Il miscanto per la produzione locale di pellet
Il miscanto è un biocombustibile che può essere efficacemente coltivato in suoli marginali, con una tecnica colturale non intensiva. Anche grazie alla ridotta umidità di raccolta, la biomassa ottenuta si rivela particolarmente adatta alla produzione di pellet
In un’ottica multifunzionale dell’attività agricola, oltre alla produzione di derrate da destinare all’alimentazione umana e zootecnica si considera da tempo come un’interessante opportunità quella della generazione di energia da fonti rinnovabili. Da un lato, si possono aumentare le fonti di ricavo diversificando i rischi, dall’altro si contribuisce alla transizione energetica in atto, riducendo l’impatto ambientale delle attività agricole, tra l’altro potendo beneficiare spesso di incentivi pubblici stanziati ad hoc. Tra le energie da fonti rinnovabili si è prestata sempre più attenzione alla generazione di elettricità, forse perché maggiormente incentivata, mentre meno interesse e investimenti sono stati dedicati alla produzione di energia termica o di biocombustibili (cippato, bricchette, pellet) utilizzabili in dispositivi di piccola potenza a scala domestica. Questa situazione non appare però pienamente razionale, anche tenendo conto che gli investimenti richiesti per gli impianti per la generazione di elettricità sono superiori a quelli per la generazione di energia termica e/o biocombustibili. Questi ultimi possono poi anche essere coltivati in aree marginali, riducendo in tal modo la competizione con specie più “nobili”, ma al contempo permettendo di mettere a reddito superfici altrimenti difficilmente valorizzabili. È il caso, ad esempio, delle colture erbacee da biomassa, come la canna comune (Arundo Donax), il miscanto (Miscanthus x Giganteus) e la saggina (Phalaris arundinacea).
Il miscanto
è una specie di origine asiatica, ad elevata efficienza fotosintetica, che in assoluto può arrivare a produrre tra 8 e ben 44 t/ha anno di sostanza secca di biomassa, con un intervallo registrato nel centro e nord Italia tra 16 e 28 t/ha anno di s.s. Oltre che per l’interessante produzione di biomassa, il miscanto ha il vantaggio di poter essere agevolmente raccolto ad un’umidità molto bassa e di poter quindi essere facilmente valorizzato tramite la combustione, per la produzione diretta di calore oppure per la trasformazione in energia elettrica. Se bruciato, un’interessante forma di gestione è il pellet, sia in purezza che miscelato con altre essenze, generalmente legnose. Il pellet ha il vantaggio di essere adatto all’uso in dispositivi domestici di piccola taglia, garantendo comunque un’elevata efficienza termica. Inoltre, grazie alla sua elevata massa volumica, può essere proficuamente utilizzato anche nell’ambiente urbano, dove generalmente gli spazi per lo stoccaggio dei combustibili sono ridotti. In ogni caso, qualunque che sia la filiera di valorizzazione della biomassa prodotta, oltre alla fattibilità tecnica ed economica occorre valutarne anche l’effettiva sostenibilità ambientale. Di seguito vengono presentati i risultati dell’analisi del ciclo di vita della produzione di pellet di miscanto, con riferimento ad un’azienda ubicata della provincia di Bergamo.
L’analisi del ciclo di vita
Con la cosiddetta Life Cycle Assessment (LCA) vengono stimati i potenziali impatti ambientali di un prodotto durante il suo intero ciclo di vita. L’analisi considera i diversi effetti sull’ambiente che sono causati dal consumo dei diversi fattori produttivi utilizzati e da eventuali emissioni di inquinanti nell’ambiente (ad es. gas di scarico dai motori endotermici, lisciviazione e ruscellamento superficiale di elementi nutritivi, ecc.). Tra i diversi impatti che è possibile calcolare, i più comuni sono l’impronta di carbonio, o Climate change, l’assottigliamento dello strato di ozono, varie forme di tossicità, la formazione di particolato e di smog fotochimico, l’acidificazione, l’eutrofizzazione terrestre e il consumo di risorse minerali e fossili. In questo contributo, vengono riportati i risultati per quanto riguarda l’impronta di carbonio, che non solo è l’indicatore di sostenibilità ambientale maggiormente conosciuto, ma anche perché il riscaldamento globale è l’effetto ambientale su cui maggiore è l’interesse. L’unità funzionale dell’analisi, ovvero l’unità alla quale sono riferiti tutti i fattori produttivi, gli input, gli output, così come l’impatto ambientale, è una tonnellata di biomassa di miscanto, per la fase di campo, e una tonnellata di pellet, per la fase di pellettizzazione; per la definizione dei confini del sistema è stato scelto l’approccio “from cradle to gate”, che considera tutte le operazioni, dall’estrazione delle materie prime fino alla produzione finale del pellet.
