I trattori con cingoli in acciaio
L’Italia è uno dei principali produttori di trattori agricoli cingolati “classici”, cioè dotati di cingoli in acciaio. Infatti, anche per l’orografia del territorio e le caratteristiche dei suoli agrari dell’Italia, è presente e costante una certa domanda, puntualmente soddisfatta dai costruttori nazionali. I modelli attuali, “eredi” dei gloriosi modelli a cingoli del dopoguerra, evidenziano buone prestazioni, un ottimo livello tecnologico, e un netto miglioramento del comfort per i conducenti
Il primo trattore a cingoli della storia, il Cleveland Cletrac Model H, è stato progettato e realizzato negli USA nel 1917. Era dotato di un motore endotermico a 4 cilindri da 20 Cv, alimentato a petrolio o paraffina. In Europa, il capostipite dei cingolati fu l’inglese Blackstone Track Tractor, commercializzato a partire dal 1919. Montava un motore a 3 cilindri alimentato a paraffina o cherosene che sviluppava 25 Cv circa di potenza. Il primo trattore a cingoli italiano fu il Fiat 700 C, prodotto nel 1932. Aveva un motore a petrolio da 30 Cv di potenza ed ebbe un buon successo anche grazie all’interessamento dell’esercito, che aveva individuato nel nuovo trattore una valida alternativa per spostare le artiglierie da montagna, al posto dei muli. Una sua versione di dimensioni più ridotte (il Fiat 708 C, con motore di soli 20 Cv) fu usato nelle campagne militari di Somalia e di Libia. Nel 1939, in piena epoca autarchica, comparve un trattore cingolato passato alla storia: il Fiat modello “40”, anche detto “Boghetto” dal nome del progettista del motore, il Prof. Fortunato Boghetto da Valdobbiadene (TV). La sua caratteristica principale, che ne fece un mezzo all’avanguardia per l’epoca (e anche per i giorni nostri…) è che il propulsore da 40 Cv era policombustibile, cioè in grado di bruciare tutto ciò che di infiammabile fosse a disposizione: alcol, benzina, nafta, gasolio, petrolio, olio di palma, olio di ricino, olio di origine animale, ecc. Di fatto, si trattava di un motore a ciclo Otto a bassa compressione, con una camera di combustione cilindrica ad imboccatura biconica disposta eccentricamente ed inclinata rispetto all’asse del cilindro, quasi a simulare un tubo Venturi. Il sistema di alimentazione era completato da un iniettore e da una candela di accensione. Con tale configurazione, il motore lavorava sempre a piena ammissione d’aria e il combustibile veniva dosato in modo che, in prossimità della candela, la miscela fosse sempre sufficientemente ricca da consentirne l’accensione. Ciò garantiva un funzionamento regolare del motore e con consumi contenuti. Terminata la guerra, con la diffusione dei motori diesel il motore Boghetto andò, come si suol dire, “in pensione”.
Cominciò l’epoca d’oro dei trattori a cingoli italiani, la cui diffusione fu decisamente favorita dalla conformazione del terreno agrario italiano, che è classificato per il 35% come montagna, per il 43% collina e per il restante 22% pianura, con terreni spesso argillosi e tenaci. Tra l’altro, un’usanza tipicamente italiana, almeno fino alla fine degli anni ’70, era l’aratura a 50-60 cm di profondità. I trattori a ruote dell’epoca non erano ancora sufficientemente stazzati e stabili in pendenza come i cingolati; ciò fece sì che tali macchine si diffusero ampiamente nelle nostre campagne tanto che, per soddisfare la domanda degli agricoltori, tra il 1930 e il 1970 furono attivi in Italia oltre 30 costruttori, con più di cento modelli di cingolati adattabili ad ogni realtà produttiva.
La realtà odierna
Al giorno d’oggi il numero di costruttori nazionali di trattori a cingoli si è enormemente ridotto, ma la richiesta di tali macchine non si è mai interrotta: infatti, ben il 9% dell’immatricolato nel 2019 era composto da trattori cingolati classici (ovvero con i pattini in acciaio), dato che fa dell’Italia uno dei paesi al mondo che fa maggior uso di tali mezzi.
Dal punto di vista tecnico, grazie all’ampia superficie di appoggio a terra e all’elevato rapporto peso/potenza, i trattori cingolati classici sono in grado di sviluppare un’eccellente aderenza e quindi un’elevata forza di trazione. Inoltre, permettono un buon galleggiamento sul terreno (con una pressione media di soli 0,25-0,50 kg/cm2) limitandone quindi il compattamento, e possiedono un’ottima stabilità trasversale in virtù del baricentro basso, un ingombro limitato rispetto ad un trattore gommato della stessa potenza e un raggio di sterzatura ridotto (di fatto, possono ruotare su se stessi facendo perno sul cingolo interno).
Come svantaggi, è necessario ricordare il minor livello ergonomico rispetto ai modelli a ruote (anche se, negli ultimi anni, questo aspetto è stato significativamente migliorato), la scarsa attitudine allo svolgimento di alcune operazioni (es. fienagione, cure colturali, trasporti), la bassa velocità di esecuzione e la necessità, qualora si dovessero percorrere strade pubbliche, di applicare ai pattini delle apposite soprassuole, ricordando che la velocità massima ammessa dal Codice della Strada è di soli 15 km/h. Ne deriva che tali macchine sono per loro natura assai poco multifunzionali; tuttavia si rivelano provvidenziali nei casi in cui siano necessarie elevate forze di trazione e un’ottima stabilità, soprattutto nei contesti declivi e con terreni pesanti.
