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Agricoltura africana: potenzialità e aspetti critici

Il settore primario concorre a una larga parte del reddito lordo, costituisce la parte principale delle esportazioni ed è il più importante sbocco occupazionale. Il comparto ha enormi potenzialità di crescita ma è necessario lavorare sulle filiere e sulla capacità di trasformazione

di Gianfranco Belgrano
febbraio 2024 | Back

Tra le tendenze notoriamente in atto, due sono quelle che stanno rimodellando il continente africano: la prima riporta all’incremento demografico, la seconda al processo di urbanizzazione. La popolazione del continente – secondo tutte le proiezioni – raddoppierà nel giro di pochi decenni, entro il 2050, e per la fine del secolo supererà i quattro miliardi di abitanti. Il tasso di urbanizzazione accompagnerà questo processo con altrettanto impeto.

Questi due megatrend, e la rapidità con cui si stanno imponendo, determinano a cascata una serie di reazioni. Politiche innanzitutto, ovvero azioni di risposta alle sfide che tali sviluppi recano con sé (si pensi solo ai servizi e ai mezzi necessari per soddisfare le esigenze di milioni di persone in più anno dopo anno), ed economiche, legate alla garanzia di sicurezza alimentare, alla generazione di posti di lavoro per una popolazione giovane e dinamica, e alla consapevolezza di dover creare valore aggiunto locale (meno export di materie prime grezze, più manifattura e lavorazione agroindustriale anche per semilavorati).

Capire quali possano essere le prospettive di sviluppo agricolo in Africa va dunque ben oltre i limiti adesso visibili, perché è impossibile fermare in un fotogramma il dinamismo con cui si sta muovendo il continente africano nel suo insieme, nelle sue complessità, nelle sue criticità e nelle sue positività. Una cosa è certa: le strade dello sviluppo economico e sociale dell’Africa saranno l’ago della bilancia del mondo che avremo tra pochi anni.

La visione ad ampio spettro. Restiamo ancora sullo spazio geografico continentale, pur consapevoli di accomunare 54 Paesi, moltissimi dei quali più grandi dell’Italia, e concentriamo l’attenzione sulle maggiori criticità dell’agricoltura continentale. Un primo fondamentale elemento riporta alle cause che finora hanno impedito di sviluppare il settore oltre i confini della sussistenza. Il continente africano è caratterizzato da un enorme potenziale produttivo inespresso, combinato però con inefficienze infrastrutturali e industriali che hanno ostacolato la creazione di valore aggiunto. Quello dell’industrializzazione agricola è un tema tutto da costruire. Benché diversi Paesi abbiano avviato processi di lavorazione dei prodotti attraverso, per esempio, la creazione di distretti dedicati, le difficoltà da superare rimangono numerose, basti pensare alle perdite post raccolto o alla mancanza di un’efficace catena del freddo o alla persistenza di tecniche di coltivazioni inefficienti. A queste si aggiungono difficoltà comuni ad altri settori, come reti di trasporto insufficienti o normative ancora inadeguate.