Il processo produttivo
La coltivazione del miscanto prevede una tecnica colturale che, rispetto a quella dei seminativi tipici della Pianura Padana, è meno intensiva, sia per quanto riguarda la lavorazione del terreno che per le cure colturali. Poiché si tratta di una coltura poliennale (della durata media di 15 anni), la lavorazione del terreno è eseguita solo nell’anno della messa a dimora; prevede una ripuntatura alla profondità di 40 cm, seguita da un’aratura a 35 cm e da un’erpicatura. Per quanto riguarda invece le cure colturali, la rusticità del miscanto comporta esigenze limitate: risulta necessario intervenire con una sola irrigazione nell’anno della messa a dimora, mentre normalmente non si effettuano né concimazioni e nemmeno trattamenti per la difesa. Occorre peraltro considerare che alla raccolta del prodotto la gran parte delle foglie sono ormai cadute al suolo, riducendo così l’asportazione di elementi nutritivi, e che i campi dedicati alla coltivazione del miscanto nel caso esaminato sono collocati in zone ripariali in prossimità del fiume Serio, saltuariamente coinvolte dalle periodiche esondazioni del fiume stesso.
La raccolta viene eseguita con cadenza annuale, all'inizio della primavera, dopo la caduta delle foglie e quando il contenuto di sostanza secca della biomassa è intorno al 90%; allo scopo viene impiegata una falciatrinciacaricatrice semovente, equipaggiata con una normale testata di raccolta utilizzata anche per la trinciatura del mais. Al termine del ciclo colturale di 15 anni, e prima dell’ultima trinciatura, viene eseguito un trattamento diserbante per inibire la capacità riproduttiva dei rizomi di miscanto. Tutte le lavorazioni possano essere svolte con attrezzature comunemente presenti nel parco macchine delle aziende agricole dell’areale di indagine, o comunque nell’usuale disponibilità dei contoterzisti. Ciò limita gli investimenti necessari per quegli agricoltori che intendono dedicare parte della superficie coltivata al miscanto, ma consente anche un più efficace ammortamento delle macchine, dato che parte delle operazioni (ad es. la raccolta) si svolgono in momenti della stagione in cui non sono previste attività sui seminativi.
Dopo la raccolta, la biomassa raccolta viene temporaneamente stoccata, e quindi convogliata tramite un nastro trasportatore verso un separatore a dischi, che rimuove il materiale estraneo più grossolano, per passare poi ad un vaglio magnetico per la separazione dei materiali ferrosi, e infine ad un mulino per la macinazione. La polvere generata durante la macinazione viene intercettata grazie ad un collettore di polveri a ciclone e a un filtro a maniche. La biomassa macinata viene quindi convogliata alla pressa di pellettizzazione, sulla quale un secondo filtro a maniche separa anche in questo caso la polvere prodotta. Il pellet passa quindi su un elevatore a tazze con aria in controcorrente per il raffreddamento, viene ulteriormente setacciato ed infine confezionato in big bag. Poiché il miscanto ha un’umidità del 10% al momento della raccolta, non è necessaria un'essiccazione supplementare prima della pellettizzazione.
L’impronta di carbonio
Per la fase di campo, l’impronta di carbonio si attesta a 13,79 kg CO2 eq/t di miscanto. Come peraltro atteso, la raccolta è l’operazione maggiormente impattante (66% del totale), seguita dalla lavorazione del suolo e dal trasporto (rispettivamente 11 e 8% dell’impatto globale). Il contributo delle altre lavorazioni e/o fattori produttivi non supera mai il 4% dell’impatto totale.
L’impronta di carbonio del pellet è invece di 121,64 kg CO2 eq/t, e dipende principalmente dal consumo di elettricità (76%), mentre la fase di campo per la produzione del miscanto è responsabile del 13% dell’impronta di carbonio. Il materiale di imballaggio, l’amido di mais e l’usura dell’impianto di pellettizzazione hanno un ruolo secondario.
Grazie alla sua rusticità, la coltivazione del miscanto può rappresentare un’interessante opportunità in areali a fertilità ridotta, dove le rese produttive dei seminativi classici come i cereali e la soia non sono soddisfacenti. In relazione al ridotto livello di input e a una tecnica di coltivazione non intensiva, anche le performance ambientali sono degne di nota, consentendo di produrre su base locale un pellet a basso impatto.