Avocado, papaya e mango: i nuovi frutti del Sud Italia
Per far fronte alla crescente richiesta del mercato nazionale, nel Sud Italia si sta progressivamente investendo nella produzione di frutta esotica, grazie anche all’addolcimento delle temperature. Le principali soluzioni meccanizzate per la raccolta dei frutti
Nelle diete moderne, la frutta esotica sta riscontrando una crescente importanza, sia per una tendenza alimentare sempre più marcata, sia a fini prettamente salutari, come ad esempio le diete “fit”, che comprendono le macedonie miste. L’avocado, il mango e la papaya, ovvero tre tra i frutti più conosciuti di questa numerosa famiglia, crescono in modo ottimale nei climi tipici delle regioni tropicali ed equatoriali; tra i maggiori Paesi produttori al mondo ci sono infatti il Messico per l'avocado, e l’India per la papaya e il mango. Le favorevoli condizioni pedologiche (e il cambiamento climatico…) hanno reso possibile la coltivazione di questi frutti esotici anche in alcune regioni italiane, come Sicilia e Puglia. Iniziata in sordina negli anni '70 del secolo scorso in Sicilia, la produzione di frutta esotica ha visto un notevole incremento negli ultimi decenni, con un successo significativo che ha favorito l’aumento della produzione e la diffusione sul mercato nazionale. Tra i principali produttori italiani figura la “Sicilia Avocado” di Catania, ma sono presenti produttori anche nella zona del Salento.
Avocado. È stato uno dei primi frutti esotici coltivati in Italia, con i tentativi di impianto effettuati negli anni ‘50. Il clima mediterraneo, caratterizzato negli ultimi anni da temperature sempre più elevate, ha favorito l’espandersi di questa coltura che garantisce un alto reddito, grazie anche all’ottima resa commerciale di questo prodotto.
L’avocado è una pianta arborea sempreverde, con un’altezza media compresa tra i 10 e i 15 m, appartenente alla famiglia delle Lauraceae. Al fine di poter garantire un buon attecchimento è necessario curare attentamente le caratteristiche pedologiche: il terreno deve essere fertile, con limitata presenza di scheletro e con buona capacità di ritenzione idrica. L’irrigazione può diventare un fattore critico, specie se si tende ad usare acqua salmastra o molto calcarea. Altri fattori da considerare attentamente sono l’esposizione solare, quella ai venti, ma anche l’escursione e l’umidità relativa, perché si tratta di una specie subtropicale che pertanto predilige climi miti e umidi, e che è fortemente inibita dagli sbalzi termici. Infatti, l’optimum termico per l’avocado è intorno a 20-25°C, con una ridotta escursione tra giorno e notte. La pianta è abbastanza resiliente ai danni da freddo, ma risulta particolarmente sensibile nel periodo della fioritura quando, in caso di freddo intenso, si possono verificare drastici cali di produzione, anche fino al 50%. Dopo la messa a dimora, l’avocado entra in produzione piuttosto velocemente, facendo registrare il suo massimo dopo 3-4 anni dall’impianto, con una resa di 15-20 t/ha circa.
Per favorire un adeguato sviluppo della chioma, il sesto di impianto varia tra 5 e 8 m tra le file e sulla fila. È opportuno intervenire anche con potature qualora le chiome si sovrapponessero, penalizzando la fotosintesi. In molte delle coltivazioni italiane di avocado si preferisce mantenere l’interfilare inerbito, per limitare l’evapotraspirazione.
Una tra le operazioni colturali più impegnative in termini di manodopera è ovviamente la raccolta, che è esclusivamente manuale. I frutti penduli, portati sui rami a livello apicale, vengono recisi e collocati in apposite cassette per il successivo conferimento. Compatibilmente con la larghezza dell’interfilare e del portamento delle piante, per il trasferimento dei bin con il prodotto si impiegano carri raccolta frutta o trattori con rimorchio. In particolare, i carri raccolta frutta, che sono di fatto piattaforme elevabili a geometria variabile (quindi spesso con elementi estendibili e balaustre di sicurezza), consentono agli addetti di raggiungere in maniera agevole anche le parti più alte delle piante.
Papaya. Viene coltivata anche nel bacino mediterraneo, principalmente in Spagna e in Italia (in particolare in Sicilia). Si tratta di una pianta arborea, con un fusto non lignificato ed un’altezza variabile tra 5 e 10 m. I frutti si sviluppano in grappoli, subito sotto l’inserzione dei piccioli delle foglie palmate. Durante la crescita, il frutto invade lo spazio occupato dalla foglia, fino a determinarne l’abscissione. Il peso del frutto varia tra 0,5 (nel caso di piante nane) fino a oltre 9 kg. Data la sua origine tropicale, anche la papaya richiede particolare attenzione alle condizioni pedoclimatiche per una coltivazione ottimale. Nonostante abbia bisogno di una buona irrigazione per la crescita dei frutti, la papaya è una specie particolarmente suscettibile ai ristagni idrici. La produzione può raggiungere anche 50 t/ha, a patto che si disponga di terreni sciolti, ben areati e ottimamente drenati. Soffre il freddo ancor più dell’avocado, tanto che nel Sud Italia è consigliabile allevare le piante in apprestamenti protetti, poiché temperature inferiori ai 5-6°C possono causare danni alle colture. L’optimum termico si aggira intorno ai 20-22°C.