Luci e ombre dell’agricoltura africana. Eppure il settore primario concorre a una larga parte del reddito lordo (intorno al 30% in media), che costituisce la parte principale delle esportazioni ed è il più importante sbocco occupazionale. Lavorare sulle filiere quindi e sulla capacità di trasformazione è l’obiettivo dei governi africani per un duplice motivo: garantire sicurezza alimentare e garantire sviluppo economico e sociale. Uno dei classici esempi di produzione e trasformazione con un basso contenuto di valore aggiunto “africano” sul totale del prodotto, è quello del caffè, che viene composto per il 90% da valore aggiunto proveniente da fuori del continente. Si potrebbe citare anche il cacao, ma gli esempi sono tanti. La seconda grande questione, che evidenzia un ritardo e allo stesso tempo lascia intuire forti opportunità, è la disponibilità di terra. Sulla base di stime di Fao e Banca Mondiale, in Africa sono disponibili tra 480 e 840 milioni di ettari di terre coltivabili ancora inutilizzate. La forbice di questa stima è ampia, i numeri variano a seconda dei parametri impiegati, ma tirando le somme se ne deduce che buona parte dei terreni agricoli non utilizzati e disponibili nel mondo si trova proprio nel continente, fino a circa il 60%, secondo più fonti. Altre problematiche riguardano la prevalenza di piccoli appezzamenti e di agricoltori di sussistenza che raramente si uniscono in cooperative o consorzi, con conseguente difficoltà ad accedere ai mercati e al credito, e con una produttività decisamente scarsa, in media del 56% più bassa rispetto alle altre regioni del mondo. La ridotta produttività mette in luce l’enorme sfida che occorre affrontare per portare l’agricoltura africana a standard moderni. La stessa meccanizzazione del settore, che rappresenta una via essenziale per migliorare le soglie di produzione, parte da livelli molti bassi, con una media continentale inferiore a due trattori ogni 1.000 ettari di terre coltivate. Tali cifre evidenziano quindi un paradosso: se da un lato, l’industria agricola in Africa rappresenta un mercato potenzialmente multimiliardario, dall’altro lato i numeri forniscono una chiara illustrazione delle complessità strutturali che potrebbero rendere difficili gli investimenti in Africa.

Food powerhouse. Eppure, è qui che si gioca il futuro di tutti quanti, che si viva in Africa o meno. La Banca africana di sviluppo (AfDB) lo sa bene e si è posta da tempo l’obiettivo di trasformare il continente in una “food powerhouse”. Anzi, il presidente di AfDB, Akinwumi Adesina, ripete spesso che se l’Africa ha un vantaggio comparativo rispetto ad altre regioni del mondo, lo ha nell’agricoltura. La lettura dei megatrend fatta da sud è indicativa: più abitanti significa più forza lavoro, più giovani e più classe media significano nuovi mercati, città più grandi significano maggiore facilità di accesso ai consumatori. «I nuovi miliardari africani – ha sostenuto Adesina lo scorso novembre a Marrakech in occasione dell’Africa Investment Forum – non proverranno dall’industria dell’oil&gas, ma dall’agroalimentare, dall’agricoltura». Per far fronte alle nuove e potenziali crisi alimentari, ha aggiunto Adesina, l’Africa deve poter contare su se stessa e deve risolvere i problemi di oltre 280 milioni di persone che oggi non hanno cibo a sufficienza. Secondo l’AfDB, occorre cambiare paradigma, favorendo appunto la creazione di valore aggiunto a livello locale piuttosto che l’export di materie prime, e affidandosi anche alla creazione di zone economiche dedicate all’agroalimentare. Queste zone – su cui AfDB sta lavorando – possono trasformare le immense estensioni di terra ancora disponibili in Africa in reali fonti di ricchezza.

Le pontezialità dell’Africa meridionale. Se poi trasferiamo questi ragionamenti su scala sub-regionale, emergono con più chiarezza le zone destinate a crescere e quelle in cui, anche a causa di avverse condizioni climatiche, si farà più fatica. In generale, le aree più sofferenti sono quelle della fascia saheliana dove la concomitanza di più fattori ha anche portato a una instabilità quasi permanente con effetti negativi su tutti i comparti economici. A nord, sono Marocco, Egitto e Tunisia che, in maniera diversa e partendo da contesti economico-politici differenti, stanno provando a sviluppare alcune filiere, in particolare quella dei cereali e dell’olivicoltura. Ma è più a sud che si annidano le potenzialità più importanti. Grazie alla crescita dimensionale delle aziende agricole – l’urbanizzazione contribuirà ad alimentare questa tendenza – e a una maggiore produttività che sarà resa possibile dall’introduzione di tecniche moderne, secondo uno studio di McKinsey, nuove terre potranno essere messe più facilmente a coltura in Angola, Ciad, Madagascar, Mozambico, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Tanzania e Zambia. Allo sviluppo dell’agricoltura potrà poi ulteriormente contribuire la progressiva implementazione dell’Area continentale africana di libero scambio (AfCFTA), attraverso l’atteso incremento di scambi regionali e intra-africani.

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