionale avanzata” se si impiegano macchine appositamente allestite per l’impiego forestale, come ad esempio trattori forestali con verricello o con caricatore forestale. Un secondo livello meccanizzazione avanzata con macchine forestali in grado di svolgere autonomamente alcune routine, ma non un intero ciclo di lavorazione (es. escavatore con pinza abbattitrice). Il terzo livello di meccanizzazione, spinta, prevede il ricorso a macchine forestali specializzate, in grado di svolgere l’intero ciclo di abbattimento ed allestimento del legname (es. processori montati su harvester o su escavatori). Rientrano in questa tipologia di meccanizzazione il “metodo austriaco”, tipicamente adottato nei boschi di conifere di montagna, che consiste nell’abbattimento e taglio con motosega, esbosco con skidder o con gru a cavo e allestimento con processore su strada camionabile, e il “metodo scandinavo” che viceversa prevede la combinazione harvester-forwarder, ovvero il cantiere più complesso e ad alta efficienza attualmente disponibile in ambito forestale.
Gli harvester. L’harvester, o abbattitrice, è una macchina composta da un‘unità motrice e da un braccio azionato idraulicamente alla cui estremità è montata una testata abbattitrice-allestitrice. La testata taglia alla base l’albero da abbattere, ne indirizza la direzione di caduta, provvede contesualmente alla sramatura e, se necessario, all’accatastamento del materiale così allestito.
La testata comprende: una pinza di presa che trattiene il tronco consentendone l’abbattimento e la movimentazione controllata; una sega a catena azionata da un motore idraulico, per il taglio (in alcuni casi la sega a catena può essere sostituita da una sega a disco o da un meccanismo a cesoia); una serie di dispositivi (solitamente due o più rulli azionati idraulicamente) che spingono il tronco contro appositi coltelli per consentire la sramatura dell’albero. Con la medesima sega a catena si provvede poi a sezionare il tronco secondo misure predefinite. Una volta accatastato, il legname può essere esboscato mediante trattori e rimorchi forestali, skidder e forwarder.
L’unità motrice può essere dotata di ruote o cingoli. Nel primo caso, esistono in commercio harvester a 4, 6 e 8 ruote motrici. Ovviamente, all’aumentare del numero di assi motori, aumenta la stabilità e la portanza della macchina, a discapito però della sua maneggevolezza e agilità in bosco. La versione cingolata, al contrario, può prevedere sui tradizionali due assi o un unico cingolo per lato, o un cingolo trapezoidale per mozzo, in modo da realizzare un’unità motrice a 4 cingoli indipendenti e autolivellanti. In tal modo è possibile operare in sicurezza anche in zone ad elevata pendenza (fino al 60%) non raggiungibili con i modelli gommati (< 30%). Dal punto di vista costruttivo, un harvester è caratterizzato da un motore di potenza compresa tra 100 e 200 kW, con trasmissione idrostatica. Si tratta di una macchina di considerevoli dimensioni: la massa può arrivare a 25 tonnellate, e l’ingombro fino a 8 m di lunghezza per 3 m di larghezza. Lo sviluppo del braccio idraulico può arrivare a 11 m, e la testata permette di processare alberi con diametro di taglio compreso tra 35 e 70 cm. Può raggiungere su strada una velocità di 20 km/h, con un angolo di sterzata fino a 40°. A prescindere dalle caratteristiche dell’unità motrice utilizzata, l'harvester è una macchina complessa di elevata capacità di lavoro: ciò ne limita l’impiego quasi esclusivamente per tagli intensi e concentrati (es. pioppeti coltivati) e sulle conifere, come abete, larice, pino. Inoltre, essendo caratterizzato da un determinato diametro massimo delle piante lavorabili, bisogna considerare che alcuni alberi devono necessariamente essere abbattuti con la motosega. In ogni caso, la testata abbattitrice lascia ceppaie più alte rispetto al taglio eseguito manualmente.
I forwarder. Sono trattori articolati in grado di riunire in un unico mezzo le funzioni di motrice, rimorchio e caricatore. Di fatto, tali macchine svolgono le medesime funzioni dei trattori agricoli muniti di rimorchi forestali con gru idraulica, ma con maggiore efficienza, tanto da triplicarne la capacità di lavoro, a parità di dimensioni. Dal punto di vista costruttivo, un forwarder è composto da due parti, una anteriore che comprende la cabina di guida e il motore, e una posteriore attrezzata con pianale di carico, gru idraulica dotata di pinza idraulica e sbraccio compreso tra 7 e 10 m e, talvolta, con uno o due verricelli per l’esbosco a strascico e/o il concentramento del legname. L’avantreno, a uno o a due assi, e il retrotreno, di norma a due assi, sono collegati mediante una robusta articolazione snodata. Tutti gli assi sono motori e autolivellanti: in tal modo il forwarder è in grado di fornire elevata forza di trazione, mantenendo comunque una discreta manovrabilità.
Gli organi di propulsione sono costituiti da pneumatici isodiametrici di tipo forestale sui quali, al fine di aumentare l’aderenza della macchina, è possibile applicare catene forestali o apposite semi-cingolature. La cabina – a sua volta autolivellante – può ruotare di 290° per migliorare la visuale durante le fasi di lavoro e agevolare le manovre. Queste macchine sono in grado di muoversi prevalentemente su piste forestali e su vie di esbosco di media pendenza (fino al 40%) e possono lavorare a pieno carico anche su distanze piuttosto elevate (fino a 4-5 chilometri). I forwarder hanno una potenza motore compresa tra 100 e 200 kW e di norma dispongono di trasmissione idrostatica per velocizzare le manovre. Analogamente agli harvester, anche i forwarder sono macchine imponenti, con lunghezze fino a 12 m, larghezza di circa 3 m e massa compresa tra 12 e 20 tonnellate. La portata del pianale di carico dei modelli di maggiori dimensioni può arrivare a 20 tonnellate. La velocità di avanzamento non supera i 20 km/h e l’angolo di sterzata raggiunge i 45°, consentendo una buona manovrabilità nonostante gli ingombri notevoli. Analogamente a quanto avviene con gli harvester, viste le notevoli dimensioni di queste macchine operatrici, occorre valutare attentamente l’idoneità della viabilità forestale. Per ovviare alle situazioni più critiche, sono disponibili i cosiddetti “mini-forwarder” che, pur mantenendo la stessa architettura dei modelli classici, hanno potenza e dimensioni ridotte. Più in dettaglio, la potenza varia tra 20 e 40 kW, la massa non eccede le 6 tonnellate, la carreggiata può essere inferiore ai 2 m e la lunghezza complessiva inferiore a 8 metri. Queste caratteristiche sono idonee per l’omologazione alla circolazione su strada pubblica, tra l’altro con una velocità di 40 km/h. Per contro, rispetto alle versioni di maggiori dimensioni, è ovvio che con tali modelli diminuisca drasticamente la capacità di carico, che è – di norma – entro le 5 tonnellate.