Per favorire il miglior sviluppo dei frutti e la loro regolare maturazione, è necessario che la coltura possa disporre di pieno sole. La produzione ottimale viene ottenuta dopo 2-3 anni dall’impianto e rimane costante fino a circa 6 anni, dopo di che le piante vengono spesso espiantate per il rinnovo.
La raccolta della papaya è scalare, tra giugno e novembre nel Sud Italia, e richiede molta manodopera poiché è svolta manualmente, con l’ausilio di scale e/o di piattaforme aeree. La deposizione nelle cassette è piuttosto delicata, perché possibili lesioni provocate in questa fase possono favorire l’insorgenza di fermentazioni e/o la crescita di muffe, che deprezzano il prodotto o addirittura ne compromettono la sua commercializzazione. Grazie al breve tempo intercorrente tra la raccolta e la vendita, in Sicilia la coltivazione della papaya destinata al consumo nazionale permette di raccogliere il frutto a maturazione completa, anziché a inizio invaiatura, come invece avviene fuori Europa. Si tratta di un dettaglio che rende il frutto particolarmente appetibile perché “ready to eat”, ma allo stesso tempo lo espone maggiormente agli attacchi di eventuali patogeni. Per il prodotto che è destinato a spedizioni ad ampio raggio, è necessario un accurato lavaggio e un trattamento topico con prodotti antimuffa.
Mango. Come l’avocado e la papaya, il mango è un frutto tropicale molto diffuso, coltivato principalmente nel continente indiano. Si tratta di una pianta arborea sempreverde appartenente alla famiglia delle Anacardiaceae, che in condizioni favorevoli può raggiungere i 30 m di altezza. Nel bacino del Mediterraneo è coltivato in Spagna, Israele, Marocco e più di recente anche in Sicilia. Trattandosi di una pianta alloctona, ha bisogno di particolari attenzioni per la messa a dimora, con un terreno senza troppo scheletro e ben drenato, poiché anch’esso teme i ristagni idrici. Anche in questo caso un’adeguata irrigazione è importante per garantire un’elevata produzione. Il sesto di impianto varia a seconda della tipologia di coltivazione: in ambienti subtropicali, le colture estensive hanno distanze sulla fila e tra le file di 7-8 m, mentre negli allevamenti super intensivi le misure si riducono fino a soli 2,5 m.
In Italia, il periodo di maturazione è scalare, da luglio a novembre. La produzione varia a seconda della cultivar. La raccolta avviene per lo più manualmente, con il possibile impiego di forbici e cesoie manuali per la recisione dei frutti, che vengono deposti in appositi bin per il conferimento al centro aziendale. In funzione della loro destinazione finale, i frutti possono essere semplicemente lavati e asciugati (per evitare l’insorgenza di muffe e marciumi del frutto) oppure trattati superficialmente con cere, per migliorarne l’aspetto. Se si prevede un lungo periodo di conservazione, il prodotto è irrorato con principi fungicidi e antimuffa.
Mezzi agevolatori per la raccolta e il conferimento della frutta
La maggior parte delle colture tropicali prodotte in Italia non prevedono al momento la raccolta meccanizzata, a causa del portamento delle piante, della posizione dei frutti sulla pianta stessa e del sesto di impianto adottato. In ogni caso, sono disponibili attrezzi che agevolano la raccolta ed il conferimento del prodotto.
Le forbici da potatura possono operare egregiamente anche per il distacco dei frutti dai rami; per quelli collocati in posizione non raggiungibile sono talvolta utilizzate delle aste, dotate all’estremità di contenitori in rete, a sacca, che staccano il frutto tramite una piccola rotazione.
Per lo stoccaggio temporaneo in campo si fa uso di casse (bin), che vengono poi trasferite sul pianale o nel cassone di rimorchi trainati da trattori a carreggiata stretta, in grado di muoversi agilmente nell’interfila della coltivazione.
La raccolta robotizzata del mango
Per la raccolta della frutta esotica non sono al momento disponibili sul mercato macchinari dedicati, anche se alcuni studi in corso stanno evolvendo in quella direzione. Presso la CQ University si sta sviluppando una macchina che, mediante una serie di sensori ottici e ad infrarossi, riconosce i frutti del mango e ne individua il corretto momento per la raccolta, in funzione del grado di maturazione, ed effettua poi il distacco con un braccio robotizzato. La macchina, attualmente ancora a livello prototipale, si basa su un telaio potante, sopra il quale sono alloggiati dei bracci meccanici telescopici che prelevano i frutti, depositati poi in alcune tramogge installate a bordo. Ciascun braccio afferra delicatamente il frutto e lo fa ruotare per più di 90°, fino alla recisione del picciolo. In tal modo, l’impiego di manodopera viene ridotto sensibilmente, sgravando gli operatori da un’incombenza ripetitiva e talvolta piuttosto insidiosa, dato che la linfa della pianta del mango è molto acida e può provocare fastidiose allergie.