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Mercati

Economia turca, a rischio la meccanica agricola

La svalutazione della moneta nazionale comporta una riduzione della capacità d'investimento per l'acquisto di mezzi di fabbricazione estera. Penalizzata l'industria italiana della meccanica agricola, che aveva nella Turchia uno degli sbocchi più interessanti. Difficile prevedere i tempi e i modi per superare l'attuale situazione, anche se gli analisti ritengono che il settore agricolo, altamente strategico per il Paese, possa recuperare una propria dinamicità in tempi relativamente brevi

di Giampiero Moncada
ottobre - novembre 2018 | Back

Non si tratta più di sapere se la crisi turca potrà danneggiare le imprese italiane ma, piuttosto, quanto durerà. La svalutazione della moneta locale, esplosa nel pieno dell’estate appena trascorsa, ha inciso in maniera evidente sulle previsioni di bilancio di molte aziende per le quali la Turchia rappresentava ormai da tempo un mercato in grado di assorbire quote crescenti di esportazione.

 

Fermato un Paese in corsa

Tra i vari settori industriali, quello della meccanica agricola ha sicuramente accompagnato più di altri lo sviluppo del Paese in questi ultimi anni: per l’economia turca era necessario adeguarsi agli standard produttivi più moderni e allinearsi ai Paesi dell’occidente con i quali vuole competere. Un’opportunità, questa, che le aziende italiane hanno saputo cogliere al volo mantenendo un livello crescente di esportazione fino a tutto lo scorso anno, quando la Turchia ha immatricolato 72.350 trattrici, ovvero il 3% in più del 2016. Una quota significativa arrivava dall’Italia, che nel corso del 2017 ha esportato trattori e macchine agricole per un totale di oltre 207 milioni di euro, ovvero il 33,4% in più del 2016.

Stiamo parlando, quindi, di un Paese che fino a meno di un anno fa marciava a ritmi sostenuti per modernizzare l’intero comparto agricolo (ritmi degni dei programmi quinquennali della vecchia Urss dei tempi della guerra fredda…)

Dunque, Italia e Turchia vedevano crescere le proprie relazioni commerciali nel settore della meccanizzazione agricola, con i trattori al 3° posto delle importazioni in Turchia con il 19% del mercato. A conferma di quanto sia rilevante il made in Italy per quelle aziende agricole.

 

Una crisi trasversale

Con queste premesse, la crisi che si stava preparando per esplodere nel 2018, era destinata a destabilizzare molte aziende italiane, oltre che a creare incertezze sui mercati finanziari di mezzo mondo e far temere anche un “effetto domino” per le economie dell’Europa e perfino degli Usa. Una bufera, quindi, che non ha investito solo la meccanizzazione agricola ma anche altri settori sui quali la Turchia ha puntato negli ultimi anni. Un esempio tra tutti, quello del packaging, che si è sviluppato proprio grazie all’aumento dell’export da parte delle industrie turche soprattutto nei beni di largo consumo. E l’Italia risulta il primo fornitore di queste attrezzature industriali con una quota del 35%. Primato italiano anche nelle attrezzature per la lavorazione del legno (è italiano il 26% del mercato), grazie a una produzione di mobili cresciuta negli ultimi anni e ispirata, in buona parte, ai modelli produttivi italiani.

 

Un conteggio dei danni in tempo reale

Per sentire i venti della crisi, però, non si è dovuto aspettare lo scorso agosto, quando la lira turca è arrivata a perdere, nel giro di pochi giorni, oltre il 40% del suo valore rispetto all’inizio dell’anno. Già a giugno, si era visto un calo delle immatricolazioni di trattori, che sono arrivate a 28 mila unità, ovvero il 20% in meno rispetto al primo semestre del 2017. Perfettamente simmetrico il calo di esportazioni delle aziende italiane in quel Paese: trattori e macchine agricole sono scese di oltre il 19% (67 milioni di euro). Ma si profilano dei danni anche per le imprese italiane di questo settore che hanno puntato sugli investimenti in Turchia: «L’incertezza in cui versa l’economia locale – ha detto in proposito Alessandro Malvolti, presidente di FederUnacoma – rischia non solo di penalizzare le nostre esportazioni dirette, ma anche di frenare le strategie di investimento per la creazione di insediamenti e joint venture”. Peraltro, chi ha deciso di produrre in loco deve oggi fare i conti con il calo della domanda interna, e in questo contesto, c’è anche il rischio che il mercato si rivolga a produttori particolarmente aggressivi, che propongono prodotti a basso prezzo e di poca qualità, che finora sono stati esclusi anche grazie a una politica di dazi penalizzante imposta dal governo turco nei confronti dell’Estremo Oriente».

 

A rischio anche il sogno dell’hub per l’Oriente

La preoccupazione dei costruttori italiani, in realtà, è rivolta immediatamente oltre la frontiera turca. Verso i Paesi del Medio Oriente, soprattutto Giordania, Siria, Libano, Iraq e Iran, per i quali la Turchia ha costituito, nel corso di questi anni, una sorta di hub commerciale in grado di fornire una corsia privilegiata a molta produzione italiana, comprese naturalmente le macchine agricole. E a questo punto si rinnova la domanda dì apertura: quanto durerà questo stato di cose? E cosa potrà succedere dopo? Si tratta solo di aspettare che passi la bufera, per vedere il Paese riprendere la corsa bruscamente interrotta quest’anno? O non va considerata anche l’eventualità di una crisi strutturale? Gli analisti, che per mestiere devono sempre prevedere anche il peggio, non considerano questo rischio il più probabile. La preoccupazione maggiore riguarda l’orientamento politico dell’attuale presidente Erdogan, e la gestione dei rapporti tra il governo e il mondo imprenditoriale turco. 

Su un punto sembrano, comunque, essere un po’ tutti d’accordo. Che in qualche modo l’economia turca troverà una via d’uscita e riprenderà a correre, anche se forse non ai ritmi degli ultimi anni. Non si sa, però, in che direzione andrà. Ovvero, in quale contesto geopolitico e con quali equilibri di alleanze internazionali. Le imprese, quindi, dovranno farsi trovare pronte a cambiare il proprio approccio strategico e individuare prontamente eventuali nuovi interlocutori. In ogni caso, è difficile immaginare che un Paese di 80 milioni di abitanti (tanti sono i turchi ancora presenti entro i confini) possa rinunciare a inseguire i nuovi modelli di vita che si sono posti come prospettiva, e che partono dalle abitudini alimentari per coinvolgere, poi, gli spazi abitativi e perfino la qualità dell’ambiente. Tutti modelli di sviluppo che comportano investimenti in tecnologia e attrezzature. A cominciare da quelle per l’agricoltura, che deve necessariamente ammodernarsi per rispondere alla domanda di maggiore qualità e sicurezza nell’alimentazione. 

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