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Tecnica

Gli spaccalegna per la produzione di legna da ardere

Si tratta di un’attrezzatura di particolare interesse nell’ambito agricolo, specie per i modelli di media produttività, che possono essere azionati in modo indipendente, tramite motori elettrici o a scoppio, oppure per mezzo della pdp del trattore. Le versioni più complete sono equipaggiate con diversi dispositivi che possono rendere il lavoro meno faticoso e soprattutto più sicuro

di Domenico Pessina
gennaio 2022 | Back

Tra le tipologie di biomassa destinate alla produzione di calore tramite combustione, senza dubbio la legna riveste un ruolo di primaria importanza, specialmente nelle aree rurali. Il cippato e il pellet sono le modalità di confezionamento più popolari in tal senso, ma la legna da ardere conserva tuttora la sua validità di fondo, sia che venga effettivamente usata per il riscaldamento e la cottura di preparazioni alimentari, sia che venga considerata per finalità meramente estetiche e di svago (ad es. nel camino aperto). La pezzatura maggiormente adottata è costituita da tronchetti, ricavati da ciocchi opportunamente sezionati tramite gli spaccalegna, un’attrezzatura disponibile in diverse tipologie e numerosi modelli, da quelli hobbistici per piccole produzioni sino a quelli professionali di tipo industriale. L’ambito agricolo ben si presta a tale produzione: allo scopo sono adatti spaccalegna di media produttività, azionati con diverse sorgenti di potenza (trattore compreso), che possono essere dotati di numerosi accessori per rendere il lavoro meno faticoso e soprattutto più sicuro.

 

Le tipologie

Il principio di funzionamento è piuttosto semplice, e consiste in una progressiva depezzatura del ciocco di legno tramite la penetrazione nel senso delle sue fibre di un robusto cuneo di varia inclinazione, grazie alla spinta esercitata solitamente da un cilindro idraulico, rispetto ad un elemento antagonista, ovvero la piastra di appoggio del ciocco.

I modelli di media produttività possono essere di tipo verticale oppure orizzontale, e lavorare con due differenti logiche di movimento dell’elemento mobile, che può essere in alternativa o il cuneo che penetra (soluzione prevalente nei modelli verticali), oppure la piastra che spinge il ciocco verso l’organo di spacco (modalità preferita nei modelli orizzontali). Sono disponibili anche modelli che, opportunamente attrezzati, possono lavorare sia in orizzontale che verticale.

Le sorgenti di potenza

La pompa che mette in pressione (anche fino a 350 bar) l’olio necessario al funzionamento del cilindro idraulico di spinta può essere azionata con diverse modalità, ovvero con un motore elettrico (a corrente alternata, sia a 220 che a 380 V, in funzione della potenza richiesta), un motore endotermico (spesso a benzina), oppure anche tramite la pdp del trattore, calettata direttamente sul suo codolo terminale oppure collegata con un albero cardanico. Se lo spaccalegna è abbinato al trattore, la struttura portante può essere dotata di un telaio triangolare di accoppiamento all’attacco a 3 punti posteriore, mentre se alimentato con un motore autonomo la macchina è provvista di opportuni dispositivi per un appoggio stabile a terra. Sono disponibili anche versioni carrellate, talvolta anche omologate per la circolazione su strada pubblica.

La richiesta di potenza varia ovviamente in funzione delle caratteristiche prestazionali dello spaccalegna, in particolare per l’entità della forza di spinta, ma anche in proporzione al diametro del ciocco da sezionare. Per i modelli medi, indicativamente si va da 2-3 Cv per 6-8 t di spinta e tronchetti Ø max 40 cm per l’accoppiamento con il motore elettrico, sino a 20 Cv circa per 30 t di forza e sezioni Ø max 100 cm per azionamenti tramite la pdp del trattore.

 

Organi di spacco

Il sezionamento del ciocco avviene grazie alla penetrazione progressiva dell’organo di spacco nel senso delle fibre, rappresentato da un massiccio cuneo a sezione sostanzialmente triangolare realizzato con piastre di elevato spessore, sagomate e saldate. La variante fondamentale riguarda l’angolo di inserzione del cuneo, che può variare indicativamente tra 6 e 30°, e l’eventuale dotazione di robuste ali laterali a formare una croce, per aumentare l’efficacia di sezionamento.