I trattori a cingoli classici attuali presentano caratteristiche costruttive di tutto rispetto e tali, seppur in misura minore rispetto ai modelli a ruote, da raggiungere un elevato livello tecnologico senza rivoluzionarne l’architettura.
Dal punto di vista motoristico, i trattori cingolati classici non dispongono di un’elevata gamma di potenze disponibili sul mercato. Si va infatti da 74 a 113 Cv con motori a tre o a quattro cilindri, dotati di iniezione common rail e turbocompressore. Interessante è la riserva di coppia: in alcuni modelli può raggiungere il 46%, evidenziando motorizzazioni brillanti e rapide nel rispondere alle variazioni di carico. La trasmissione è meccanica con inversore, e può prevedere fino a 16 rapporti avanti e altrettanti in retromarcia. Ciò consente di effettuare lavorazioni sia a bassissima velocità (circa 300 m/h) sia alla massima velocità consentita, ovvero 15 km/h.
La presa di potenza meccanica, oltre alle classiche modalità a 540 giri/min e 540 ECO, può essere anche a 1000 giri/min e addirittura sincronizzata con la velocità di avanzamento, per l’accoppiamento con rimorchi dotati di asse motore. L’innesto si effettua di norma mediante un comando elettroidraulico.
La frizione primaria è solitamente monodisco o a doppio disco a secco; il suo azionamento può avvenire sia agendo su una leva sia, più di recente, mediante un apposito pedale.
Le macchine moderne, a differenza di quelle di vecchia generazione, sono dotate di un circuito idraulico performante, con un elevato numero di distributori disponibili (da 3 a 5, a doppio effetto). La portata della pompa è compresa tra 38 e 50 l/min a seconda dei modelli. Ciò consente un efficace azionamento sia delle macchine operatrici accoppiate, sia di un eventuale apripista.
La sterzatura avviene mediante frizioni a bagno d’olio dette, appunto, “frizioni di sterzo” che, una volta azionate, riducono progressivamente la trasmissione del moto alle ruote motrici cui sovrintendono, fino ad azzerarlo. Questa soluzione permette di arrivare ad arrestare immediatamente il cingolo sul lato verso cui si intende sterzare. Da notare che, per ridurre il raggio di sterzata del mezzo, unitamente alla frizione occorre premere anche il corrispondente freno. Le frizioni di sterzo possono essere azionate idrostaticamente o mediante una coppia di leve posizionate di fronte all’operatore oppure, nel caso dei trattori New Holland, con la leva Steering-O-Matic™, ovvero un comando a cloche collocato al centro del cruscotto. In questo caso, per sterzare, è sufficiente spostare a destra o a sinistra la leva agendo con una sola mano; inclinandola parzialmente si attivano solo le frizioni di sterzo e si eseguono le correzioni di direzione mentre, portandola a fine corsa, si attivano anche i freni per far eseguire al trattore manovre strette.
La sicurezza e il comfort
Dal punto di vista della sicurezza, i cingolati classici possono essere dotati di arco abbattibile, di telaio a quattro montanti o di cabina, da più di 25 anni tutti obbligatoriamente omologati come ROPS, ovvero struttura di sicurezza idonea per la protezione in caso di ribaltamento. La cabina può essere equipaggiata di impianto per l’aria condizionata e il riscaldamento e con filtri antipolvere. Il posto di guida ha subito notevoli aggiornamenti rispetto ai modelli di vecchia generazione: al posto della “rustica” panca imbottita, sono ora disponibili sedili a sospensione meccanica o pneumatica, mentre la piattaforma è sospesa su silent block, ad aumentare significativamente il comfort vibrazionale. Non bisogna infatti dimenticare che il trattore a cingoli resta una macchina molto rigida, che tende a restituire maggiori vibrazioni al conducente a causa proprio del movimento dei cingoli in acciaio e che la sterzata, soprattutto se stretta, può causare sollecitazioni all’apparto muscolo-scheletrico in misura molto maggiore rispetto ad un trattore gommato.
Dal punto di vista delle dimensioni, sul mercato si trovano sostanzialmente tre diverse versioni di trattore a cingoli: la versione standard da campo aperto, quella “vigneto/frutteto” a carreggiata stretta per poter operare agilmente nell’interfila e la versione montagna, a carreggiata larga per ridurre al minimo i rischi di ribaltamento.
La cingolatura in gomma
Infine, meritano un cenno le novità più recenti introdotte su questa particolare tipologia di trattori, ovvero la cingolatura in gomma e l’alimentazione a metano. Nel primo caso, le catenarie e le piastre in acciaio sono sostituite da nastri di gomma con tassellature a lisca di pesce rinforzati internamente da cavi in acciaio disposti a spirale. Con questa soluzione, è possibile circolare liberamente su strada pubblica, ed è possibile effettuare svolte più strette rispetto alla cingolatura classica, riducendo al contempo il danneggiamento del soprassuolo. Inoltre, il comfort vibrazionale è molto migliore.
Riguardo all’alimentazione a metano, in realtà si tratta di un’innovazione che ha radici antiche, dato che il citato Fiat 40 “Boghetto” poteva con poche modifiche essere alimentato a gas. La novità di rilievo odierna consiste piuttosto nella possibilità di autoprodurre il metano in azienda, tramite digestione anaerobica di residui agricoli. Ciò comporta decisi risparmi nei costi di esercizio ed una drastica riduzione delle emissioni complessive, rendendo così il trattore un mezzo sempre più ecosostenibile.