Sempre in tema di organi di spacco, un’alternativa al cuneo è il ricorso alla vite conica filettata, con la quale è possibile sezionare il ciocco non solo in lunghezza (ovvero nella direzione delle fibre del legno), ma anche e soprattutto trasversalmente. La conformazione a cono stretto della vite apre il tronchetto ruotando al suo interno, creando delle fessurazioni che lo spaccano. In tal caso, la sorgente di potenza non viene sfruttata tanto in termini di forza di spinta, quanto piuttosto come coppia motrice. A tale scopo, questa tipologia di spaccalegna si presta bene all’accoppiamento con il trattore, tramite la sua pdp e un albero cardanico.

 

Modalità di azionamento

Lo spacco vero e proprio avviene dopo aver collocato adeguatamente il ciocco sulla base di appoggio, e posizionato il cuneo a contatto con il pezzo da spaccare, dopo di che viene esercitata una poderosa azione di spinta che provoca il sezionamento del pezzo. Interessante a tale riguardo il dispositivo “Stop & go” messo a punto dalla Thor di Ricca di Busca (CN), che dopo il centraggio del ciocco sulla base di contrasto con il comando a pedale prevede l’avvicinamento del cuneo con un comando elettrico, che lascia una mano libera per sorreggere il pezzo nella posizione voluta, affinchè la lama eserciti una pressione corrispondente ad un carico iniziale di 8 kg, per tenere fermo il pezzo. A questo punto, si può iniziare la fase di spacco con il doppio comando ad azione mantenuta, che per sicurezza deve impegnare obbligatoriamente entrambe le mani. Se, viceversa, il ciocco non è convenientemente ingaggiato, è possibile far esercitare sempre elettricamente al cuneo un carico maggiore, di 30 kg. Specialmente se i ciocchi sono di notevole dimensione, e quindi con una massa di diverse decine di chilogrammi, le azioni preparatorie alla fase di spacco possono essere agevolate da alcuni utili accessori, finalizzati alla diminuzione o addirittura all’azzeramento del carico fisico dell’operatore, a tutto vantaggio della sua sicurezza nella gestione del pezzo, garantendo al contempo un alto livello di attenzione anche per lunghi periodi di lavoro. La fase di presa e avvicinamento del ciocco (ad esempio prelevato da un cumulo o una catasta) può essere automatizzata dalla disponibilità di una pinza combinata con un verricello “tiratronchi”, anche di tipo radiocomandato, che in combinazione afferrano con forza, trascinano e sollevano il pezzo, per poterlo poi collocare in posizione. Se, viceversa, il ciocco è già stato collocato in una posizione laterale adiacente allo spaccalegna, la fase di sollevamento e posizionamento può essere realizzata tramite specifiche strutture convenientemente conformate e mosse tramite un cilindro idraulico dedicato.

 

La sicurezza

Anche se a prima vista può sembrare un’attrezzatura semplice e di facile impiego, il lavoro con lo spaccalegna comporta diversi rischi. Per tale motivo, e soprattutto perché si tratta di un’attrezzatura spesso impiegata a livello hobbistico, la macchina deve essere dotata di una serie di dispositivi e meccanismi finalizzati in tal senso. Anche l’operatore deve dotarsi di opportuni dispositivi di protezione individuale.

Innanzitutto, la spinta per lo spacco del ciocco deve essere esercitata con comandi che impegnino entrambe le mani ad azione mantenuta, che vanno protetti da qualunque azionamento non intenzionale. Inoltre, devono essere posizionati in modo da non esporre l’operatore a rischi di schiacciamento e intrappolamento e deve essere impossibile azionare simultaneamente entrambi i comandi con una sola mano, un braccio o con altre parti del corpo. In fase di spacco, il ciocco deve rimanere in posizione con dispositivi autonomi di trattenuta, senza l’intervento dell’operatore. La medesima protezione (o un’altra specifica) deve impedire ai pezzi sezionati del tronchetto di colpire l’operatore in fase di caduta. Se azionato elettricamente e ancor più con corrente trifase a 380 V, dovrebbe essere raccomandata l’installazione di un dispositivo portatile di corrente residua massima da 30 mA (il cosiddetto “salvavita”), qualora l’impianto elettrico a cui è collegata la macchina non ne fosse già dotato.

Per evitare pericolosi sganciamenti improvvisi, specialmente sulle versioni accoppiate all’attacco a 3 punti del trattore, tutti i perni devono essere dotati delle relative le spine antisfilo di sicurezza, collegate ai rispettivi perni con catenelle o cavetti in gomma o materiale plastico. Se la pdp del trattore è connessa alla pompa dello spaccalegna tramite un albero cardanico, la protezione di quest’ultimo, combinata con le controcuffie o gli schermi collocati sui lati trattore e attrezzatura devono essere in grado di segregare completamente gli elementi rotanti, impedendo contatti accidentali.

Le tubazioni dell’impianto idraulico devono essere protette contro gli scoppi accidentali, che potrebbero proiettare fluido ad altissima pressione e a temperatura elevata contro l’operatore.

Specie per i modelli verticali, è importante in tutte le fasi di lavoro mantenere un’adeguata stabilità dell’attrezzatura, assicurata dalla presenza di opportuni mezzi di supporto, quali piedi d’appoggio, stabilizzatori, e cunei per i modelli carrellati.

Assumono significativa importanza infine i pittogrammi di avvertimento applicati direttamente sulla macchina, soprattutto per rendere conscio l’operatore dei cosiddetti “rischi residui”, e per ricordare il necessario uso dei dispositivi di protezione individuale. In questo caso, oltre a guanti di idonei spessore e robustezza, bisogna indossare occhiali protettivi (contro la proiezione di schegge), calzature antinfortunistiche con puntale in acciaio (per proteggere i piedi in caso di caduta di ciocchi o pezzi sezionati) e cuffie o tamponi di protezione dell’udito, per limitare la rumorosità percepita, specie in caso di azionamento con motore a scoppio indipendente. Raccomandato è anche l’uso dell’elmetto e di una tuta in tessuto di adeguata consistenza.


Legna da ardere: alcune riflessioni

Il patrimonio forestale italiano si estende per 11 milioni di ettari, ovvero ben il 36% della superficie nazionale; peraltro, il tasso di prelievo dell’incremento annuo della biomassa legnosa varia tra il 18 e il 37%, valori decisamente inferiori rispetto alla media europea, che è del 62%.

Diversamente dagli altri combustibili fossili (carbone, gasolio, gas), la legna da ardere è neutrale nella produzione di CO2, perché quella emessa con la combustione è la stessa assorbita in crescita con la fotosintesi. è una fonte energetica rinnovabile (perché proveniente da alberi e arbusti che sfruttano l’energia solare), biologica (perché derivante da organismi viventi) e facilmente disponibile (perché il legno può essere prodotto praticamente ovunque).

Peraltro, la sua combustione si deve svolgere con particolari attenzioni; infatti, il contributo della legna bruciata in ambito domestico contribuisce in modo importante all’emissione di polveri sottili. Ad esempio in Lombardia, i più recenti dati evidenziano come il 39% delle emissioni di PM10 derivi dal comparto del riscaldamento domestico, e che buona parte di queste, provenga dalla combustione della legna in piccoli impianti, ovvero caminetti aperti, caratterizzati da basse rese energetiche, e alle stufe tradizionali, molto spesso obsolete e poco efficienti.

Molto meglio, in tal senso, sono ad esempio i moderni termocamini e le termostufe più evolute. In ogni caso, anche le emissioni dei migliori impianti a legna rimangono comunque superiori ai livelli medi degli apparecchi a gas naturale.

è quindi fondamentale assicurare costantemente il corretto funzionamento e praticare una scrupolosa manutenzione. Anche la legna deve essere in ben precise condizioni. Contrariamente a quanto si possa supporre, la sua umidità incide in modo pesante sulle emissioni di polveri sottili: riducendo anche solo dal 30 al 20% l’umidità del materiale, con la combustione le emissioni scendono da circa 1150 a soli 69 mg/m3, mentre il potere calorifico effettivo aumenta del 17%.

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